Welfare & Lavoro

Mai più i volti dei mendicanti sui giornali

Secondo i giudici si tratta di diffamazione

di Redazione

Mai più foto che ritraggono i volti dei mendicanti. Lo intima la Cassazione, sottolineando che «non è possibile negare l’oggettiva valenza diffamatoria» alla pubblicazione di uno scatto di chi chiede la carità: «la coscienza comune», spiega la Quinta sezione penale, «pone questi soggetti in uno dei gradini più bassi della cosiddetta scala sociale ed è allora naturale che chi sia costretto dalla necessità a praticare la mendicità e venga additato come tale si sentirà mortificato e gravemente ferito nella sua onorabilità». Se si vuole denunciare il dilagare di un fenomeno, dice la Cassazione, è necessario «coprire i volti delle persone coinvolte in fenomeni sui quali grava un pesante giudizio negativo della collettività».

La vicenda analizzata dalla Suprema Corte nasce dalla querela sporta da una rumena ultratrentenne, Ciurar C., comparsa in una fotografia pubblicata a corredo di un articolo di un giornale di Trento nel quale venivano riportate le reazioni e i commenti dei cittadini, pure loro rappresentati fotograficamente, nell’ambito di una tavola rotonda sul “pacchetto sicurezza” e sull’istituzione delle ronde. A corredo del servizio, la foto della rumena accompagnata dalla didascalia “una questuante all’opera nel centro storico di Trento”. Il gip di Trento, il 31 gennaio 2011, aveva dichiarato il non luogo a procedere «perché il fatto non sussiste» nei confronti del direttore e dell’autore dell’articolo, ritenendo non diffamatorio l’articolo e le foto improntati a scoraggiare «fenomeni quali la prostituzione, il vandalismo e l’accattonaggio diffuso». La Cassazione è stata di tutt’altro avviso.

La rumena fotografata a mendicare ha fatto ricorso in Cassazione, facendo notare che era l’unica delle persone ritratte a rappresentare il problema che il “pacchetto sicurezza” avrebbe voluto affrontare e che, nel testo, si parlava di “accattonaggio diffuso legato ad organizzazioni criminali”. Piazza Cavour – sentenza 3721 – ha accolto la tesi difensiva della rumena e ha osservato che «la fotografia di Ciurar C., indicata come questuante all’opera, posta a corredo dell’articolo non può essere considerata neutra, dal momento che il lettore è portato ad identificare la persona rappresentata con uno dei mali da combattere», l’accattonaggio diffuso, «e l’ipotizzato collegamento con ambienti malavitosi – ed uno dei problemi da eliminare per garantire una pacifica vita cittadina».

La Cassazione fa notare che «quando per esigenze di cronaca si mostrano immagini di persone in qualche modo coinvolte in fenomeni sui quali grava un pesante giudizio negativo della collettività, al fine di evitare che si crei un preciso collegamento tra un fenomeno generale e una specifica e individuabile persona fisica ed evitare quindi la conseguente e inutile carica di disdoro personale, si usa sgranare o comunque coprire il volto della persona ritratta per renderla non identificabile».


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