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Economia & Impresa sociale 

Economia e felicità, binomio possibile?

Per Leonardo Becchetti, economista nemico della speculazione, per cambiare davvero le cose serve colpire la finanza internazionale e dare voce ai cittadini. In che modo? Lo ha spiegato al 36° Convegno nazionale delle Caritas diocesane

di Gabriella Meroni

E' il teorico del matrimonio che sembrerebbe impossibile, quello tra economia e felicità. Gli sta a cuore un mondo in cui i cittadini, le imprese e i mercati (ma mettiamoci anche la finanza internazionale) lavorino insieme per costruire il bene comune. E il suo recente intervento al 36esimo Convegno nazionale delle Caritas diocesane, riunite a Montesilvano, è stato apprezzato per sintesi e lucidità.

Il professore Leonardo Becchetti, 47 anni, ordinario di Economia Politica presso l’Università di Roma Tor Vergata nonché consigliere d’ammistrazione della fondazione Bene Comune, membro del consiglio di presidenza della Società Italiana degli Economisti e blogger di repubblica.it, non è rimasto sorpreso dalle ultime notizie sulle pensioni da meno di mille euro della maggior parte degli anziani italiani. Che il paese si dibatta da molti anni tra povertà e mancata crescita lo sa perfettamente, come moltissimi colleghi economisti. E' la soluzione per uscire dal tunnel quello che lo rende diverso dagli altri.

Professore, anche a Montesilvano lei ha parlato di una delle metafore che ha più care, quella della casa a tre piani. Di cosa si tratta?
La nostra situazione attuale è paragonabile a quella di un palazzo a tre piani: l'Italia sta al piano terra, sopra c'è l'Europa e in alto il sistema finanziario mondiale, che con i suoi guasti ha allagato i piani inferiori. Siamo interconnessi, ma il livello superiore è quello che ha dato origine alla crisi. Bisogna intervenire lì, perché siamo al paradosso di una finanza che nel migliore dei casi ha una una dimensione 300 volte superiore al sistema  economico di cui dovrebbe essere al servizio. E' chiaro che è diventata solo uno strumento per far soldi in poco tempo.

Che fare allora?
Servirebbe una riforma del sistema finanziario che parta da un'equa tassa sulle transazioni finanziarie, il famoso “granello di sabbia” nei meccanismi della speculazione: penso a un'imposta estremamente ridotta, dello 0,05%, su ogni compravendita di strumenti finanziari. Sembra poco, ma la dimensione della finanza è tale per cui anche un'imposta così piccola genererebbe ogni anno un gettito di 200 miliardi di euro nella sola Europa e di 650 miliardi di dollari su scala globale, da destinare a obiettivi come il welfare o la cooperazione allo sviluppo. Per questo è nata una campagna, che sostengo attivamente, a cui è possibile aderire al sito Zerozerocinque.

Scendiamo al secondo piano: le politiche economiche europee. Qui cosa c'è da cambiare?
Le politiche macroeconomiche dell’Unione, fondate sul rigorismo espansivo, sono suicide. Secondo questa tesi i cittadini, pur con le tasche vuote, dovrebbero essere così lungimiranti da "anticipare" le future, eventuali riduzioni di tasse, iniziando già oggi a consumare di più per rilanciare l’economia. Siccome la realtà è ben diversa, bisognerebbe avere il coraggio di smetterla col rigore e inaugurare politiche macroenomiche più coraggiose e più solidali, altrimenti la distanza tra Europa e Italia non farà che aumentare.

E siamo arrivati all'Italia, che sta al piano terra e non se la passa tanto bene. Gli ultimi dati su povertà e pensioni non fanno che confermare il pessimismo. Lei come la vede?
Ha ragione la Confartigianato, che due anni fa ha pubblicato uno studio sui “50 spread” tra Italia e Germania che fotografa bene il quadro dei limiti del nostro paese. Per superarli sono purtroppo necessarie risorse economiche, ma alcuni punti mi sembrano irrinunciabili, come lo sviluppo di una vera agenda digitale, che consenta l'accesso alla rete al maggior numero possibile di soggetti, e gli investimenti sulla scolarizzazione, che aumenta il senso civico oltre alla nostra produttività e capacità di guadagnare. Non dimentichiamoci poi di altri indicatori, quali l'inefficienza della pubblica amministrazione e l’illegalità. Il nodo dei pagamenti della pubblica amministrazione, infine, è un punto cruciale.

Fin qui abbiamo parlato di quello che potrebbero mettere in campo i governi, o comunque le politiche pubbliche. Ma i cittadini cosa possono fare?
Moltissimo. La forza decisiva per costruire un benessere equo e sostenibile deve venire dal basso, dai cittadini che vogliono sentirsi protagonisti dell'economia. Questo protagonismo per me ha un nome: il voto col portafoglio.

Di cosa si tratta?
E' un vero e proprio voto economico, più efficace ancora di quello politico, che premia le aziende all’avanguardia nel creare valore economico sostenibile a livello ambientale e sociale. Non è un atto di altruismo, ma di autointeresse lungimirante perché ci restituirà imprese che inquineranno meno e tuteleranno di più il lavoro. Da varie indagini internazionali emerge che la quota di consumatori disposti a pagare di più per il valore aggiunto socioambientale contenuto nei prodotti è in crescita, dal 30 al 70 percento. Il problema è che i consumatori sono astigmatici, cioè non possono che avere una visione sfocata del grado di eticità maggiore o minore dei prodotti. Per questo sono nate iniziative, come la piattaforma Next-Nuova economia per tutti, a cui anche Vita aderisce, che fa incontrare cittadini e imprese e promuove un accesso rapido e comprensibile alle informazioni sulla sostenibilità delle aziende, permettendo anche ai cittadini di intervenire e commentare. L'idea è trasformare la voglia di cambiamento e protesta in una forza positiva che premia le aziende migliori.

Ancora una volta internet è protagonista…
La rete è fondamentale per coagulare pensieri e idee, ma vogliamo sfruttare la viralità del web anche per una mobilitazione di massa. Per questo stiamo preparando un flash mob sul voto col portafoglio che si svolgerà a Roma l'ultimo sabato di maggio. E' lo stesso metodo che hanno usato altri, negli ultimi mesi; noi abbiamo l'ambizione di replicare la stessa modalità, ma per lavorare su progetti migliori.

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