Sezioni

Attivismo civico & Terzo settore Cooperazione & Relazioni internazionali Economia & Impresa sociale  Education & Scuola Famiglia & Minori Leggi & Norme Media, Arte, Cultura Politica & Istituzioni Sanità & Ricerca Solidarietà & Volontariato Sostenibilità sociale e ambientale Welfare & Lavoro

Sostenibilità sociale e ambientale

Schettino, un italiano al comando

Sconcertanti rivelazioni sul naufragio della Costa Concordia

di Franco Bomprezzi

Ogni giorno che passa emergono nuovi e incredibili particolari sul naufragio della Costa Concordia. Il comportamento del comandante Schettino è davvero inquietante e i giornali dimostrano ancora una volta come sia importante la capacità di scovare notizie da parte dei migliori inviati di cronaca, che si riprendono un primato, di contenuto, rispetto ai resoconti televisivi.

“Ammutinamento per salvare i passeggeri” è il titolo a tutta pagina sulla prima del CORRIERE DELLA SERA. Molti i servizi e gli approfondimenti, fino a pagina 12. E un editoriale, di Giuseppe Sapelli (“Una perversa concezione del comando”), affronta con lucidità un aspetto inquietante della vicenda, legato al comportamento dissennato del comandante della nave. Scrive Sapelli nel suo commento che prosegue a pagina 42: “il fatto è paradigmatico di un comportamento umano associato e non solo individuale terribilmente diffuso in tutte le organizzazioni. Certo, le conseguenze non sono sempre così drammatiche, ma scavano nel profondo dell’animo e dell’immaginario collettivo e stanno trasformando lo stesso costume sociale degli italiani (e non solo loro). Perché? Di che si tratta? Ma del fatto che sempre più è divenuto normale, ossia socialmente e culturalmente accettato, usare i poteri di comando per soddisfare i propri desideri, ricambiare piccoli e grandi favori con reciprocità collusive, creare catene di complicità dirette a soddisfare volontà non sempre criminali ma sempre, tuttavia, narcisistiche e dettate dal desiderio di dimostrare una onnipotenza che fa gonfiare il petto di soddisfazione”. E più avanti: “È questa la novità. Una novità che chiunque viva o abbia vissuto nelle organizzazioni ricoprendo incarichi di responsabilità sente sempre più sorgere accanto a sé. Se poi si urta uno scoglio, poco male, basta porre in salvo se stessi e se si è «bravi», «bravi» secondo i criteri del costume sociale prima evocato, tanto meglio: se ne ricava anche un guadagno, materiale o di credibilità familistica che potrà venir utile in futuro. Sino al punto che chi si rifiuta di fare «inchini» di sorta, ossia di somministrare favori e di cedere ai riti della reciprocità che ogni inchino comporta, viene indicato come un alieno e un terribile guastafeste. Questa è la nuova solitudine del lavoro e nel lavoro: la solitudine della buona coscienza”. Ma veniamo alle cronache. Fabrizio Caccia a pagina 6 riferisce: “Le bugie del comandante nelle telefonate con la Capitaneria Dalla terraferma si spazientiscono: vuole andare a casa?”. Ecco qualche passaggio: “«Ma come ha abbandonato la nave?», chiede incredulo l’ufficiale della sala operativa. Schettino, che si è tradito, prova a rimediare: «No, macché abbandonata, sono qui». Minuti terribili. All’1.46 il messaggio della Capitaneria di porto è ultimativo: «Allora, lei adesso torna a bordo, risale la bigaccina (la scaletta, ndr) e torna a prua e coordina i lavori». Schettino non risponde. «Lei mi deve dire quante persone ci sono — lo incalza l’ufficiale — quante donne, quanti bambini e deve coordinare i soccorsi. Comandante questo è un ordine, adesso comando io, lei ha dichiarato l’abbandono della nave e va a coordinare i soccorsi a prua, d’accordo? Ci sono già dei cadaveri». Schettino deve avere la pelle accapponata, con un filo di voce chiede: «Quanti?». «Dovrebbe dirmelo lei!» sbotta l’ufficiale da Livorno, che ormai lo disprezza a giudicare le parole che usa. «Cosa vuole fare, vuole andare a casa?», lo irride quasi. Poi conclude: «Lei ora torna sopra e mi dice cosa fare». «Va bene, sto andando», risponde Schettino. Ma non obbedisce. È l’ultima definitiva bugia. Dagli scogli risale il molo del Giglio, poi lo vedono allontanarsi in taxi. Destinazione Bahamas. L’albergo”. Anche la Costa prende le distanze: “Mai il presidente di Costa Crociere, Pierluigi Foschi, avrebbe immaginato di dover rispondere a un giornalista del Time che gli chiedeva se il comandante Schettino era ubriaco e se era a cena con delle «fashion models» al momento dell’incagliamento della Costa Concordia davanti al Giglio – scrive Erika Della Casa -. «Il comandante, per quanto ne so, beve solo acqua — ha risposto Foschi — e noi facciamo periodici controlli antialcol e antidroga ai nostri equipaggi». Al momento dell’incidente Schettino era sul ponte di comando: «È stata sua la decisione di cambiare la rotta, una manovra non autorizzata e di cui non eravamo a conoscenza. Daremo al comandante l’assistenza legale necessaria ma ci dissociamo dal suo comportamento. Non sono state rispettate procedure certificate e scritte. Noi ci sentiamo parte lesa in questa vicenda»”.

