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Servizi sociali, il pubblico alla canna del gas

Nell’ultimo anno la percentuale di servizi sociali gestiti direttamente dai comuni è scesa di altri 6 punti percentuali passando dal 48 al 42%. Si apre uno spazio enorme per il non profit, ma le risorse sono sempre meno

di Francesco Agresti

Lo stato arretra, il terzo settore arranca, e a rimetterci sono i cittadini. E’ un welfare locale in forte difficoltà stretto tra la manca di risorse e la crescita di bisogni a cui si fa fatica a dare risposte quello che viene fuori dalla sesta edizione del rapporto nazionale sul welfare locale presentato questa mattina a Roma dall’Auser (che potete scaricare in allegato).
Davanti alla continua riduzione dei trasferimenti dallo Stato gli enti locali rispondono facendo un passo indietro e lasciando spazio al privato sociale, un fenomeno di per sé positivo se non fosse che la mancanza di fondi finisce per gravare appunto proprio su coloro a cui è stata affidata la gestione dei servizi.

Nell’ultimo anno la percentuale di servizi sociali gestiti direttamente dai comuni è scesa di altri 6% passando dal 48 al 42% consolidando un trend avviato negli anni passati. Nelle convenzioni che regolano i rapporti tra amministrazioni locali e terzo settore si registra un’altra tendenza preoccupante. A fronte di risorse decrescenti crescono le richieste di prestazioni aggiuntive, un carico di lavoro che finisce per gravare sulle organizzazioni del privato sociale messe già in grave difficoltà dai ritardi con cui la pubblica amministrazione salda le fatture.

 “Il panorama è allarmante, – ho sottolineato il presidente nazionale Auser, Michele Mangano-  visto il continuo arretramento del sistema dei servizi pubblici nel nostro Paese.  Fra azzeramenti, riduzioni e tagli, saranno i cittadini più fragili a pagarne le conseguenze  più pesanti . E sulle spalle del Terzo Settore comincia a pesare un carico troppo grande, di vera e propria sostituzione nell’erogazione dei servizi sociali e non più di integrazione”

Ecco nel dettaglio, divisi per capitoli, i risultati della ricerca
 
Organici pubblici  all’osso, dismissione dei servizi a gestione diretta
Il rapporto tra Enti locali e terzo settore è fortemente condizionato dall’azione delle nuove regole del Patto di Stabilità Interno.  Negli ultimi anni le amministrazioni pubbliche locali incontrano maggiori difficoltà nell’esercizio delle loro funzioni più qualificate, con particolare riferimento all’attivazione di politiche di sviluppo e alla qualificazione dei servizi collettivi. La finanza locale vive un periodo molto difficile, segnato soprattutto dall’incertezza che sta caratterizzando i lavori di preparazione dei bilanci di previsione per il 2013, con particolare riferimento agli aspetti che riguardano i trasferimenti statali e le entrate tributarie, l’applicazione del Federalismo municipale e la riorganizzazione dei piccoli comuni.  
I forti vincoli all’azione comunale hanno finito per determinare un significativo aumento della pressione fiscale locale, cui non ha corrisposto un adeguamento della spesa corrente e del livello di copertura dei servizi alla persona. Inoltre, sollecitate dal Patto di stabilità le amministrazioni comunali hanno ormai intrapreso la strada del progressivo dimagrimento degli organici pubblici.  La conferma del trend arriva dai dati sulle assunzioni, riportati dal Ministero dell’Interno nel “censimento generale del personale in servizio presso gli enti locali”. Nel 2011, le procedure di assunzione nei Comuni, sulla base di nomine da concorso, risultano essere complessivamente (relativamente a tutti i settori d’intervento) a livello nazionale solamente 3.008. Erano 8.525 nel 2010, una contrazione quindi di quasi il 65% dei casi in soli 12 mesi.
Seppur in presenza degli storici divari territoriali, il fenomeno appare diffuso in tutte le regioni della penisola, ed in particolare nell’area del Centro Italia, dove la contrazione raggiunge il 72,3%.  Umbria (-88,4%), Toscana (-88,4%) e Marche (-99,2%) risultano infatti le regioni dove si riducono maggiormente nei comuni le nomine da concorso. Inoltre il quadro normativo sollecita ormai da alcuni anni i Comuni alla dismissione dei servizi in gestione diretta a favore dell’affidamento a soggetti terzi.  

