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Contrordine: via libera al quartiere a luci rosse

Dopo le smentite la conferma arriva dall'assessore D'Angelo: «Ma non sarà una nuova Amsterdam». I tempi? «Lo zoning verrà implementato nel prossimo futuro». Con buona pace del vescovo Sepe

di Chiara Caprio

 

Su Repubblica Napoli campeggia la foto della pace. Il Vescovo Sepe e il sindaco De Magistris stringono a quattro (e più) mani una pizza partenopea e risolvono così la controversia sul “quartiere a luci rosse”. Ma, nonostante il “patto della pizza”, il progetto si farà, esiste ed è già stato discusso, come spiega a Vita l’assessore alle politiche sociali del comune, Sergio d’Angelo. Non sarà un modello Amsterdam criticato su Vita.it da Suor Rita Giarretta ma sarà quello zoning urbano che piace al terzo settore campano. Rimangono punti oscuri, come il ruolo dei cittadini e quello delle associazioni che ancora agonizzano a causa dei tagli al settore. Vita ha chiesto a D’Angelo come affronteranno la questione prostituzione e le altre “emergenze” del napoletano. 
 
Sergio D'Angelo
Assessore D’Angelo, parliamo bene della vostra proposta per un “quartiere a luci rosse”. Cosa avete in mente?
Per prima cosa ci tengo a specificare che non si tratta di una proposta lanciata a caso, ma di un percorso iniziato da molto tempo con le associazioni che lavorano su prostituzione e tratta. E’ un problema che richiederà comunque molto tempo e lo zoning verrà implementato nel prossimo futuro. Di certo però non ci sarà alcun modello Amsterdam. Le associazioni già offrono lavoro, assistenza legale o sanitaria e percorsi di protezione a prostitute e trans che lavorano in strada. Tra l’altro, secondo i dati che abbiamo a disposizione, possiamo dire che si tratta di circa 150 persone, non di più. Il nostro obiettivo è intensificare il contrasto alla tratta e allo sfruttamento della prostituzione circoscrivendo il fenomeno a una zona ben precisa. Napoli ha già una sorta di zoning naturale nell’area della stazione centrale e piazza Garibaldi, dove si concentrano le prostitute e i quasi 2000 clienti giornalieri. Noi vogliamo ulteriormente circoscrivere il fenomeno all’interno di quell’area, con lo scopo di renderlo più visibile e quindi agevolare il lavoro delle associazioni. 
 
Quindi in pratica lo zoning deve essere istituzionale e non più naturale?
No, non dico questo. Dico solo che si tratta di un lavoro da fare in strada per convincere le prostitute a rimanere in una determinata zona, anche per garantire loro maggiore sicurezza. E’ un lavoro da fare con gli operatori e con i cittadini della zona. Non pensiamo si possa fare con ordinanze sindacali, a livello amministrativo, ma solo stando nel solco della relazione che gli operatori hanno creato con le ragazze e le trans. 
 
E con i cittadini come farete?
I cittadini sono i nostri naturali alleati, anche se a volte reagiscono alle proposte o ai cambiamenti in base ai messaggi diffusi dai media. Bisogna reagire alla realtà, non alla percezione delle realtà. E quindi è necessario continuare a discutere e informarsi per capire quale sia veramente la situazione. Andremo avanti con la mediazione dei conflitti, contrastando il degrado che purtroppo spesso accompagna la prostituzione e garantendo più sicurezza anche ai cittadini. 
 
Ma quindi avete già in mente la zona della città in cui “restringerete” questo fenomeno?
La zona è già stata individuata, rimarrà quella della stazione. Eviteremo però le parti ad alta densità abitativa, le vie con scuole, per esempio. Però non possiamo pensare di mandare le prostitute fuori dalla città e isolarle. Cercheremo di circoscrivere ulteriormente laddove già c’è la loro presenza. Senza delibere e senza ordinanze sindacali. 
 