“L’ammutinamento del Concordia «Basta, evacuiamo noi la nave»”: LA REPUBBLICA fa un doppio titolo (l’altro è su “Draghi: crisi grave S&P boccia anche il Fondo salva-stati”). Sulla tragedia del Giglio (sono ancora 29 i dispersi) i servizi da pagina 8, inaugurati dal pezzo di Bonini e Mensurati che riferiscono delle telefonate allucinanti che il “comandante” ha avuto la notte della tragedia e dalle quali emerge una confusione mentale e una incapacità di stare alla plancia di comando e di assumere qualsiasi decisione. Tant’è che mentre lui era costantemente al telefono, senza impartire disposizioni, il comando è stato di fatto preso da un altro, Roberto Bosio secondo il quale «per i primi quaranta minuti dall’impatto la nave è rimasta in assetto. Avremmo potuto agevolmente calare le scialuppe… Saremmo arrivati tutti a terra senza neanche bagnarci i piedi». “Guascone spericolato, autoritario guidava la nave come una Ferrari” è il ritratto che i due dipingono di Schettino, del quale riportano le frasi a proposito del Titanic. «Sulla nave deve regnare una disciplina quasi militare. Il comandante deve avere tutto sotto controllo… E soprattutto deve essere là dove è necessario che sia». Così si esprimeva a dicembre 2010 Schettino aggiungendo: «Non vorrei mai trovarmi nei panni del comandante del Titanic… Oggi però tutto è più facile grazie a strumenti tecnici molto sofisticati e a Internet. Un eventuale errore non sarà mai fatale perché siamo ben preparati ad affrontare le situazioni difficili». La situazione del mare comincia però a preoccupare: la nave si è spostata e c’è il rischio di un disastro ambientale. Nei prossimi giorni è previsto mare grosso e la nave potrebbe cadere nel dirupo di 70 metri che è al suo fianco. Il difficile è estrarre il gasolio: con la bassa temperatura si condensa come catrame ed è quindi difficoltoso estrarlo. Oggi o forse domani arriverà una zattera per pompare il carburante. “Un improbabile Lord Jim disonorato dalla fuga” è il titolo di un pezzo di Bjorn Larsson: un capitano non è al riparo dal panico, dal senso di inadeguatezza, ma nessun uomo di mare può permettersi di scappare dalla imbarcazione che fa naufragio. In questo caso «l’ipocrisia e la malafede con le quali ha cercato di nascondere il suo comportamento assurdo e imperdonabile». «In Italia ho incontrato pescatori che si ribellavano alle norme che impediscono di soccorrere i clandestini caduti in mare perché questa è una regola rispettata da secoli e in ogni conflitto. Forse oggi sono gli armatori che non vogliono più sentir parlare di etica perché significa attenersi a una serie di comportamenti considerati anti-economici, che comportano dei costi lontano dalle regole del profitto».