Sono il 42%  gli interventi sociali gestiti direttamente dai Comuni. Crollano le assunzioni
Ridimensionamento degli organici comunali a vantaggio degli affidamenti, aumento dei carichi di lavoro per gli addetti e forte coinvolgimento delle Associazioni nell’erogazione dei servizi socio-assistenziali (anziani, minori, adulti in difficoltà, ecc.). In base ai principali risultati che emergono dalla Sesta rilevazione nazionale sul rapporto fra Enti Locali e Terzo Settore promossa dall’Auser, il nuovo welfare locale è sempre meno «comunale». Ormai si attesta al 42% (dati Ministero dell’interno) la percentuale di interventi sociali (considerando il numero delle prestazioni) gestiti direttamente dai comuni,  una quota che si riduce al 25,9 % nel Nord – Ovest e si eleva invece fino al 53,8% nel Sud.
Le modalità di gestione alternative a quella in economia premiano soprattutto Consorzi e Convenzioni (21,5%) e gli Appalti (11,8%). Da sottolineare che sono ancora poco utilizzate la gestione associata tramite Unione dei comuni (3,0%) e la Concessione a terzi (4,0%).

Educatori, psicologi, assistenti sociali, tutti precari.
Si riduce l’impegno pubblico  per i servizi alla persona:  il rapporto tra numero di operatori e numero di utenti è destinato ad aumentare, specie per i servizi per l’infanzia e l’assistenza domiciliare  per gli anziani.
Nel periodo tra ottobre 2012 e febbraio 2013 è stato rilevato come le procedure di assunzioni attivate dai Comuni più grandi (con popolazione superiore ai 10 mila abitanti)  per l’erogazione di servizi socio-assistenziali, abbiano privilegiato, a fronte dei forti vincoli posti al lavoro a tempo indeterminato, il reclutamento di  dipendenti con contratti a termine o «flessibili» e soprattutto il ricorso al lavoro accessorio e agli inserimenti socio-lavorativi.   
Sulla base di un campione di 196 procedure di assunzione esaminate (riguardanti il settore dei Servizi sociali), si è visto come esclusivamente in 28 casi (14,3%) siano state previste assunzioni a tempo indeterminato;  53 (27,0%) invece i contratti a tempo determinato e 76 (38,8%) i contratti di collaborazione occasionale con erogazione di voucher proposti (nell’ambito di assunzioni di figure accessorie nei servizi sociali). Risultano inoltre  complessivamente 39 (19,9%) le collaborazioni a progetto, le coordinate continuative e altre forme contrattuali.
Nello specifico va evidenziato come in 39 casi, i contratti a termine posti in essere dalle Amministrazioni comunali abbiano riguardato figure professionali basilari o «indispensabili» ai fini dell’erogazione delle prestazioni sociali, quali: assistente sociale (19 ), educatore (11), psicologo (9).
Da sottolineare che negli ultimi due anni è cresciuto, a fronte dei forti limiti imposti alle assunzioni pubbliche, il ricorso alle selezioni finalizzate alla ricerca di personale per lo svolgimento di prestazioni occasionali, da retribuire anche mediante buoni lavoro (voucher) nella forma del lavoro accessorio (legge 28 giugno 2012, n.92,  che apporta modifiche all’articolo 70 del d. lgs. 276/2003).
Attraverso questa forma contrattuale spesso l’amministrazione comunale ha potenziato il ricorso al lavoro accessorio, forma d’intervento che in diversi casi può nascondere l’uso sostitutivo e non integrativo delle persone selezionate.  Come si evince anche dai risultati della nostra indagine, si  tratta ormai della modalità di reclutamento del personale prevalente.
Le preoccupazioni riguardano la progressiva riduzione dell’impegno pubblico nei confronti dei servizi alla persona: a giudicare dai dati ottenuti, il rapporto tra numero di operatori e numero di utenti è destinato ad aumentare, specie per quanto riguarda i servizi per l’infanzia e l’assistenza domiciliare  per gli anziani (Sad).

