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Pronti a morire

Il missionario che sfida sanguinari guerriglieri per salvare i ragazzi della Sierra Leone. La suora che strappa al marciapiede le prostitute delle borgate romane.

di Cristina Giudici

Preti che sfidano sanguinari guerriglieri africani. Sacerdoti che sfidano i boss di Cosa nostra. Suore che sfidano i protettori delle prostitute. Sono molti, moltissimi i religiosi che ogni giorno rischiano la vita in quella chepare una ?missione impossibile?: portare la speranza, Gesù Cristo, un briciolo di umanità dove di più la dignità umana è calpestata. Uomini e donne che a volte la loro vita la sacrificano davvero, senza esitazione. Come accadde a don Isidoro Meschi, il prete di Busto Arsizio ucciso il giorno di San Valentino del 1991, a 45 anni, proprio da uno dei giovani che aiutava: uno squilibrato che era geloso dell?attenzione che don Isidoro dedicava ai tossicodipendenti, nella Comunità da lui fondata. Oppure come è successo alle tre suorine di Madre Teresa uccise nello Yemen l?estate scorsa da un ex mujaheddin della guerra di Bosnia, un musulmano che aiutavano e che tuttavia loro rinfacciava di essere cattoliche, proprio come i suoi nemici croati. O ancora, come l?altra suorina di Madre Teresa uccisa qualche giorno fa in Sierra Leone dalle bande di pazzi assassini che vanno in giro a bruciare villaggi e a tagliare mani e piedi, e che continuano a rapire anche gli unici che fanno davvero qualcosa per loro: i missionari. A metà gennaio in un quartiere della capitale Freetown ne hanno prelevato di un colpo addirittura undici, fra cui molti italiani: prima di rilasciarli, i ragazzini-soldato hanno ucciso a sangue freddo la suorina indiana, e hanno sparato anche sul bresciano padre Girolamo Pistoni, salvatosi perché s?è finto morto. Rapito, ma non demorde Berton: Il Vangelo è temerario Fra gli altri missionari-eroi rilasciati, c?era anche il saveriano vicentino Bepi Berton, 67 anni, che da trent?anni dedica la sua vita ai ragazzi della disgraziata Sierra Leone, il Paese più povero del mondo. Senza temere le raffiche di mitra e i colpi di machete, padre Berton ha raccolto nelle sue case-famiglia centinaia di ragazzini che erano stati sottratti da bambini alle loro famiglie e trasformati in assatanati miliziani. E ha volutamente scelto di andare nel nord del Paese, nella zona più pericolosa, dove nessuno voleva andare: «Il Vangelo è temerario!», dice l?anziano saveriano. «Coinvolgendomi totalmente con la gente non ho avuto dubbi che quello era il mio posto, non ho mai pensato di abbandonare. Certo, alcuni villaggi abbiamo dovuto abbandonarli perché rimanervi avrebbe voluto dire essere stupidamente temerari, non evangelicamente temerari, visto che non c?era più la gente, che tutti erano fuggiti». È questa forza ideale che ha spinto padre Berton, sostenuto in Italia dalla ong Avsi, a fare persino a pugni e a sassate, per strappare alla difesa civile sei suoi ragazzi, ex guerriglieri, che la difesa civile aveva riconosciuto e che voleva passare per le armi. Ma i fronti di guerra non sono solo nel Terzo mondo, sono anche alle nostre frontiere prese d?assalto da emigrati disperati, o nelle periferie degradate in preda a spacciatori di droga e magnaccia, o delle Regioni meridionali dove spadroneggia la criminalità organizzata. Anche qui ci sono religiosi pronti a correre qualunque rischio. Come suor Patrizia. Suor Patrizia: Troppo rischio?la solidarietà non è mai gratis Il suo carisma è la Consolazione, il suo cavallo di battaglia è il network, la rete, dove costruire un universo di solidarietà nei cinque continenti. Suor Patrizia Pasini, 60 anni, appartiene alla congregazione delle suore missionarie della Consolata. Dopo 15 anni in Kenya, oggi lavora con una task force che ogni mercoledì notte si reca sulla via Salaria, a Roma, a incontrare le prostitute straniere. «Non per evangelizzarle», dice, «ma per far capire loro che non sono sole e che, se e quando arriverà il loro momento, noi saremo lì ad aspettarle e aiutarle a sparire, cambiare città ed esistenza. Abbiamo portato in ospedale una ragazza albanese che era incinta di cinque mesi ed era costretta a continuare a prostituirsi. Se lei lo deciderà , noi siamo pronti a ogni evenienza». Per organizzare questo servizio di strada, suor Patrizia e gli altri volontari, fra cui un prete, ha avvisato le consorelle del pericolo di questa missione. E ogni mercoledì notte si mette in collegamento con la stazione di polizia del quartiere attraverso un cellulare. «Se vediamo una macchina sospetta che sfreccia dietro di noi, chiediamo informazioni alla polizia. Certo, il rischio è sempre da mettere in conto. Del resto la solidarietà non è mai stata gratis». Suor Patrizia lavora incessantemente nel coordinamento pace e giustizia delle congregazioni missionarie internazionali per costruire un grande network internazionale che metta in rete solidarietà laica e cattolica da ogni angolo del mondo. «Io uso sempre la parola link, se hai un link con la società civile, con la gente, con il mondo in cui vivi, è più facile mettere in pratica la solidarietà. Ci è già successo di avere problemi seri, come quando una nostra consorella è stata rapita dai musulmani in Somalia. Abbiamo deciso di non parlarne con la stampa e alla fine lei è stata liberata grazie alla pressione delle donne somale perché preferiamo agire così, senza far rumore. Certo, anche nella Chiesa si ripetono le gerarchie che ci sono nella società civile. C?