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Economia & Impresa sociale 

Meglio dare un pesce che insegnare a pescare

È quello che crede, ribaltando antiche certezze, una start up americana che elargisce unicamente denaro contante alle famiglie che assiste. Rischioso? I numeri sembrano dire di no. E hanno convinto anche Google

di Gabriella Meroni

Il nome è tutto un programma: GiveDirectly (dare direttamente), ed è una start up non profit nata da poco negli Stati Uniti, che si occupa di aiuti ai paesi poveri. Come tutte le start up, è alla caccia di finanziatori per i propri progetti, che devono essere innovativi e di impatto per poter convincere i filantropi a sostenerli. Ebbene, sull'innovazione GiveDirectly non teme rivali, come racconta sul sito dell'Harvard Business Review Jacqueline Fuller, la presidente del ramo sociale di Google, Google Giving: GiveDirectly fa una sola cosa, consegna somme di denaro contante alle famiglie bisognose dei paesi in via di sviluppo. Solo soldi, nient'altro. E pare sia l'unica non profit al mondo a praticare questo tipo di sostegno diretto, "senza fronzoli".

Un approccio rischioso, senza dubbio, tanto è vero che non era mai stato tentato prima. Che cosa ha convinto Google a finanziare con 2,4 milioni di dollari le iniziative di questa start up fondata nel 2008 da due neolaureati in Economia a Harvard? Semplice: i risultati ottenuti. "All'inizio ero scettica", racconta Fuller, "perché otto anni alla Fondazione Gates e sei a Google Giving mi avevano insegnato che i progetti di sviluppo ben fatti funzionano. Ero convinta che fare qualcosa per i poveri fosse meglio che dar loro sempicemente dei soldi. Quelli di GiveDirectly mi hanno fatto cambiare idea".

Ecco come. I fondatori della start up, Paul Niehaus e Michael Faye, prima di lanciarsi nella loro avventura hanno studiato a fondo l'impatto che le donazioni dirette hanno sul benessere e le condizioni di vita dei poveri. Convinti dai risultati delle loro ricerche, hanno messo a punto un sistema leggero, basato sull'online banking, che trasferisce alle famiglie oltre il 90% di quanto raccolto, visto il 7% basta a coprire tutte le spese accessorie. I risultati li hanno premiati: in Kenya, dove il progetto ha debuttato, Paul e Michael continuano a misurare l'impatto del loro lavoro mettendo a confronto le famiglie che hanno ricevuto il denaro con quelle che non l'hanno ricevuto, misurandone le condizioni di vita con una serie di indicatori e parametri precisi.

I beneficiari, che prima sopravvivevano con meno di un dollaro al giorno, investono le somme ricevute come farebbe qualunque famiglia di buon senso, cioè per comprare cibo e medicine, ma anche appezzamenti di terreno o bestiame. Contro ogni aspettativa, il livello di spesa in alcol o sigarette non è cresciuto, rimanendo uguale, in percentuale, ai livelli pre-donazione (se un nucleo spendeva il 2% del reddito per comprare alcolici, la percentuale rimaneva invariata anche dopo le mutate condizioni economiche).

"Ci hanno fatto vedere i numeri, e ci hanno convinto", continua la presidente di Google Giving, che non solo ha finanziato l'associazione con 2,4 milioni di dollari, ma ha annunciato che monitorerà accuratamente l'impatto di GiveDirectly per esportarne il modello in altri paesi. "Le donazioni dirette possono fissare un benchmark con cui confrontarsi", scrive ancora Fuller. "Qualunque associazione dovrebbe poter dimostrare che aiuta di più gestendo un dollaro per i poveri che consegnandolo direttamente a loro. Se non può dimostrarlo, GiveDirectly ha ragione".

"Google Giving finanzia non profit come queste, che misurano l'efficacia della loro azione sul campo e la dimostrano dati alla mano", conclude Fuller. "Dobbiamo sfidare i luoghi comuni, se c'è qualcosa che funziona meglio". Google Giving ha da poco concluso le selezioni per il suo nuovo Global Impact Award, che premia  "le organizzazioni che utilizzano approcci tecnologici e innovativi per affrontare alcuni dei problemi più critici per l'umanità". Grazie al programma, 23 milioni di dollari sono andati a sette associazioni "che stanno cambiando il mondo".




 


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