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Bersani: una vergogna le carceri italiane

Il candidato premier del Pd si impegna, in visita al penitenziario di Padova, «all’introduzione misure alternative, percorsi di istruzione, formazione, lavoro, interventi per il personale e gli operatori e il costante dialogo con i soggetti sociali che si occupano di questi problemi»

di Francesca Trevisi

«Il lavoro delle cooperative sociali all’interno delle carceri Italiane è un piccolo faro che indica una strada precisa che si può e si deve seguire». A parlare, di fronte al gremito auditorium della Casa di Reclusione di Padova, è Nicola Boscoletto,  presidente del Consorzio Rebus. Da diversi anni grazie al consorzio, un centinaio di detenuti lavora regolarmente nei laboratori gestiti all’interno dell’Istituto di pena, divenuto famoso per il panettone, vera e propria gourmandise prodotta nella pasticceria del carcere.
 
Ad ascoltare le richieste che arrivano in piena campagna elettorale dalla popolazione carceraria, c’è il candidato premier del Pd Pierluigi Bersani in visita a Padova martedì 29 gennaio.
 
«Sono i numeri a parlare»,  attacca Boscoletto: «su 66.000 detenuti in Italia, possono accedere al lavoro regolare in carcere solo 800.  500 possono uscire a lavorare in base all’art. 21 e 800 sono in regime di semilibertà.  La recidiva per chi non lavora è del 90 per cento. Chi ha avuto la possibilità di lavorare in carcere invece, quando esce non delinque più: la recidiva scende all’1 per cento. Un detenuto costa allo Stato 250 euro al giorno, se lavorassero tutti potrebbero partecipare al pagamento della loro detenzione e abbassare drasticamente i costi. Chiediamo di investire in questa direzione: aumentare il lavoro reale con percorsi di formazione e professionalizzazione nelle carceri, unica possibilità per scontare la pena recuperando e restituendo dignità alla persona».
 
Sovraffollamento delle carceri, disagio della popolazione carceraria (detenuti e operatori costretti a vivere in condizioni drammatiche) iter processuali troppo lunghi, inefficacia della pena, mancanza di misure alternative alla detenzione: da Padova si leva un appello perché il problema carcere non resti uno slogan e il nuovo governo prenda impegni reali.
 
Il direttore della Casa di reclusione di Padova chiede la revisione del sistema penale, l’introduzione di misure alternative per evitare la reclusione per i reati che creano un modesto allarme sociale, l’introduzione di percorsi di lavoro, formazione, istruzione per facilitare il reinserimento dei detenuti nella società civile e favorire la diminuzione della recidiva.
 
Il Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Venezia Giovanni Maria Pavarin ne fa un problema di atteggiamento culturale e invita a passare dal concetto di “pena certa ed effettiva” a  quello di “esecuzione penale certa ed effettiva”, sottolineando come migliorare le condizioni di vita della popolazione carceraria,  una comunità di 66 mila persone, sia un’impresa concretamente possibile a patto di abbandonare i retaggi culturali del passato. Infine propone di consentire l’accesso del volontariato agli uffici del Tribunale di sorveglianza, che, sfiancati dalla mole di lavoro, necessitano di supporto.
 
La polizia penitenziaria definisce nel suo appello “disumane” le condizioni del carcere e sottolinea come si potrebbero risolvere i problemi di capienza con il rimpatrio della popolazione carceraria extracomunitaria e ricorrendo a soluzioni alternative, come le comunità terapeutiche per i detenuti dietro le sbarre per i reati di droga.
 
«Daremo impulso normativo per rendere possibile questo percorso tracciato oggi», chiude la mattinata Bersani raccogliendo tutti gli appelli, «ricorreremo a interventi strutturali per risolvere il vergognoso tema delle carceri in Italia, ricorrendo all’introduzione misure alternative, percorsi di istruzione, formazione, lavoro, depenalizzazione di alcuni reati, interventi per il personale e gli operatori e il costante dialogo con i soggetti sociali che si occupano di questi problemi».

In copertina Bersani parla nell'auditorium del carcere


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