è chi preferirebbe vedere le suore relegate a ruoli tradizionali o al massimo esecutivi, ma mai pensanti. E invece noi usciamo tutti i giorni e cerchiamo di cambiare le cose. Affrontiamo i rischi e i pericoli della nostra missione tutti i giorni, ma in silenzio. E le assicuro che anche così, senza urla e articoli di giornale, abbiamo fatto molte cose. Il nostro carisma è la Consolazione, inteso come l?annuncio di una buona notizia, la notizia che esiste un regno dentro ognuno di noi, delle risorse che tutti, anche i non credenti, possono scoprire per iniziare a lottare, a cambiare la propria vita e a cercare di rendere il mondo un po? più giusto». Il martirio di don Puglisi non deve essere disperso E infine scendiamo in Sicilia per andare a trovare uno dei sacerdoti che continuano idealmente l?opera di don Puglisi, il prete martire della mafia. Che cosa fa pensare la morte di don Beretta a chi è in prima linea non sul fronte emigrazione ma su uno altrettanto scottante, quello dell?emarginazione e del disagio in terre tradizionale dominio di Cosa nostra? «È normale che vicende come l?assassinio di don Beretta, ucciso da uno di quegli stessi extracomunitari che lui assisteva amorevolmente, ci lascino tutti smarriti. Ma un conto è la reazione emotiva iniziale, un altro è continuare a guardare le cose con l?ottica più ampia di chi, come il sacerdote comasco e chi è impegnato quotidianamente contro la mafia o la droga, si batte per un cambiamento radicale della nostra società». Per don Cosimo Scordato, rettore della chiesa di San Francesco Saverio e animatore del centro sociale dell?Albergheria, uno dei quartieri più disagiati di Palermo, episodi come l?assassinio del parroco di Ponte Chiasso sono l?ennesima dimostrazione che il «livello del bisogno è cresciuto drammaticamente su tutti i fronti e ci impone risposte strutturali che, per miopia o egoismo, finora non siamo stati in grado di dare. Ci troviamo di fronte a un fatto epocale, con l?approdo di migliaia di disperati provenienti dal Terzo mondo, che fuggono guerre e miseria. Eppure per l?Italia si tratta solo di un problema di flussi da regolare burocraticamente. Occorre, al contrario, una revisione del nostro modello di sviluppo, basato sull?accumulo frenetico di denaro: all?accoglienza, come la faceva don Berretta, come la fa il centro di don Meli qui a Palermo, va perciò affiancata una seria politica di sostegno ai Paesi di provenienza, condotta dall?intero Occidente». Con la stessa ottica bisogna guardare alla lotta alla mafia: «Finora è stata vista solo come un problema di ordine pubblico e di legalità, ma anche in questo caso si tratta di una risposta parziale, spesso di comodo. Dalla denunzia, dallo scontro, è necessario passare alla proposta. A chi cede ogni giorno alle tentazioni di facile guadagno offerte dalla mafia, bisogna offrire modelli alternativi, dignitosi e al tempo stesso convenienti, capaci di convogliare le energie positive che ci sono in ognuno. La nostra società dovrebbe essere più creativa, dovrebbe offrire alla gente una libertà che non sia schiava di qualcos?altro, come lo è ora del denaro». Senza queste ?risposte strutturali?, prosegue don Cosimo, i rischi di chi opera nel sociale aumentano enormemente, ogni realtà diventa sempre più difficilmente gestibile sul piano personale, diventa purtroppo uno ?sforzo eroico?. «I martiri di don Beretta come di don Puglisi sono invece una testimonianza che non va dispersa e al tempo stesso un fortissimo appello all?impegno corale: il volontariato e la cultura della legalità devono riguardare tutti perché i problemi sono di tutti. E tutti insieme dobbiamo premere su chi governa il mondo perché trasformi l?emergenza nell?occasione per fare un?umanità nuova». «È un cammino faticoso», conclude il sacerdote, che non tira mai in ballo la parola ?paura?, «e purtroppo bisogna anche aspettarsi perdite dolorose». È da mettere in conto insomma che si possa ricevere del male perfino da quelli cui si fa del bene. Ma in fondo il Vangelo ci ricorda che «è meglio dare che ricevere».


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