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Anche il terzo settore deve uscire dai suoi recinti

La società civile è più matura di come la si vorrebbe dipingere... di Vilma Mazzocco

di Redazione

Il terzo settore dà forma e sostanza al bisogno di innovare, cambiare, ridefinire trasversalmente la dinamica sociale, economica ed istituzionale, dando visibilità ad una parte della società civile che si candida a testimoniare, con i fatti e le azioni, un modo nuovo di regolare la democrazia e l?economia. Una democrazia più diretta e partecipata, che esprima maggiore coerenza con il dettato costituzionale e che consenta la diffusione massima e orizzontale della responsabilità pubblica e privata verso il bene comune. Un?economia che parta dal basso nei processi reali, che generi forme nuove di capitalismo di rete e non di famiglia.

Il terzo settore non esprime né si candida ad esprimere istanze rivoluzionarie estranee ed avulse dai soggetti che critica o sollecita, con i quali, al contrario, intesse quotidianamente relazioni di reciprocità costruttiva e riformista. Ora, considerare la crescita della società civile che, organizzandosi nel terzo settore, diviene soggetto delle politiche sociali e del lavoro, quindi soggetto di politica attiva, come soggetto alternativo e antagonista ai protagonisti della politica, dell?economia e dello Stato è un po? come disconoscere il livello raggiunto della sua maturazione. La società civile organizzata è molto più lungimirante e concreta di taluni che la vogliono rappresentare. è inserita e partecipa ormai attivamente in molti gangli vitali della convivenza civile, nei luoghi dell?economia, della politica, della finanza, e laddove si scontra con modalità vecchie, che non prevedono i tratti innovativi di cui si fa portatrice, gioca con forza la propria capacità critica, quando e come serve anche di opposizione nei processi decisionali, ma sempre costruendo da dentro processi innovativi.

La politica che non è politica per la gente, l?economia che non è economia per il bene comune, lo Stato che non è al servizio dei cittadini rappresentano i luoghi ed i terreni dove i cambiamenti si devono agire giocando il protagonismo del nuovo ovunque si preveda potenzialmente incidente ed efficace. Per questo il terzo settore più maturo si rende sensibile e guarda con attenzione a tutto ciò che di nuovo si va formando nella politica e nell?economia partecipandovi attivamente, senza rivendicazioni autoreferenziali o pretese sostitutive, con il gusto della pluralità degli apporti e la fiducia nel potenziale di crescita comune quando la contaminazione è reciprocità nel cambiamento. I richiami all?estraneità che tutela le proprie presunte ?purezze? sono implicite affermazioni delle fragilità di chi l?acclama; più che una garanzia di cura del valore di cui si è portatori, inoltre, legittimano ulteriormente la presunta impermeabilità delle vecchie forme di rappresentanza dei cittadini al nuovo che avanza.

Quando si parla di crisi della politica e in risposta ad essa si sente il bisogno di coniugare altre allocazioni semantiche o luoghi ?altri? del protagonismo sociale, come prepolitica, parapolitica, antipolitica od altro, prendendo le distanze da essa, è come se si girasse intorno all?oggetto malato facendo riti scaramantici senza intaccare nei fatti la natura reale della crisi o, peggio ancora, si alimenta una visione esclusivamente alternativa carica di aspettative tanto accaloranti quanto velleitarie.

Scrive Paul Ginsborg nel suo libro La democrazia che non c?è: «La democrazia è un sistema politico mutevole e insieme vulnerabile. Per rivitalizzarla oggi è indispensabile connettere rappresentanza e partecipazione, economia e politica, famiglia e istituzioni». Si può essere d?accordo o meno, fatto sta che tutte le sfere citate da Ginsborg non sono né possono essere compartimenti stagni. è nei recinti che ciascuno di noi anche involontariamente si costruisce che nascono le deviazioni etiche, organizzative, le nicchie di testimonianza, i leaderismi ad oltranza. Ovunque. Nei partiti come nelle istituzioni, nelle organizzazioni di società civile, nei sistemi di imprese. Queste sfere non solo devono dialogare, quindi abbattere ogni forma di recinzione che spesso rappresentano una difesa di prerogative, privilegi, posizioni, ma devono compenetrarsi, connettersi appunto.

Non può esistere società civile senza l?incoraggiamento attivo dello stato democratico. Né la politica può rinnovarsi senza il sostegno e il controllo attivo delle associazioni della società civile. La politica non è solo partiti, ecco perché non può esistere una generica antipolitica che prende le mosse dalle critiche al sistema dei partiti. Se la società civile organizzata prepara uomini e donne che un giorno si assumono responsabilità anche dentro i partiti o nelle diverse formazioni politiche è un bene? Certo che lo è. Come ci si compenetra se non anche con le persone portatrici di percorsi, di esperienze di culture?

Il coraggio della partecipazione nella solidità delle mie convinzioni mi ha portato a dire di sì al Comitato dei 45 per il Partito democratico e ad affrontare a testa alta il confronto con i protagonisti della società politica per definire le regole e i contenuti di una politica nuova. E mi ha portato a dire di no a tutte le proposte di candidatura nelle liste regionali e nazionali per la costituzione di un partito nuovo.


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