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Economia & Impresa sociale 

Letizia Moratti: «Impact investing, troppe barriere in Italia»

Al via domani il Salone 2013. L'ex sindaco di Milano e deus ex machina della Comunità di San Patrignano lancia la sfida per dare slancio al sistema della finanza etica

di Mattia Schieppati

Lo storico rapporto di sostegno e – da poco più di un anno – anche di gestione diretta della Comunità di San Patrignano ha portato Letizia Moratti, ex ministro e per cinque anni sindaco di Milano, ad approfondire i temi della venture philanthropy che stanno cambiando anche in Italia le regole e le modalità del giving. Un contesto nel quale trova largo spazio anche la riflessione sugli strumenti finanziari "a impatto sociale": proprio su questo link tra impegno filantropico e contributo etico della finanza Vita ha provato a fare insieme a Moratti un ragionamento a 360 gradi.
Idee che costituiscono una buona base di lavoro e di discussione in vista del convegno organizzato da Vita nell'ambito del Salone del Risparmio, l'evento annuale che per quattro giorni porta all'Università Bocconi il mondo del risparmio gestito. Gestione per quale, in maniera sempre crescente, vengono proposte vie di approccio etico, che facciano sì fruttare i capitali, ma magari con una ricaduta sociale positiva. Come? Quali sono le esperienze più interessanti presenti in Italia, e quali possono essere dei buoni modelli globali da seguire? Se ne discute venerdì 19, dalle 14 alle 15 (in sala 5) in occasione del convegno organizzato da Vita dal titolo "La buona Finanza, convegno sullo stato del social venture capital e sull'impact investment" (per informazioni vedi qui)


D. Dottoressa Moratti, come giudica lo sviluppo del settore dell'impact investing in Italia, e quali sono le esperienze a suo parere più interessanti?


R. Sicuramente a livello internazionale negli ultimi anni, nonostante il periodo di crisi economica, si è registrato un crescente interesse degli investitori istituzionali verso l’impact investment come forma di diversificazione del loro portafoglio di investimento. I dati che riguardano i volumi di investimento registrano anno dopo anno continui incrementi e un aumento di interesse nel settore sociale, dovuto alla rapida crescita dei mercati quali India, Cina e Sud Africa. Specialmente in queste zone, gli investimenti hanno una forte connessione ai benefici pubblici attraverso grandi opportunità che consentono un miglioramento della qualità della vita. Inoltre, si sta osservando come i consumatori stiano diventando molto più attenti al processo d’acquisto, tanto che la domanda di prodotti green, del commercio equo e solidale, e organici sta aumentando. Di conseguenza, l’investitore cerca di fare degli investimenti allineanti ai propri valori. Allo stesso tempo, i governi in alcuni paesi stanno cercando di spingere l’investitore tramite l’approvazione di incentivi o tassazione agevolata. Un altro motivo che sta spingendo gli investitori verso questo nuovo mondo è la maggiore pubblicizzazione delle diseguaglianze sociali e delle situazioni di svantaggio in cui versano alcune popolazioni, questo ha creato uno stato di maggiore presa di coscienza sul bisogno di soluzioni effettive alle sfide sociali e ambientali.
In Italia l’impact investing sta facendo timidamente i suoi primi passi. Sono pochi ancora gli attori specializzati in questo ambito e le risorse mobilitate non superano complessivamente poche decine di milioni di euro. Più della metà di queste risorse è investita nel settore della microfinanza, il settore d’intervento più maturo degli impact investment (a livello internazionale il 34% degli impact investment è su micro finanza). Sicuramente interessante è il fondo Microfinanza 1 lanciato nel marzo 2010 su iniziativa della fondazione Cariplo e che ha una dotazione di 50 milioni di euro. E’  il primo esempio in Italia di fondo istituzionale, cioè dedicato a investitori professionali non-profit che intendono partecipare a questo progetto internazionale che intende promuovere lo sviluppo economico e sociale delle popolazioni più povere. Negli ultimi mesi si è registrata la costituzione di nuove e promettenti iniziative di impact investing in Italia. Penso alla neonata Fondazione Opes, realtà nata da da quattro realtà complementari della società civile e della microfinanza (Acra, Fem S3, Altromercato e Microventures) con l’obiettivo di creare il primo veicolo italiano di impact investing capace di investire in settori critici dello sviluppo quali salute, accesso all'acqua e a servizi igienici di base, gestione dei rifiuti, energia, educazione e fair trade. In ogni caso l’esperienza più interessante e matura in questo ambito in Italia è quella di  Impact-Finance Società di Investimento a Capitale Variabile (Sicav) che opera come fondo di debito generando ritorni per gli investitori e benefici per la fascia della popolazione con il reddito più basso. Questo gruppo si impegna a costruire, rafforzare e monitorare le catene del valore che hanno un impatto sociale, economico e ambientale in tale fascia, tramite strumenti di debito.