Insisto, quindi in questo meccanismo non sono previste consultazioni ufficiali della cittadinanza?
L’opera di convincimento che dicevo verrà fatta anche con i cittadini. Già abbiamo incontri frequenti con i comitati cittadini e con gli abitanti, che hanno anche dialogato con gli operatori di strada. Alcuni di loro sono saliti sulle unità mobili proprio per capire in prima persona qual’è la situazione reale. 
 
Insomma, nessuna sorta di consultazione cittadina locale?
Assolutamente no. Ritengo che utilizzare una sorta di referendum sarebbe una modalità sommaria e sbrigativa, che non darebbe a nessuno l’opportunità di conoscere il fenomeno per quello che è. Dobbiamo continuare sulla strada della concertazione senza essere ideologicamente a favore delle persone fragili o degli interessi confliggenti dei cittadini. 
 
Lo zoning però non si applica solo alla prostituzione. State applicando questa modalità anche ad altri fenomeni?
Per prima cosa, non ci sono molte esperienze di zoning applicato alla prostituzione. Lo zoning nasce per vincolare la destinazione di un’area urbana. Per gli ambulanti esistono già le zone mercatali, anche se devo dire che ci siamo inventati qui a Napoli un’applicazione dello zoning agli ambulanti etnici abusivi, con lo scopo di sanare un fenomeno illegale. Proprio vicino alla stazione abbiamo istituito un’area mercatale, con un bando che prevedeva la creazione di 80 stalli, presi oggi da lavoratori che svolgono così un’attività regolare, senza vendere merci contraffatte e quindi rimanere nelle mani della Camorra. Il nostro obiettivo è far emergere questi fenomeni, per contrastarli e sanarli. 
 
A proposito di contrasto alla criminalità, quindi lo zoning applicato alla prostituzione servirà anche per il contrasto alla tratta? O non sarebbero forse più utili finanziamenti e progetti ad hoc?
Per quanto riguarda il finanziamento alle associazioni che lottano contro la tratta di esseri umani, noi abbiamo già il sostegno del ministero delle pari opportunità, che garantisce tutt’ora investimenti in tal senso. Noi ci aggrappiamo alle risorse nazionali e a quelle della regione con attività di co-finanziamento. Abbiamo a disposizione poche risorse, ma sappiamo che, almeno quelle per il prossimo anno ci saranno. 
 
Ecco, la questione dei finanziamenti è molto calda per le associazioni campane. Come la mettiamo con i soldi che il comune deve al terzo settore locale?
Lasciatemi rivendicare le mie lotte e il fatto che in un anno non fosse possibile risolvere problemi accumulati in un decennio. Noi abbiamo trovato un’amministrazione che versava in una condizione drammatica. Il comune di Napoli aveva debiti per oltre due miliardi di euro e ritardi di tre-quattro anni nei pagamenti. E non stiamo parlando solo del terzo settore, ma anche del profit. Siamo riusciti a far uscire il comune dal commissariamento e abbiamo sbloccato i fondi regionali previsti dalla legge 328. Abbiamo mantenuto invariato il numero di investimenti sulle politiche sociali, cosa non scontata in un panorama in cui hanno tagliato praticamente tutte le risorse nazionali per il sociale. Per capirci, prima la regione Campania investiva 32 euro pro capite per i servizi sociali mentre nel 2012 investe 20 centesimi…
 
