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Politica & Istituzioni

La nuova politica dello scout Renzi

In questa intervista pubblicata qualche tempo fa sul nostro magazine il sindaco di Firenze, torna alle radici del senso della sua candidatura alle primarie: «Il senso di comunità l'ho imparato quando ero scout»

di Stefano Arduini

 

L’Obama italiano con la faccia da bambino (il copyright è del Time) e tre figli a carico, ha un segreto. Nascoste in un vecchio armadio della casa fiorentina di Matteo Renzi,  prodige del centrosinistra nostrano, ci sono due divise: quella di arbitro di pallone e in bella vista quella di rover scout targato Agesci. Bisogna partire da qui per capire un personaggio che, sempre secondo Jeff Israely, firma di punta del Time, se eletto sindaco di Firenze (già oggi è presidente della Provincia) farà dire alla sua gente: «Ho visto il futuro della politica italiana». Per la stampa internazionale, insomma, è un predestinato. 
 
Renzi, si ricorda quando era caporedattore di Camminiamo insieme, la testata dell’Agesci?
Come no? Di quell’esperienza ricordo soprattutto una lezione: il valore più importante è quello della lealtà. 
Ancora più importante della legalità che va tanto di moda oggi anche nel centrosinistra?
Sì, perché la lealtà comprende ed estende il principio di legalità. Poi c’è l’idea di affrontare comunque le sfide più difficili. Come dicono gli scout: la strada si apre quando è in salita. Infine c’è l’aspetto cruciale. 
Ovvero?
Il senso della comunità, della socialità dello stare insieme. 
Oggi che è un personaggio noto ha mantenuto i rapporti con i suoi vecchi amici scout?
Certo e molto stretti. Le mie relazioni più care vengono da lì. E mia moglie fino a poco tempo  fa è stata nella comunità capi. Questo è il mio mondo. 
Un mondo, però, quello del sociale che da sempre fatica ad interloquire in modo sano con la politica. Come se lo spiega?
Premetto che non ho la ricetta in tasca. Però ci sono storie diverse. In alcuni casi le esperienze politiche di persone con un passato nel sociale si sono rivelate fallimentari. In molti altri casi è andata un po’ meglio. Anche se forse meno bene di quanto uno si potesse augurare. Io, in particolare, vedo due rischi. 
 Quali?
Il primo è quello di affacciarsi alla finestra della politica con in pugno la matita rossa e blu con l’obiettivo di giudicare e correggerne le storture. Non è questo il modo di fare, anche se, lo so bene, la politica è fatta di compromessi. Ma guardiamoci allo specchio. Anche le nostre associazioni nascondono al loro interno meccanismi prettamente politici.
Veniamo al secondo rischio…
 La politica non deve spaventare. Chi arriva dalle associazioni in alcuni casi esprime un timore reverenziale fuori luogo. Sono convinto di una cosa: se oggi il mondo del sociale si impegnasse davvero con più determinazione, cambierebbe questo Paese in modo molto più rapido di quanto stia avvenendo. 
Cosa intende per «determinazione»?
Determinazione significa non aver paura di rischiare, di giocarsi, di buttarsi in campo. In altre parole, mettere da parte la prudenza, che in fondo non è nemmeno prudenza. Non voglio dire viltà, perché è una parola forte, ma rassegnazione sì. Sono molto affezionato a quella frase di don Primo Mazzolari che diceva: «Mi impegno senza pretendere che gli altri si impegnino». Questa è la prospettiva corretta. 
C'è chi dice che al Partito democratico manca un popolo. Concorda?
Faccio fatica a dargli ragione, ma temo che ci abbia azzeccato. Noi però non dobbiamo creare un popolo, dobbiamo andarlo a cercare dove c’è. Già oggi esistono dei luoghi e degli spazi di incontro, il problema è che il Pd ne è – ne era mi auguro – lontano. Chiuso nei suoi salotti, nel “suo” Parlamento, nelle sue sezioni. Il Pd è un ambiente autoreferenziale, ma non è solo colpa sua. 
Di chi allora?
Di leggi elettorali allucinanti che non prevedono né il collegio uninominale, né la preferenza. Il risultato è che i candidati non sono più spinti a incontrare la gente. E questo è un problema per loro, ma anche per gli elettori. 
In che senso?
Porto l’esempio di casa mia. A Firenze il degrado c’è. Ed è anche quello delle buche in strada. Ma il tema portante, anche qui da noi, è la riscoperta delle ragioni dello stare insieme. È un nodo politico, educativo e anche economico. Se la gente non è chiamata a partecipare e vive asserragliata in appartamento, sarà sempre più sola. E la solitudine genera paura. Andare a cercare il popolo, costringe il popolo stesso a non concepirsi come una massa indistinta. Per dirla con uno slogan della route nazionale degli scout 1997: siamo «donne e uomini, non solo gente».

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