L’importanza del  terzo settore, poche regole e ruolo marginale nella programmazione sociale.
I Comuni hanno trasferito alle imprese sociali e alle associazioni di volontariato la gestione dei servizi sociali, per una spesa  di 6,165 milioni di euro.
I dati del dossier Auser descrivono invece il rilevante apporto che Associazioni e Imprese sociali forniscono alla gestione dei servizi sociali. Tuttavia, le amministrazioni pubbliche locali sono ancora inadempienti nella creazione di regole davvero efficienti e trasparenti per consentire al Terzo settore sia di erogare servizi di qualità alla cittadinanza, sia di svolgere un ruolo importante nella programmazione sociale e in termini di sussidiarietà orizzontale.
Relativamente al periodo settembre 2012 – febbraio 2013 sono state esaminate le procedure di gara (89) e le determinazione dirigenziali (103) pubblicate dai Comuni appartenenti al medesimo campione di riferimento, per l’affidamento all’esterno di servizi sociali.
Si tratta di selezioni pubbliche e «ristrette» (cioè con procedure negoziate e a licitazione privata) e di «affidamenti diretti», in base ai quali i Comuni hanno poi trasferito alle imprese sociali e alle associazioni di volontariato la gestione dei servizi alla persona (quali, ad esempio, l’assistenza domiciliare e l’educativa territoriale, l’asilo nido e la mensa, ecc.) e di altri servizi sociali, per una spesa totale prevista di 6,165 milioni di euro.
Gli stanziamenti di spesa risultano assai frammentati: la spesa media per bando (per un totale di 5,676 milioni relativamente alle 89 procedure di gara attivate) è pari a 56.157 euro circa, al netto dei ribassi ottenuti dai Comuni nella fase di aggiudicazione), con una forte variabilità territoriale.
Risorse per la spesa sociale allo stremo. Su 103 affidamenti diretti, 55 sono rivolti alle associazioni di volontariato per la gestione dei servizi sociali integrativi
Particolarmente significativo è il numero degli affidamenti diretti, pari a 103 (per un importo medio di circa 11.330 euro ciascuno), di cui ben 55 sono rivolti alle Associazioni di volontariato per la gestione di servizi sociali cosiddetti integrativi. Pur non potendo operare un confronto diretto e omogeneo tra le rilevazioni effettuate negli ultimi anni, sembra avere conferma l’ipotesi formulata nel V rapporto sugli enti locali ed il terzo settore, secondo la quale il ricorso alle organizzazioni di volontariato da parte delle amministrazioni pubbliche locali sia diventata una pratica sempre più frequente. Questo, con buona probabilità, allo scopo di contenere la spesa sociale a fronte della progressiva riduzione delle risorse pubbliche, tenuto conto che le associazioni si avvalgono di norma di prestazioni volontarie e gratuite dei propri soci; mentre, come è noto, le cooperative sociali e le imprese profit utilizzano manodopera retribuita.

Gli affidamenti diretti ad associazioni e cooperative sociali: niente gare, mancata applicazione dei principi di equità e concorrenza introdotti dalla legge 328 di riforma dell’assistenza
L’esame delle procedure di affidamento dei servizi sociali attivate nei comuni oggetto di indagine evidenzia come l’affidamento diretto venga utilizzato soprattutto al Sud e nelle Isole, dove la scelta di affidare l’appalto senza alcun confronto tra concorrenti diversi riguarda il 35/36% delle procedure di affidamento poste in essere, meno al Centro (32,6%) nelle aree del Nord – Ovest (21,6% e del Nord – Est (25,6%). Si stima che, su un totale di 78 euro pro capite impegnati nel 2010 dai Comuni con più di 10 mila abitanti per l’acquisto di prestazioni sociali da soggetti del privato sociale, circa il 15% delle risorse vengano impiegate attraverso affidamenti diretti a cooperative sociali e ad associazioni, in assenza di gare ad evidenza pubblica, selezioni o procedure negoziate (con la conseguente mancata applicazione dei principi di concorrenza ed equità introdotti dalla riforma dell’assistenza – legge 328/2000).
Le Cooperative sociali al Nord il volontariato al Centro Sud. Convenzioni brevi e al massimo ribasso
Sulla base dell’analisi dei bandi, dei capitolati di appalto e di ulteriori dati rilevati presso i Comuni, la gestione della spesa sociale comunale affidata all’esterno viene impiegata principalmente a favore delle cooperative sociali, soprattutto nel Nord Italia (72,5% nel Nor-Ovest e 71,8% nel Nord-Est%). Le Associazioni di Volontariato risultano affidatarie dei servizi sociali principalmente al Sud (32,4%), al centro (32,4%) e nelle Isole (24%).
Le cooperative sociali gestiscono in particolare servizi di assistenza domiciliare agli anziani, interventi assistenziali di base (gestione di centri con ospiti residenziali), e servizi all’infanzia, specie quelli a carattere educativo e ricreativo. Alle Associazioni di volontariato i Comuni affidano in particolare la gestione di servizi cosiddetti innovativi e integrativi, di supporto agli interventi «complessi».
Occorre poi osservare che la breve durata degli incarichi (le convenzioni con durata non superiore a un anno sono pari al 32,6% delle 89 procedure di gara rilevate, una quota che supera il 37,5% nel Sud) costituisce elemento di forte incertezza nelle prestazioni di efficienza e di efficacia della spesa sociale.
Inoltre, 8 gare (cioè quasi il 10% del campione) sono state indette sulla base del criterio di aggiudicazione al prezzo più basso determinato mediante massimo ribasso sull'elenco delle offerte. Questa formula è volta a premiare esclusivamente i ribassi proposti dalle imprese sociali rispetto alla base d’asta o prezzo base progettato dal Comune, ignorando, in definitiva, le componenti tecniche e qualitative delle offerte.
Tale prassi è adottata ancora dai Comuni nonostante che la legge 328/2000 e le norme regionali di settore sollecitino, ormai da anni, le amministrazioni pubbliche ad abbandonarla.  
Dall’esame dei documenti collegati ai bandi (capitolato di appalto, disciplinare d’incarico), emergono alcune criticità.
Gli enti locali non hanno applicato gli indirizzi della riforma dell’assistenza (legge 328/2000 e Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 30 marzo 2001, «Ruolo dei soggetti del Terzo Settore nella programmazione progettazione e gestione dei servizi alla persona») per la diffusione delle forme di aggiudicazione cosiddette negoziate, volte cioè a sviluppare – attraverso le formule dell’ «appalto concorso» e della «co-progettazione» – le capacità progettuali dei concorrenti del Terzo Settore.
In sostanza, i rapporti tra enti territoriali e imprese sociali, disciplinati dai bandi e dai capitolati di appalto, spesso si limitano all’affidamento della gestione di servizi sociali (anche nell’ambito della programmazione sociale realizzato a livello di Piano di zona), in assenza di procedure codificate che promuovano la partecipazione di tali strutture private alla fase di programmazione territoriale;
Solo quattro  gare pubbliche, infatti, l’aggiudicazione di servizi sociali sulla base dell’«appalto concorso» (che lascia libertà alle imprese sociali di proporre progetti di ampio respiro per la gestione di una determinata prestazione sociale);  inoltre, solo 7 Comuni/enti gestori hanno promosso selezioni pubbliche finalizzata all'individuazione di soggetti del terzo settore disponibili alla co-progettazione per interventi innovativi e sperimentali nel settore dei servizi sociali (art. 5 della Legge 328/2000).
Comuni e associazioni di volontariato

L’indagine ha poi preso in esame le relazioni tra i Comuni e la componente del Terzo Settore costituita dalle Associazioni di volontariato
Tra i Comuni i capoluogo di provincia otto amministrazioni su dieci riconoscono in modo esplicito o argomentato nel loro Statuto la funzione e il valore del volontariato; tuttavia, nel 2012 poco meno del 50% dei Comuni (erano il 45% nel 2011) ha  confermato con specifiche linee guida per gli operatori comunali il ruolo e la funzione del volontariato.   Per quanto riguarda le regole per la certificazione degli organismi, circa la metà dei Comuni dispongono di un albo delle sole organizzazioni di volontariato (lista dei fornitori e dei soggetti con cui essi hanno un rapporto fiduciario e su cui le Amministrazioni possono contare per specifici interventi). A tali albi specializzati occorre aggiungere quelli «generalisti», cioè comprensivi di tutte le organizzazioni non profit che realizzano interventi o gestiscono servizi sociali.
Va detto, confermando il dato del 2011, che solo una ristretta minoranza tra i Comuni capoluogo ha reso operativa nel 2012 la  Consulta o altro organismo rappresentativo del volontariato (circa 1 Comune esaminato su 4). Si tratta inoltre di una prassi che riguarda in modo particolare le regioni del Centro – Nord.

