Sezioni

Attivismo civico & Terzo settore Cooperazione & Relazioni internazionali Economia & Impresa sociale  Education & Scuola Famiglia & Minori Leggi & Norme Media, Arte, Cultura Politica & Istituzioni Sanità & Ricerca Solidarietà & Volontariato Sostenibilità sociale e ambientale Welfare & Lavoro

Politica & Istituzioni

Populismo? Parliamone

Per il professore di diritto Pietro Barcellona «la poltica di Berlusconi e Grillo prepara la nuova tecnocrazia»

di Redazione

di Pietro Barcellona su Il Sussidiario

Si può deplorare quanto si vuole la condotta di Silvio Berlusconi, ma non si può non riconoscere che, suscitando le dimissioni del governo Monti, sia riuscito a modificare il quadro politico del futuro e a rilanciare il proprio ruolo riaggregando un centrodestra lacerato in mille frammenti. Dal suo punto di vista la mossa politica compiuta è certamente efficace, e non vale granché rimettere in campo le vecchie formule del partito padronale e la spregiudicatezza amorale dei suoi comportamenti politici. È invece il momento di fare davvero i conti con quello che rappresenta nel contesto italiano e in quello europeo la persistenza tenace del “populismo” e il suo progressivo radicarsi nella crisi sociale che stiamo attraversando.

Bisogna anzitutto cominciare a distinguere tra populismo di sinistra e populismo di destra. Il populismo di sinistra, che a mio parere è rappresentato dal M5S e da Grillo, esprime una potente carica negativa insieme tuttavia ad una forte ispirazione anticapitalistica. La sua forza consiste cioè nel proporre una battaglia senza quartiere contro ogni potere politico, economico e sociale che risulti sostanzialmente subordinato alle logiche speculative del capitalismo finanziario e della sua inevitabile alleanza con la rendita.

Il populismo di destra, invece, non ha alcuna carica specificamente anticapitalistica ma tende a porsi pragmaticamente come un diverso regime di governo nel quale si realizza di fatto la tutela dei ceti privilegiati che sono principalmente interessati a conservare il proprio tenore di vita e il proprio livello di consumo. Si tratta dunque di un populismo non tanto negativo quanto reazionario e conservatore, che tocca la sfera emotiva di coloro che nel corso della crisi perdono qualche privilegio consolidato.

Se si prova a fare l’identikit dell’elettore del centrodestra berlusconiano si riuscirà probabilmente a identificare un tipo di italiano medio che è riuscito in questi anni a realizzare una qualche attività economica propria, certo non a livello di grande impresa ma con espedienti tra cui principalmente la piccola evasione fiscale, lo sfruttamento del lavoro non protetto, il paternalismo economico-familistico e l’utilizzazione spesso occulta di risorse pubbliche, erogate mediante il sistema degli appalti locali. In particolare si tratta di figure che hanno realizzato l’acquisto di qualche proprietà immobiliare e che continuano a godere di livelli di vita superiori alla cosiddetta soglia di povertà.

Per questo tipo di italiano medio, l’inasprimento del sistema fiscale attraverso l’introduzione dell’Imu e l’aumento dell’Iva ha rappresentato una iniqua e oppressiva misura di riduzione del reddito. Questa parte di società è sempre disponibile a seguire chi promette meno tasse e propone l’abolizione dell’Imu sulla prima casa e qualche sistema di detassazione dei redditi legati alla rendita immobiliare e in qualche caso anche finanziaria.

Poiché questo stato sociale non è compatibile con alcuna forma di razionalizzazione economico-sociale che incida sulla distribuzione della ricchezza, giacchè comunque realizza politiche economiche di spreco e di parassitismo, è facile che si formi all’interno della dinamica sociale una forza “politica” che per contrapporsi al populismo dissennato si rivolge alla tecnocrazia, immaginando un governo che attraverso l’austerità riduca il debito pubblico e quindi i costi di possibili investimenti profittevoli.