Spazio su IL GIORNALE alla tragedia della Costa Concordia. In taglio basso “Le telefonate che inchiodano il comandante” di Gian Mario Chiocci, dove viene raccontata, attraverso le intercettazioni, tutta la verità sul naufragio. Il comandante sembrerebbe aver abbandonato la nave dopo la manovra sciagurata. A fianco all’interno, sempre a cura di Chiocci, “L’ultima vergogna: la lista nera dei dispersi è un caos di numeri”. «La «Schindler’s list» della Concordia è l’ultimo oltraggio. L’ennesima vergogna. Con la portaerei del divertimento ammarata sugli scogli, è la farraginosa macchina dei soccorsi a colare a picco. Bisogna ringraziare il bordello tipico italiano se negli abissi della disperazione ora si trova chi è straziato dall’attesa di sapere se rivedrà mai mogli e figli, parenti e amici». Il giornalista spiega anche il caos sui numeri, «La «black list» conta, a tutt’oggi, 15 dispersi (11 passeggeri e sei componenti dell’equipaggio), ma il numero vero sarebbe un altro: 23. O forse 29, secondo l’ultima stima della Capitaneria di Porto. Sono calcoli fatti mettendo a confronto gli elenchi dei soccorritori con quello dell’armatore», e ancora, «Prima si era parlato di 4.234 persone a bordo, poi diventate 4.229: 3.216 passeggeri e 1.013 membri dell’equipaggio di 62 nazionalità diverse». Anche Marcello Veneziani nella sua rubrica quotidiana “Cucù” si occupa dell’incidente e titola “La crociera nell’età dell’oro” in cui scrive «Natura batte Tecnica uno a zero, con autogol umano. Anche qui la tecnica, da sola, non salva…». 

“Un popolo di navigatori”, questo il titolo a tutta pagina per la prima del MANIFESTO in cui appare la fotografia del ponte della Concordia rovesciato in mare. “Dal relitto della Costa Concordia viene recuperata la sesta vittima del naufragio, ma resta l’incertezza sul numero reale dei dispersi. E l’emergenza ambientale è alle porte. Il ministro Corrado Clini al manifesto: «Ora a rischio l’ecosistema, ma interverremo per modificare le rotte». Il comandante sarà interrogato oggi in carcere”, spiega il sommario che rinvia alle pagine 2 e 3 completamente dedicate al tema. Nell’editoriale di Guglielmo Ragozzino “Gita al Giglio” si ricordano da un lato la tragedia di Haiti dove a pochi giorni dal terremoto nelle acque dei Caraibi incrociavano le navi da crociera, si fa un parallelo con altri disastri e con le conseguenze di questi per il Pil e aggiunge: «(…) Tutto lascia presagire che le crociere continueranno, con forse un po’ più di cautele in più, per qualche tempo» e infine «(…) sembrano siano millequattrocento le navi di stazza gigante che si infilano a Venezia, nel canale della Giudecca, in un anno. La follia è di casa in Italia (…) Nel mare di follia galleggiano stupidità, incompetenza, vigliaccheria (…)». Alle pagine 2 e 3 nel sommario dell’articolo principale “C’è ancora tanto da fare” si accenna alle ricerche che continuano e alle indagini che “puntano sempre più sul comandante”. A pagina 3, invece, si trova un’intervista al ministro Corrado Clini che annuncia «Tuteleremo i nostri mari” e una «Svolta totale sulle rotte» e fa sapere che è già stata aperta una procedura di danno ambientale «Perché il danno c’è già, ma se dovesse manifestarsi nei termini peggiori allora sarà un bel problema perfino calcolarlo». Nel commento di Alberto Piccinini affiora un parallelo tra Concordia e Italia “Affondati in una metafora” il titolo. Si parla di twitter e youtube dove «(…) lo spazio dei commenti si affolla velocemente. Affiora un’umanità stupìta, livida, rabbiosa. “Vedrai che l’Italia farà la stessa fine” “È già affondata”. Il capitano Schettino soprannominato “Mr. Scoglio” in breve tempo passa per “Lo scugnizzo napoletano” poi definitivamente per il “terrone”. Insulti tra nord e sud. Affondare dentro una metafora (…)» e a fine articolo si parla di una cerca Katya Keyvanian che su Facebook posta la sua difesa del Comandante, Katya «lavorava sulla nave» e l’articolo si conclude «Non sappiamo neanche, adesso, se una Katya esista veramente». 