D. Rispetto alle esperienze europee (in particolare quelle del mondo anglosassose), quali elementi questo comparto in Italia deve ancora maturare per arrivare a uno standard interessante? Ci sono magari aspetti su cui invece l'Italia ha saputo sviluppare proposte innovative?

R. I numeri dell’impact investing in Italia sono ancora troppo limitati, pochi attori e poche risorse. Sicuramente l’impact investing ha delle barriere che limitano la crescita a livello internazionale e che rappresentano dei limiti fortissimi anche per il nostro contesto. Una di queste barriere è sicuramente la mancanza di intermediari finanziari specializzati in grado di connettere in modo efficiente capitali e opportunità di investimento sociale e non ci sono soggetti che riescono a fare consulenza alle persone che cercano un investimento differente. Un altro limite è la mancanza di infrastrutture, come ad esempio modelli, policy, teorie, protocolli, misure di performance e agenzie di rating che rendano l’impact investment più trasparente e quindi più accessibile. Un altro limite è la mancanza di un linguaggio universalmente accettato. La mancanza di un linguaggio universalmente accettato crea delle difficoltà tra gli attori e gli investitori nel cogliere opportunità di investimento e riconoscere potenziali partner. Ciò crea delle difficoltà tra gli attori e gli investitori nel cogliere opportunità di investimento e riconoscere potenziali partner. In estrema sintesi mancano gli ingredienti per costituire un vero e proprio mercato dei capitali interessati al sociale. Un modo per ovviare a queste mancanze potrebbe essere quello di creare un network organizzato dove gli impact investor possono condividere le loro esperienze e i loro interessi. Sostanzialmente, ciò significherebbe creare un marketplace dove tutte le tipologie di investimento sono raccolte, i dati relativi alle performance disponibili e comparabili, i co-investitori facilmente selezionabili e cosi via. Questo meccanismo accelererebbe la crescita di un mercato efficiente e standardizzato, che attragga nuovi investitori, riduca i costi delle operazioni e i tempi di valutazione dei rischi.

D. Nella maggior parte dei casi, anche recenti, i fondi impact sono sempre collegati allo sviluppo di imprenditoria sociale in paesi in via di sviluppo. Quanto e come possono invece essere strumenti posti a sostegno della crescita e del rafforzamento dell'impresa sociale italiana? Anche in questo caso, ci sono buone pratiche già attivate che osserva con interesse?
R. Sicuramente il tema del sostegno alle esperienze di imprenditorialità sociale e strettamente collegato allo sviluppo di opportunità di finanziamento specifiche per queste particolari organizzazioni quali sono le imprese sociali. Le imprese sociali, come sappiamo, cercano di perseguire obbiettivi sociali in modo sostenibile dal punto di vista economico.
Alcuni primari istituti bancari hanno promosso iniziative ad hoc per le aziende non profit. Penso ovviamente all’esperienza di Banca Prossima del gruppo Intesasanapolo o al progetto Universo non Profit del gruppo Unicredit. Per cui oggi chi vuole fare social business in Italia può accedere a forme di finanziamento specifiche, tipicamente debito, fornite da questi soggetti.
In ogni caso questo tema si intreccia con le criticità dal punto di vista legislativo presenti nel nostro ordinamento riguardante l’impresa sociale che limitano principalmente l’uso del private equity come strumento di finanziamento per cui oggi chi vuol fare social business facendo ricorso a finanziamenti privati deve costituire soggetti giuridici tipicamente profit, quali srl o spa.
È questa l’esperienza di Oltre Venture, prima società italiana di Venture Capital Sociale nata nel 2007 come spin-off della Fondazione Oltre, fondata nel 2002 da Luciano Balbo. Oltre Venture presenta la struttura di un fondo d’investimento, è infatti una società in accomandita per azioni il cui socio accomandatario è Oltre Gestioni S.r.l., società controllata da Luciano Balbo, ed investe in iniziative di imprenditorialità sociale in forma di srl o spa
 

D. Che tipo di legame e di rapporto ha visto crescere, negli ultimi anni, tra finanza "impact" e imprenditoria sociale a livello europeo?