Il rischio più grande oggi sarebbe quello di accettare il terreno dello scontro politico nei termini del conflitto fra l’egoismo primitivo e godereccio e la razionalità economica imposta dalla globalizzazione che garantisce di fatto la libertà del capitale finanziario e deprime l’economia reale.  

Se Berlusconi riuscirà a produrre uno scenario politico nel quale la scelta si riduce agli esponenti di queste due opposte tendenze, Berlusconi e Monti, il prezzo che comunque sarà pagato toccherà i ceti più deboli e persino gli stessi apparenti beneficiari delle promesse berlusconiane. A chi si prepara a votare contro Monti, in nome di meno tasse e più privilegi, non bisogna opporre, come propone Eugenio Scalfari, la scelta politica di difendere l’austerità europea, imposta dalla cancelliera tedesca, ma cercare di far capire, lavorando porta a porta, che la politica berlusconiana rilancerà anche la tecnocrazia con l’effetto principale di mortificare ancora di più il significato del lavoro e le nuove generazioni che vivono oggi senza futuro.

Bisogna casomai riproporre il tema dell’austerità così come era stato pensato da Enrico Berlinguer, come occasione per un mutamento di un modello di consumi a favore di una crescita più misurata nel corpo sociale e nel Paese. Bisogna cioè assolutamente evitare di trovarsi schiacciati nella scelta fra Berlusconi e Monti che potrebbe anche sedurre parte degli attuali elettori del centrosinistra, giustamente indignati dal ritorno in campo di Berlusconi.

Per uscire dalla trappola di uno scontro fittizio fra il populismo di Berlusconi e il rigore di Monti, bisogna allargare l’orizzonte della politica e sottrarlo all’ipoteca necessitante delle logiche economico-finanziarie. Bisognerebbe anzi provare a dimostrare, come la storia insegna, che il monetarismo produce recessione e che la recessione incontrollata produce a sua volta populismo. Sin da subito deve essere proposta agli italiani un’idea di sviluppo diverso, sottratto alle logiche puramente monetariste ma anche allo spreco indiscriminato delle risorse pubbliche. Il centrosinistra non può essere sentito come una pura alternativa ad una politica di rigore. Il centrosinistra deve apparire invece sempre più come una forza che scommette sul rilancio del lavoro umano e dell’economia reale diffusa come presupposto di una più giusta politica fiscale.

Immaginare il futuro dell’Italia affidato a un cosiddetto centro moderato, che però è assediato dalla pressione opposta del populismo di destra e del populismo di sinistra, significa immaginare un sostanziale immobilismo che attua soltanto una pura conservazione dell’assetto dei poteri esistenti. Ogni centrismo ideologico e politico esprime in modo più o meno consapevole un concordato di fatto con l’assetto dei poteri esistenti e con le ingiustizie che essi producono. Da questo punto di vista trovo non utile al nostro Paese il formarsi di una “lista per Monti” sostenuta da un arcipelago di figure − da capitani d’industria ad aspiranti politici − che dopo l’esperienza del governo tecnico pensano di riguadagnare una posizione pubblica approfittando del disorientamento di tanti elettori che non amano il Pd e che non vogliono tuttavia diventare dei puri seguaci di Berlusconi. Un gesto di grande intelligenza politica delle forze che tendono a coagularsi su posizioni diverse dal Pd sarebbe invece quello di dichiarare la propria opzione per una determinata politica economica che non sia di per sé ostacolo alla rifondazione morale della coscienza degli italiani. Il centrismo, come oggi viene presentato, non esprime opzioni ma una pura delega a una formula economica che fin qui non ha tenuto in nessun conto il grande tema della questione sociale del Paese.

Una campagna elettorale non turbata da semplificazioni interessate dovrebbe assumere come contenuto delle diverse posizioni la questione sociale dell’occupazione e del rilancio della produttività effettiva del Paese.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA