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Attivismo civico & Terzo settore

Vi do un consiglio: investite le donazioni in marketing

Liberiamoci dai luoghi comuni

di Valerio Melandri

Nel mondo delle imprese profit strumenti di marketing come l’analisi di mercato o la segmentazione demografica sono di uso comune. Nel non profit no. Anzi, la maggior parte delle aziende non profit non ha nessun piano di marketing e molti amministratori delegati non avvertono la necessità di averne uno. Il termine “marketing” è addirittura talvolta impronunciabile e inaccettabile. Più di una volta organizzazioni non profit mi hanno detto: «È nostra abitudine far sì che la pubblicità per le nostre campagne ci venga “donata”. Solo in rarissime occasioni investiamo per acquistare spazi, temendo però di creare una grossa inefficienza dal punto di vista dei costi e temendo anche di “tradire” i donatori».
Oggi in Italia solo nella promozione televisiva si spendono circa 12 miliardi di euro ossia più o meno tre volte la cifra totale donata dai cittadini alle aziende non profit.
Immaginiamo cosa accadrebbe se sapessimo che un’impresa sociale ha speso 2 milioni di euro donati per organizzare un campionato di calcio finalizzato a promuovere la causa, invece che utilizzare quell’importo direttamente per aiutare i bisognosi o per la ricerca. Si urlerebbe allo scandalo. Allora perché le imprese profit investono centinaia di milioni di euro ogni giorno per tempestarci di pubblicità sui beni di consumo più disparati? Lo fanno perché sono stupidi oppure sanno qualcosa che le realtà del terzo settore non comprendono o non possono comprendere?
Spendere denaro per il fundraising significa spenderlo per il marketing. Il punto è questo: il non profit non utilizza le forme tradizionali di pubblicità del mercato di massa, dalla televisione alle riviste, dalla radio ai tabelloni pubblicitari, alla vendita al dettaglio; questo significa che il settore si priva di tutti i ricavi che si genererebbero sfruttando questi strumenti.


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