R. La realizzazione di un connubio tra finanza e imprenditorialità sociale è un'esigenza quanto mai necessaria e  può rappresentare sia un volàno per lo sviluppo del social business e sia un’opportunità per le comunità locali che presentano sempre maggiori bisogni sociali con una pubblica amministrazione incapace a soddisfarli, per mancanza di risorse e progettualità. Negli ultimi anni, infatti, l'interesse verso gli strumenti di "finanza sociale" è cresciuto in maniera esponenziale e in alcuni Paesi europei sono già state avviate esperienze molto interessanti. Tra i nuovi strumenti funzionali all'implementazione di soluzioni finanziarie innovative nell'ambito del terzo settore, è interessante citare i Social Impact Bonds, un "prodotto" già sperimentato con successo nel Regno Unito assimilabile ai titoli obbligazionari, che può essere sfruttato per lo sviluppo di iniziative all'interno di aree di particolare fragilità sociale. Infatti i social impact bond sono strumenti utilizzati dai soggetti pubblici per raccogliere finanziamenti privati da destinare a progetti di pubblica utilità. L’esperienza britannica è stata seguita con grande interesse da altri paesi europei e dagli Stati Uniti, fin da quando, nel 2011, la prigione di Peterborough ha emesso uno dei primi bond di questo tipo, raccogliendo circa 5 milioni di sterline da parte di 17 investitori sociali, per finanziare un progetto pilota volto a ridurre il tasso di recidiva dei detenuti. Il meccanismo utilizzato nell'esperienza britannica è il seguente: un ente pubblico segnatamente il governo si impegna, a fronte del raggiungimento di un "risultato", a supportare economicamente la realizzazione di un progetto di interesse generale; per il finanziamento dell'iniziativa verranno emessi dei bonds, sottoscritti dai soggetti interessati a supportarne la realizzazione. Una volta raggiunto il "risultato" stabilito e conclusasi quindi con successo l'iniziativa il governo erogherà le risorse necessarie a ripagare gli investitori e che deriveranno principalmente dal risparmio economico ottenuto dalla realizzazione del progetto. Il meccanismo è interessante sotto molti aspetti poiché da un lato, i sottoscrittori dei bonds avranno accesso ad un beneficio sia di carattere economico che sociale ? a seguito della positiva conclusione del progetto , dall'altro, l'ente pubblico realizzerà un risparmio consistente sulla spesa pubblica. Naturalmente quello descritto è uno dei modelli che è possibile utilizzare per lo sviluppo di tali iniziative; nell'ultimo periodo infatti, anche Italia ma con modalità e caratteristiche diverse, si stanno avviando esperimenti analoghi attraverso l'emissione di bond sociali che, oltre a garantire un ritorno economico all'investitore, permettono la destinazione di parte delle risorse raccolte alla realizzazione di progetti socialmente rilevanti. Interessante l’esperienza della BCC di Cherasco, e altre: una quota degli interessi dell’emissione (per un valore di 210.000 euro sui 14 mln del valore complessivo del Bond) è destinata alla costruzione di un reparto di terapia intensiva cardiologica per l’ospedale di Bra-Alba, viste le difficoltà del sistema di welfare pubblico.
 
D. Quanto e come l'impresa sociale italiana, in tutte le sue variegate forme, è pronta per poter "approfittare" per mettere al servizio della propria crescita questi tutto sommato nuovi strumenti finanziari?
R. Come accennato già in precedenza l’impresa sociale italiana non è completamente pronta ad approfittare di questi strumenti. Sia perché la normativa italiana non favorisce forme di investimento nel social business sia perché abbiamo ancora una cultura per cui non riusciamo a concepire l’intervento nel sociale come un opportunità imprenditoriale. In ogni caso la sensibilità nel nostro paese sta crescendo. La crisi del nostro sistema di welfare oltre a ridurre i servizi sociali nel nostro paese sta ridefinendo il ruolo delle aziende non profit le quali per essere sostenibili devono adottare un approccio imprenditoriale nella loro gestione.
Sicuramente le poche esperienze di impact investing a sostegno dell’imprenditorialità sociale in Italia sono anche legate alla mancanza di domanda. Quindi lo sviluppo della finanza sociale in Italia è indissolubilmente legato all’affermarsi nel nostro paese di una cultura e di un ambiente normativo e istituzionale favorevole allo sviluppo di iniziative di imprenditorialità sociale.


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