Politica & Istituzioni

Lavoro e Terzo settore: modificare la riforma Fornero?

L'ultima riforma del lavoro penalizza i contratti a progetto e a tempo determinato. Un disastro per il non profit. Il prossimo governo porterà un correttivo a questo pasticcio? Gli impegni politici di Bersani, Maroni, Lupi, Olivero.

di Redazione

Il 18 luglio è entrata in vigore la riforma del mercato del lavoro firmata da Elsa Fornero, che prevede una penalizzazione (per chi assume) dal punto di vista fiscale dei contratti a progetto e di quelli a tempo determinato. Cosa significa? Che per tante onp, che attraverso questo tipo di contratti da anni generano possibilità di lavoro motivato, rischiano di non riuscire più a reggere dal punto di vista economico, e saranno costrette a licenziare e quindi a ridurre la fornitura di servizi, essendo buona parte dei lavori in una onp, e non per scelta, un lavoro a progetto.

È uno dei 6 temi cruciali che Vita, sul numero di gennaio in edicola e attraverso il sito www.vita.it, ha posto ai referenti dei 4 schieramenti politici in vista delle elezioni del 24 febbraio, elaborando una Piattaforma di proposte. LAVORARE, è il verbo che caratterizza questo ambito di impegno, che porta all'attenzione della politica una richiesta chiara e concreta:

– Prevedere, così come fatto nel decreto per le start-up, una riserva di legge anche per il non profit. E comunque a considerare il Terzo settore un comparto ad alta professionalità e attore di formazione permanente.

Ecco gli impegni che si sono presi i politici:

Pierluigi Bersani (Pd). «Abbiamo già detto con chiarezza che la riforma Fornero andrà rivista in quelle parti che, anche a causa dell’urgenza dell’intervento, forse non sono state adeguatamente valutate per le loro conseguenze. Avevamo segnalato già nella discussione parlamentare che alcuni aspetti avrebbero avuto effetti collaterali insostenibili e che non si possono trattare tutte le organizzazioni del lavoro allo stesso modo. Quindi pensiamo di poter intervenire anche su questo punto specifico, sempre valorizzando comunque l’obiettivo della stabilizzazione dei lavoratori, perché anche nel terzo settore molti sono stabili e molti lo possono diventare, ma preservando anche la specificità di alcune organizzazioni: questo accade già per la cooperazione laddove sono previste le clausole sociali a garanzia del personale occupato nei servizi. Tuttavia siamo anche consapevoli che per loro natura molte figure sono legate a progetti temporanei proprio perché finanziate da bandi nazionali ed europei “una tantum” per cui sapremo coniugare i diritti dei lavoratori con le esigenze delle organizzazioni.

Maurizio Lupi (Pdl). «Non sono tra coloro che considerano positivamente la riforma del mercato del lavoro del governo Monti. Per senso di responsabilità ho dato il mio contributo alla sua approvazione facendo presenti tutte le riserve che avevo e che ho sul testo di questa legge, della quale la parte che meno mi convince è proprio quella relativa al non profit. Sono certo che riusciremo a convincere il nuovo Parlamento dell’importanza decisiva di questo settore per il benessere del Paese e che ci sarà quindi lo spazio per correggere le decisioni più controverse e controproducenti».

Roberto Maroni (Lega Nord). «Avendo fatto io, allora ministro del Lavoro e del Welfare, quella Legge Biagi che ha introdotto la flessibilità e i contratti a progetto, sono ovviamente favorevole a tutto ciò che va in questa direzione, soprattutto in un momento di crisi economica. Perché favorire l‘ingresso dei giovani con un contratto regolare è l’unico modo per combattere il nero, l’evasione fiscale e anche la precarietà. E concordo sulla necessità di prevedere una sorta di deroga per il Terzo settore, per due motivi: primo perché il Terzo settore, in tutte le sue forme, produce lavoro di qualità. Secondo perché sono realtà sulle quali vige un “controllo sociale” molto alto, che vale già di per sé come tutela per i lavoratori che magari hanno forme contrattuali non “inquadrate” nelle logiche sindacali».

Andrea Olivero (Scelta civica – Lista Monti). «Il mondo del non profit strutturalmente lavora per progetti e in buona parte riguarda i cosiddetti “lavoratori della conoscenza”. È necessaria una flessibilità legata al conseguimento di risultato e di obiettivi. Mentre invece il contratto a tempo indeterminato rimanda ad attività più riferite a disponibilità oraria di tempo-lavoro. In sostanza si trattano allo stesso modo cose differenti: una palese ingiustizia, che poi porta a risultati contrari ai desiderata del legislatore. Infatti se sono costrette a trasformare i contratti a progetto in contratti a tempo indeterminato, le aziende si trovano costrette a licenziare. È accaduto in tempi recenti con enti pubblici o imprese profit. Occorre pertanto che quanto prima si intervenga per ripristinare il buon senso: trattare in modo differente cose differenti».
 


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