Esaminate 1024 convezioni  fra Auser ed gli enti locali: 400.000 interventi realizzati nel 2012, in forte crescita la richieste degli anziani di servizi di mobilità.  Come i comuni cercano di risparmiare
L’analisi di un campione significativo di 1.024 convenzioni sottoscritte nel 2009/2012 dagli organismi Auser con gli enti locali, ha consentito di acquisire importanti elementi conoscitivi.
Gli interventi sociali realizzati da Auser soddisfano una domanda sociale in forte crescita, in genere non coperta dalle istituzioni pubbliche locali preposte; si tratta di una domanda variegata, al cui interno si intrecciano le necessità collegate alla povertà (soprattutto nelle grandi città del Nord, dove emerge la fragilità economica e relazionale delle donne vedove, sole e molto anziane), bisogni socio-sanitari collegati alle condizioni di non autosufficienza e di parziale non autosufficienza degli anziani, bisogni di compagnia, socialità e di «benessere», le necessità di spostamento nel territorio.
In particolare, la richiesta di servizi di mobilità e collegati ai trasporti è ormai un fenomeno in forte crescita, collegato non solo alla necessità, da parte degli anziani, di raggiungere uffici pubblici e presidi ospedalieri e ambulatoriali, ma anche al desiderio, espresso da una quota rilevante di utenti ultrasettantacinquenni soli, di spostarsi nel territorio per svolgere attività sociali e in modo particolare relazionali, e sbrigare in modo autonomo pratiche d’ufficio. In definitiva, le attività convenzionate svolte da Auser (oltre 400mila interventi realizzati nel 2012) rispondono a una «nuova» domanda sociale espressa dagli anziani, che si indirizza verso l’uso «attivo» del territorio; domanda che può essere soddisfatta sempre meno attraverso il ricorso alla istituzionalizzazione, al contrario, richiede il potenziamento del sistema dei servizi reali e la creazione di nuove opportunità (integrazione sociale, promozione del benessere, invecchiamento) nelle comunità locali.
Inoltre, una buona parte delle convenzioni sottoscritte da Auser ed enti locali si caratterizza per la previsione di un intervento «pro-attivo» da parte delle Associazioni nell’organizzazione di servizi sociali integrativi a sostegno delle attività istituzionali degli enti locali. Si tratta di accordi che sollecitano il protagonismo (lettura dei bisogni, ideazione, programmazione) dell’organismo di volontariato nella progettazione dei servizi a carattere socio-assistenziale (specie per quanto riguarda le attività di assistenza agli anziani). Tale tipologia di accordi valorizza l’autogestione, la co-progettazione e la partecipazione dell’organismo di volontariato alla programmazione sociale.
Tra i punti di criticità,  la forte sollecitazione che gli enti territoriali esercitano nei confronti delle Associazioni per la gestione di «pezzi» di servizi sociali. Nel 2012 e nei primi mesi del 2013, le convenzioni sottoscritte da Comuni e Auser si caratterizzano per la presenza di un numero elevato di servizi e interventi “integrativi” richiesti al volontariato. A tale complessità dell’intervento richiesto spesso non corrisponde però un’adeguata regolazione nonché l’attivazione di un processo di programmazione sociale condivisa.
A tale proposito, occorre considerare come le forti contestazioni di questi anni da parte delle imprese commerciali nei confronti delle convenzioni stipulate con il volontariato siano probabilmente da mettere in relazione con le forzature operate dagli enti pubblici. In diversi casi, infatti, a fronte della necessità di ridurre le spese, i comuni tendono ad utilizzare impropriamente lo strumento della convenzione per affidare servizi complessi, a volte anche essenziali, al volontariato eludendo le procedure ad evidenza pubblica.
 


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