Alla vicenda Costa IL SOLE 24 ORE dedica un commento in prima pagina, firmato da Attilio Geroni “Quell’immagine italiana naufragata con la Concordia”. Geroni invita a uscire dalla logica del capro espiatorio: «Non diamo però solo la colpa al Lord Jim di turno, il comandante che con la manovra scellerata del saluto – di prassi piuttosto comune, pare, tra le grandi crociere – e l’abbandono prematuro della nave, si è attirato il disprezzo del mondo. Un altro elemento emerso con prepotenza dalla tragedia è la difficoltà nel fare evacuare una cittadella multipiani di oltre 4mila abitanti nei tempi e nei modi che consentano la messa in sicurezza di tutte le persone a bordo. Ci sono aspetti e procedure da chiarire che riguardano questa grande industria del turismo, cresciuta vertiginosamente, dai 5 milioni di passeggeri del 1990 ai quasi venti milioni del 2010. Un’industria che secondo gli esperti, per combattere la crisi, avrebbe praticato una forte politica di ribasso dei prezzi. Finché tutto va bene si chiama marketing, ma quando l’infinitesima probabilità di una sciagura si materializza a qualche metro dall’isola del Giglio, gli interrogativi sulla sostenibilità di certi numeri (affollamento delle navi) e di certe prassi (avvicinamento eccessivo alla costa, come nel caso di Venezia e altri) si moltiplicano e sono più che legittime».

ITALIA OGGI mette in evidenza l’allarme lanciato dal sindaco di Venezia Giorgio Orsoni sull’attracco delle grandi navi in Laguna.  Il sindaco aveva cominciato a dare ascolto al locale comitato “no grandi navi” di alcune centinaia di residenti che ogni passaggio nel Canale della Giudecca di uno di questi megacondomini galleggianti inalberano cartelli e suonano trombette per protesta.  Le autorità portuali guidate da Paolo Costa ( che non è parente dei Costa armatori) ha sempre difeso il valore di questo flusso di turisti. Dopo l’incidente del Giglio Orsoni è tornato a attaccare dichiarando «che faremo tutto quanto è in nostro potere per trovare risposta di buona politica che allontani le navi dal bacio di san Marco». 

“Una conta angosciosa” punta sulla ricerca dei dispersi il titolo di apertura di AVVENIRE che sceglie una foto in cui in primo piano si vedono i soccorritori a terra e sullo sfondo i ponti azzurri della nave. Tra i richiami “Il popolo della nave naufragata si ritrova su Facebook” e evidenziato in giallo “Il caso. Il recupero impresa ardua”. Marina Corradi firma l’editoriale “L’altra faccia di una tragedia” come recita l’occhiello mentre il titolo è “Quel coraggio ci interroga”. «(…) Il coraggio e l’egoismo o la viltà emergono dalle testimonianze del naufragio con una schietta evidenza, che però non sempre corrisponde agli schemi precostituiti. Il coraggio si mostra su facce che avresti detto qualunque, e non magari dietro una divisa, a delle mostrine, là dove te lo aspetteresti. Perché una tragedia come quella dell’altra notte è una sorta di reagente nel coacervo di sconosciute umanità di una grande nave con 4.000 persone a bordo (…)» e ancora «(…) Se nella vita quotidiana è possibile illudersi di essere forti e generosi, negli istanti di una emergenza, mentre la folla spinge e le carrucole delle scialuppe cigolano inceppate, non si può traccheggiare, né ingannarsi. C’è una molla potente e antica, l’istinto di sopravvivenza, che spinge verso la salvezza. Come accadrebbe in un’orda di animali inseguita dai cacciatori: si travolgono fra loro, tesi a sopravvivere. (…)» e conclude «(…) E noi che non c’eravamo stiamo a guardare e ad ascoltare, attenti, commossi e come stranamente inquieti: e tu – è come se qualcuno ci dicesse – in quel buio, in quel panico, cosa avresti fatto? Saresti tornato sui tuoi passi, tu, per un grido avvertito in una cabina chiusa? Certo le madri, i padri, sì, ritornano, a cercare i figli. Ma c’è gente che non era padre né madre, eppure è tornata indietro, come inesorabilmente legata all’altrui destino. Ed è questo, in una notte come quella del Giglio, il più grande mistero». Pagina 3 e completamente dedicata ai post su Facebook nella pagina aperta dal giornalista Luciano Castro “che ha deciso di aprire un profilo su Fb per accogliere esperienze, proteste, polemiche e interventi». Solo a pagina 5 in un box grigio in alto si dà conto della telefonata tra il capitano e la capitaneria con il titolo che è una frase pronunciata dall’ufficiale della guardia costiera «Comandante, ma che fa? Va a casa?» Le ultime due pagine dedicate alla Concordia, la 6 e la 7, sono tutte dedicate all’analisi dei danni e al disastro ambientale incombente. 