Però le modalità di finanziamento nel settore dei servizi sociali a Napoli sono stati anche criticati duramente. Repubblica ha scritto recentemente che l’assessorato alle politiche sociali è quello più coinvolto negli affidamenti diretti dei servizi, senza gare d’appalto. Come lo spiega?
Devo ammettere che si tratta di un fenomeno presente, anche se i dati a cui i giornalisti di Repubblica facevano riferimento risalgono al 2011, quindi a scelte fatte dall’amministrazione operativa nel 2009/2010. L’area sociale poi risulta così in alto nella classifica degli affidamenti diretti anche perché alcuni servizi sociali, come l’affidamento di minori alle comunità o case-famiglia vengono fatti sulla base di una legge regionale che prevede questa modalità. Quindi non è corretto far rientrare anche questi casi in quella lista. Noi abbiamo proceduto con il sistema della “ripetizione d’appalto” perché l’amministrazione precedente non aveva approvato il bilancio e quindi non c’erano le condizioni per indire nuovi bandi di gara. Come consentito dalla legge 163, abbiamo replicato gli appalti per un periodo di tempo limitato. Ma mi consenta di dire due parole su Gesco, di cui sono stato presidente, che nell’articolo veniva citato come maggior beneficiario. 
 
Ci spieghi. 
Gesco è la più grande associazione del terzo settore del sud. Nel 2010, quindi con l’amministrazione precedente, aveva in gestione l’8% dei servizi sociali e contava per quella percentuale nel totale della spesa sociale dell’amministrazione locale. Nel 2012 invece questa percentuale è scesa al 5%, perché operatori e cooperative non possono più lavorare con un’amministrazione che paga ogni cinque anni. Ci hanno già comunicato che rinunceranno ad altri servizi in futuro. Non solo è diminuita la percentuale, quindi non c’è nessun conflitto d’interessi, ma Gesco non gestisce né ha mai gestito case-famiglia, quindi non è nemmeno stata beneficiaria degli “affidamenti diretti” contestati da Repubblica. 
 
Anche Gesco però evidenzia l’agonia del terzo settore, che non può più permettersi di lavorare con l’amministrazione pubblica. Diminuiranno i servizi offerti dal comune e quindi anche tutti i vostri piani di concertazione e mediazione tramite associazioni e operatori.   
Io sto lavorando perché accada il contrario. Bisogna difendere il terzo settore, un partner leale per la pubblica amministrazione, che però è indiscutibilmente in crisi. Speriamo che non si continui con una politica fatta solo di austerity e tagli da parte del governo nazionale, ma che si abbia il coraggio di andare in controtendenza per evitare la crescita diffusa della povertà e per potenziare il sistema di riposte sociali.
 
Cosa vi impegnate a garantire come comune alle associazioni e alle cooperative sociali?
Noi oggi disponiamo di 54 milioni di euro, come nel 2009/2010. Abbiamo trovato poi riserve aggiuntive per 50 milioni di euro attraverso fondazioni, Unione Europea e fondi nazionali, in base a un modello di welfare di responsabilità condivisa che chiami in causa anche altre realtà e non solo l’amministrazione pubblica. Quindi abbiamo un fondo di quasi 100 milioni di euro per il 2012/2013. Non siamo riusciti a ridurre i tempi di attesa, però abbiamo pagato quasi 75 milioni di euro di arretrati al terzo settore. Che non è molto, ma continuando così speriamo di ripianare il debito. 
 
Lo scenario è molto incerto. Ma questi fondi che avete a disposizione come verranno utilizzati? Quali sono le vostre priorità?
Abbiamo sensibilmente aumentato i fondi per immigrazione, senza fissa dimora e rom. Prima questi capitoli di spesa contavano meno del 3%, ora invece toccano il 17% della nostra spesa. Sono emergenze importanti a Napoli. Dobbiamo potenziare la rete emergenza e accoglienza (oggi già disponiamo di 400 posti): per il 2013 contiamo di arrivare a circa 1000 posti. Per quanto riguarda i rom invece, abbiamo attivato progetti partecipati con cittadini e associazioni con l’obiettivo di superare il concetto dei campi. La chiusura di questi insediamenti vuol dire apertura ad una nuova modalità di alloggio, e ne abbiamo già previsti 75. Non vogliamo creare un villaggio-ghetto, probabilmente li sdoppieremo in due aree. Una di queste sarà Scampia, dove già risiedono 1400 rom. 
 

 


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