Economia & Impresa sociale 

I tagli al sociale arriveranno al 70%

Lo rivela Tiziano Vecchiato, direttore della Fondazione Zancan nel corso dell'audizione alla Camera

di Redazione

Tiziano Vecchiato, direttore della Fondazione “E. Zancan”, nel corso dell’audizione alla Camera nell’ambito dell’esame del disegno di legge C 4566, recante “Delega al Governo per la riforma fiscale ed assistenziale” ha messo in luce le grandi criticità della delega e i potenziali del dibattito che si è acceso sulla proposta di disegno di legge sulla riforma fiscale e assitenziale, insistendo in particolare su alcuni temi: necessità di quantificare correttamente l’ammontare di spesa sociale e quindi l’impatto sui tagli; uscire dall’assistenzialismo compassionevole, potenziando i servizi e non i trasferimenti economici; definire i Lea sociali con risorse preventive perché i diritti possano essere garantiti. “Questa delega ha grandi problemi», ha spiegato Vecchiato all’audizione alla Camera dei Deputati a cui era invitato, «ma allo stesso tempo in un momento di crisi così grande c’è la possibilità per tutti di guardare oltre la delega per fare scelte in termini di assistenza che non sono mai state fatte. Se questa possibilità fosse colta, anche mettendo insieme forze nuove della società, l’assistenza sociale potrebbe diventare un investimento e non un costo».

Criticità.  Una questione riguarda la compatibilità della delega con il dettato costituzionale (artt. 117, 118 Cost.) e in particolare l’ingerenza dello stato in una materia di pertinenza regionale e comunale. Si ripropone, nei fatti, un assetto istituzionale in cui lo stato continua a esercitare quella funzione di indirizzo generale e coordinamento venuta meno con la riforma costituzionale del 2001. Un secondo nodo è l’eccessivo ricorso alle prestazioni economiche a discapito dell’investimento nei servizi. Il rapporto tra le prime e i secondi è di quasi 9 a 1, cioè il 89% delle risorse gestite in termini di trasferimenti e solo l’11% in termini di servizi. Eppure questi ultimi garantirebbero un rendimento molto maggiore, prima di tutto in termini di nuovi posti di lavoro e soprattutto in termini di aiuto molto più efficace. Se una parte considerevole di spesa per assistenza sociale fosse utilizzata in questo senso, si potrebbero aprire decine e decine di migliaia di posizioni lavorative di welfare.

C’è poi il problema della dimensione della spesa sociale: a quanto ammonta realmente? Utilizzando la classificazione Onori, nel 2007 la spesa per assistenza sociale valeva 47 miliardi, mentre l’Istat la indicava a 29. Oggi siamo a oltre 51 miliardi. La differenza tra le due stime nasce dalla non inclusione, nel dato Istat, degli assegni al nucleo familiare e delle integrazioni al minimo delle pensioni, due prestazioni erroneamente classificate come spesa previdenziale. La confusione, anche tra gli addetti ai lavori, su cosa considerare “spesa assistenziale” contribuisce a non far sembrare destabilizzanti i tagli al sociale. In realtà, si parla di un decremento tra il 30% e quasi il 70%, a seconda dell’unità di misura considerata. Un’altra criticità nasce dall’individuazione delle risorse per i Lea, che attualmente possono contare su oltre 43 miliardi di euro gestiti impropriamente dallo stato e da amministrazioni a esso collegate e su circa 7/8 miliardi a disposizione degli enti locali. A questo va aggiunto il co-finanziamento degli utenti (circa 2 miliardi), insieme ai benefici indiretti conseguenti a detrazioni e deduzioni fiscali (circa 11 miliardi, ma di cui solo 1 miliardo, secondo una stima della Cisl, riconducibile a vantaggi fiscali per persone con disabilità). I comuni italiani hanno oggi una capacità media di finanziamento dei Lea sociali pari a circa 111 euro pro capite su scala nazionale, ma con grandi differenziali: da un minimo di 30 euro pro capite (comuni della Calabria) a un massimo di oltre 280 euro pro capite (comuni della Provincia Autonoma di Trento). Lo sforzo di riequilibrio e perequazione, dunque, non sarà facile.

Potenzialità. Le proposte presentate dalla Fondazione Zancan sono varie e tutte mirate a garantire un maggior rendimento della spesa per assistenza sociale.

– Investimenti di sistema e non settoriali: serve, in sostanza, il coraggio di passare da un welfare compassionevole a un welfare di “investimento in nuova cittadinanza”. La differenza sta nell’incontro delle responsabilità che si fanno carico di concorrere al superamento del bisogno. Ma, per puntare a questo traguardo, bisogna che la delega superi l’ossessione di equilibrio finanziario per raggiungerlo veramente.

– Recuperare i crediti per servizi fruiti da chi non ne aveva titolo. È una nuova forma di lotta all’evasione: se una persona non finanzia i servizi con le tasse allora deve pagarli quando vi accede o dopo averli usati senza averne diritto, altrimenti “ruba” due volte. Le amministrazioni responsabili della loro erogazione vanno quindi messe in condizione di recuperare, riscuotere questi crediti. Se la capacità di recupero fosse solo al 5% dell’intero valore dell’evasione si otterrebbero due risultati: un gettito aggiuntivo di 6,5 miliardi di euro e un forte scoraggiamento all’evasione fiscale, oltre che all’utilizzo illegittimo di risposte di welfare. È una proposta contenuta anche nel rapporto “Poveri di diritti” realizzato dalla Zancan con Caritas Italiana.

– Valutazione della condizione della persona, non solo dal punto di vista economico come accade oggi attraverso la prova dei mezzi di cui dispone il richiedente. È necessario, infatti, che nella valutazione della condizione di bisogno sia garantita in prima battuta una valutazione tecnica e professionale delle capacità, da integrare con quella amministrativa dei mezzi.

– Valutare l’apporto delle famiglie ai risultati di welfare: la Fondazione Zancan rilancia la proposta di calcolare e verificare quanto contribuisce la famiglia nella cura a un non autosufficiente, prevedendo riconoscimenti in protezione sociale (previdenziale o di altra natura) che possono incentivare l’impegno di coesione e solidarietà sociale.

– Nuovo utilizzo del vero” fondo per la non autosufficienza: Nel nostro paese il fondo per la non autosufficienza è stato sostanzialmente costituito nel 1980 con la legge n. 18, istitutiva dell’indennità di accompagnamento agli invalidi civili totalmente inabili. Oggi si tratta di guardare al senso rinnovato di tale fondo, che a tutti gli effetti è diventato nel tempo “fondo per la non autosufficienza”. Ci si deve quindi chiedere se non sia il momento per rivedere la gestione di questo fondo, per meglio finalizzarlo alla riduzione delle disuguaglianze “fra quanti ne beneficiano”, tenendo conto della situazione economica, della gravità e delle complessità della condizione di ogni persona.

 – Livelli essenziali di assistenza con copertura finanziaria preventiva: come vuole la legge n. 42/2009, perché è proprio su questa basse che i diritti, m ma anche i doveri, possono diventare molto più esigibili di oggi.


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