“Poteva salvarli tutti ma ha dato l’allarme quando era tardi”. E, ancora. “I pm: manovra sciagurata, poi il comandante ha cercato di nascondere il disastro”. LA STAMPA dedica due pagine alla posizione di Francesco Schettino, comandante della Costa Concordia, e della catena di follie e inadempienze che hanno portato al disastro, a un’incredibile serie di omissioni e ritardi nel dare l’ordine di sbarco e a una – pare ormai con certezza – fuga vergognosa mentre ancora a bordo stavano iniziando le operazioni di salvataggio, gestite – pare – da ufficiali ammutinati. Una situazione incredibile. Schettino, che oggi sarà interrogato dal Gip, è nel carcere di Grosseto, piantonato a vista per il timore che possa “mettere in atto gesti autolesionistici”. Il commento, psico-sociologico, è affidato in prima pagina a Massimo Gramellini, che riflette su Schettino come “tipo italiano” che ha nel giro di poche ore di follia ha riaffondato l’immagine del nostro paese nel mondo. Scrive Gramellini: «C’erano voluti due mesi per ritornare all’onor del mondo. Due mesi di loden e manovre, di noia e ricevute fiscali. Due mesi per nascondere i politici di lungo corso sotto il tappeto o in un resort delle Maldive. Due mesi per far dimenticare il peggio di noi: la faciloneria, la presunzione, la fuga dalle responsabilità. E invece con un solo colpo di timone il comandante Schettino ha mandato a picco, assieme alla sua nave, l’immagine internazionale che l’Italia si stava ricostruendo a fatica. Siamo di nuovo lo zimbello degli altri, il luogo comune servito caldo nei telegiornali americani, il pretesto per un litigio fra due politici francesi (francesi!), uno dei quali ieri accusava l’altro di essere «come quei comandanti che sfiorano troppo la costa e mandano la loro barca contro gli scogli».  Mi auguro che non tutto quello che si dice di Schettino sia vero: anche i capri espiatori hanno diritto a uno sconto. Ma se fosse vero solo la metà, saremmo comunque in presenza di un tipo italiano che non possiamo far finta di non conoscere. Più pieno che sicuro di sé. Senza consapevolezza dei doveri connessi al proprio ruolo. Uno che compie delle sciocchezze per il puro gusto della bravata e poi cerca di nasconderle ripetendo come un mantra «tutto bene, nessun problema» persino quando la nave sta affondando, tranne essere magari il primo a scappare, lasciando a mollo coloro che si erano fidati di lui. Mi guardo attorno, e un po’ anche allo specchio, e ogni tanto lo vedo. Parafrasando Giorgio Gaber, non mi preoccupa lo Schettino in sé, mi preoccupa lo Schettino in me».


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA