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Politica & Istituzioni

Giannino: il Pd è lo specchio del disastro della Seconda Repubblica

L'economista, raggiunto da VITA, analizza la difficile situazione politica. «Per immaginare un futuro diverso o si cambia la legge elettorale o si cambiano i leader e le politiche»

di Lorenzo Alvaro

Al termine di questi giorni politici convulsi, mentra va in scena la direzione di un Partito Democratico allo sbando e partono le "consultazioni lampo” del rieletto Napolitano per la formazione di un Governo, si fa fatica a capire cosa aspettarsi dalla classe dirigente in futuro. Oscar Giannino, intervistato da Vita, prova a fare un quadro della situazione e chiarire come si possa uscire dall'immobilismo.

Oggi va in scena la direzione del Pd. Molti dirigenti uscenti si sono espressi fortemente contro la possibilità di un governo di larghe intese. Cosa crede che succederà?
Per effetto degli errori incomprensibili commessi dalla propria leadership il Pd è in una posizione molto delicata. Perché non può negare un consenso il più pieno possibile all'iniziativa promossa dal Capo dallo Stato per il semplice fatto che è una proposta nata con l'esplicita richiesta di formare un governo di larghe intese. Difficile dire quanti nel Pd non si riconosceranno in questa posizione. In ogni caso basta fare un po' di conti per capire che se anche un terzo di parlamentare Pd non votassero il governo avrebbe comunque la maggioranza. Questa è la strada. Se venissero disattese  le premesse poste con il suo discorso inaugurale Giorgio Napolitano ha già chiarito le due frecce al suo arco: lo scioglimento delle Camere e le dimissioni.

C'è stato e c'è ancora un giubilo incontenibile per le parole di Napolitano. Il Parlamento però si è sempre comportato allo stesso modo negli ultimi 20 anni. Come se ne esce?
Il punto è che c'è stato un amplissimo rinnovamento nei parlamentari ma l'impostazione politica è sempre la stessa. Sul come se ne esce non ho cambiato opinione rispetto a quella della campagna elettorale. Dicevo che sarebbe entrato in Parlamento un 25% di eletti espressione di una logica totalmente irriducibile allo scontro pluridecennale tra Pd e Pdl. Aggiungevo che questo avrebbe reso impossibile un accordo di governo e sull’elezione del Capo dello Stato tra i due partiti principali. Concludevo che di fronte a questa condizione tanto valeva e sarebbe stato più responsabile che i leader di Pd e Pdl riconoscessero che la cosa più saggia era procedere ad un governo il cui fine, con un tempo breve, fosse quello di cambiare la legge elettorale. Legge con due caratteristiche. La prima è che il popolo si scelga gli eletti e non i partiti. In secondo luogo con un meccanismo volto a garantire la governabilità. Non ho cambiato idea nel senso che, malgrado gli applausi scroscianti del Pd di fronte a Napolitano, il partito non cambia la posizione politica. Vediamo cosa succede nei prossimi giorni, ma il Pd vivrà con enorme travaglio anche la sola ipotesi di un accordo con il Pdl. Il problema è che per immaginare una cosa diversa o si cambia la legge elettorale o si cambiano i leader e le politiche.     

Un vero disastro che non si riduce ai soli democratici…
Questo è il disastro della Seconda Repubblica, non solo del Pd. L'intero impianto istituzionale e di linee politiche della Seconda Repubblica è esploso. Purtroppo abbiamo finito anche la 16esima legislatura con Pd e Pdl che hanno replicato il solito schema.   

È una spiegazione dell'exploit di Grillo?
Sicuramente. Capisco benissimo chi ha votato Grillo. Ne conosco tanti. A tutti quelli cui chiedevo mi dicevano di non condividere le linee politiche di Grillo ma che hanno votato per dare una spallata. Trovo più che comprensibile e giustificato che dopo 20 anni la gente si sia rotta le scatole. Non è un processo politologico. Abbiamo un Paese che ha 6 punti in meno di Pil rispetto alla fine del 2008 e 27 punti di produzione industriale in meno rispetto al 2007. Abbiamo i redditi disponibili di migliaia di famiglie che sono arretrati di 20 anni. I milioni di italiani che votano Grillo avvertono questi parametri con grande sofferenza.

Non sembra però essere servita la spallata…
Adesso che il Pd ha vissuto sulla sua pelle l'esplosione c'è da augurarsi che, seppur tardivamente, impari la lezione. Vedo che invece ancora prevale il riflesso condizionato pavloviano di dire  che il problema è Berlusconi. Berlusconi invece più astutamente sta recitando un nuovo copione. Ha assunto, per me in maniera improbabile, le vesti da statista. Sta molto attento, da dopo le elezioni, ad usare il frasario che il Pd continua a riservargli. Vediamo se il Pd reagisce, poiché non è un partito con un padrone come il Pdl, capendo che da questo governo cui è costretto dai suoi errori debba ricavare provvedimenti che la gente capisca e apprezzi davvero, cioè capaci di entrare nella vita e nel lavoro. E se questo comporta un qualche sacrificio di intransigenza politica in meno, per loro dovrebbe essere la strada per ri-radicare il proprio consenso. Oltre che per far capire che ci tengono ad una Terza Repubblica diversa dalla precedente.

Intanto Berlusconi continua a riscuotere successi?
Devo dire purtroppo che è bravo. È uscito dalla crisi 2010-2012 in una condizione di forza assoluta. Per due anni era possibile pensare che gente del centro destra lo abbandonasse. Con questa prova elettorale alle spalle Berlusconi ha riacquisito una presa pressoché assoluta. Da lì dunque mi aspetto poca roba in chiave di cambiamento e di nuove politiche.   

Ma se avesse avuto ragione Simone Weil e i partiti fossero una forma di rappresentanza morta?
Quando la Weil scriveva queste cose l'Europa era sotto il morso dei totalitarismi neri e rossi. Effettivamente in quel periodo la presa dello Stato autoritario era così forte che i rimasugli delle vecchie culture partitiche apparivano dei fantasmi senza forza. Noi invece abbiamo una congiuntura storica totalmente diversa. Noi siamo in Italia, anomali. In tutto il resto d'Europa infatti, seppur con manifestazione che si adeguano ai tempi, la tradizionale impostazione di due grandi famiglie contrapposte con dei liberali in mezzo ha retto. Continua ad avere un senso. Il punto è che in Italia non abbiamo regole istituzionali che ce lo permettano né partiti che possano servire allo scopo. In primo luogo ci dobbiamo inventare, per uscire dall'empasse, una regola elettorale e istituzionale che sia volta a preservare il bipolarismo tendenziale e un governo capace di governare. Pensare che la soluzione sia il proporzionale puro è una follia. Sarà il proliferare di partitini personalistici. In secondo luogo dobbiamo ricordarci che c'è un'anomalia: è molto complicato immaginarsi una sinistra di tipo europeo se dall'altra parte non c'è una destra di tipo europeo e viceversa. Questo rende tutto molto complicato. E spiega perchè la spallata sia venuta e venga con l'elettorato che trova un'altra via. Via che nel resto d'Europa non può esistere. Non perchè siamo strani ma perchè abbiamo una storia diversa. Siccome tutto questo è difficile che avvenga credo che fenomeni come il M5S sono tutt’altro che transitori. Dureranno per anni     

Grillo ha detto che in autunno saremo falliti. È una boutade?
Tecnicamente lo siamo già. Non la considero una boutade. La verità è che la politica avrebbe dovuto in questi anni considerare che le condizioni dell'Italia sono quelle di un Paese il cui fallimento non si desume dai punti quotidiani di spread ma dall'arretramento di enormi grandezze reali. Penso alla competitività, 30 punti in meno della Germania in 20 anni, il reddito delle famiglie, la produttività. Abbiamo un andamento da Paese fallito. Poi Grillo ha ragione su una cosa. Tutti dimenticano che in questo 2013 ci stiamo avvantaggiando di una finestra di calma nell'Eurozona perchè i tedeschi, che votano appunto in autunno, preferiscono in periodo pre elettorale non dare preoccupazione ai propri elettori. Quindi da questo punto di vista Grillo dice un fatto oggettivo e cioè che dopo le elezioni tedesche questa calma cesserà. Se non stiamo attenti da male che andiamo andremo malissimo.


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