Welfare & Lavoro

1,6 milioni di badanti in Italia

Hanno segnato un +53% in dieci anni, per pagarle le famiglie sborsano di tasca propria 667 euro al mese. Ma in molti ormai non ce la fanno più... Il Governo lancia un Piano da 17 milioni di euro

di Redazione

Erano 1 milione 83mila nel 2001, sono 1 milione 655mila nel 2012, con una crescita del 53% in dieci anni. E nel 2030 ne serviranno 500mila in più. Sono i numeri dei collaboratori familiari in Italia, vera colonna portante del welfare nostrano. I dati e le previsioni arrivano dal Censis e dall’Ismu per il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, e sono stati resi noti ieri. Se ne avvale una famiglia su dieci,  per un totale di 2milioni 600mila famiglie. La spesa media per le famiglie è di 667 euro al mese, ma per colpa della crisi più della metà delle famiglie non ce la fa più a sostenerla, per cui almeno in un 15% delle famiglie con un componente bisognoso di assistenza, c’è un altro componente della famiglia che lascia il lavoro: si tratta nella maggior parte dei casi di donne (90,4%) e giovani (il 66% ha meno di 40 anni). Solo il 31,4% delle famiglie italiane infatti riceve una qualche forma di sostegno pubblico per il pagamento dei servizi forniti dai collaboratori, tra cui l’accompagnamento (23,3%).
Il 77% di colf, badanti e baby sitter è di origine straniera: arrivano principalmente da  Romania (13,1%), Ucraina (9,4%) e Filippine (7,8%). Solo il 23,7% è iscritto a un albo o elenco ma il 55,2% sarebbe interessato a frequentare corsi di aggiornamento. Il 27,7% dei collaboratori è totalmente irregolare. Il 34,5% definisce la propria posizione completamente regolare (erano 38,2% nel 2008) mentre il 37,8% si colloca nell’area della semi-regolarità. L’irregolarità è più diffusa tra gli italiani: lavora totalmente in nero il 53,1% degli italiani contro il 20,2% dei collaboratori di origine straniera. Lavorano in nero il 54% dei collaboratori familiari al Sud, al Nord si scende al 10%.

Più italiani in nero
La ricerca si intitola “Elaborazione di un modello previsionale del fabbisogno di servizi assistenziali alla persona nel mercato del lavoro italiano con particolare riferimento al contributo della popolazione straniera” e scrive che «Nell’ultimo decennio l’area dei servizi di cura e assistenza per le famiglie ha rappresentato per il nostro Paese un grande bacino occupazionale, anche se i servizi di collaborazione domestica in Italia si caratterizzano ancora per la forte destrutturazione, anche quando comportano un’assistenza specialistica a persone non autosufficienti». Il rapporto sottolinea «l’assenza di intermediazione nel rapporto di lavoro: solo il 19% delle famiglie si avvale di intermediari per il reclutamento. Ed esiste un’ampia area di lavoro totalmente irregolare (il 27,7% dei collaboratori) e «grigio» (il 37,8%) che si accompagna però al progressivo consolidamento di un quadro di tutele».  Le famiglie poi chiedono con forza, oltre agli sgravi di natura economica, «una maggiore semplificazione per l’assunzione e la regolarizzazione dei collaboratori (lo chiede il 34% contro il 40% che richiede gli sgravi), ma anche servizi che sul territorio favoriscano l’incontro tra domanda e offerta (29%). Inoltre, il 34,5% delle famiglie vorrebbe l’istituzione di registri di collaboratori al fine di garantirne la professionalità, il 39% vorrebbe invece che venissero create o potenziate le strutture che si occupano di reclutamento, mentre il 25,7% sarebbe pronto ad affidarsi totalmente a un’agenzia privata che sollevi la famiglia da tutte le incombenze di carattere burocratico e gestionale».

L’out of pocket
Ma le vere incognite che oggi incombono sulla sostenibilità del sistema sono soprattutto di natura economica. Il welfare informale ha un costo che grava quasi interamente sui bilanci familiari. A fronte di una spesa media di 667 euro al mese, solo il 31,4% delle famiglie riesce a ricevere una qualche forma di contributo pubblico, che si configura per i più nell’accompagno (19,9%). Se la spesa che le famiglie sostengono incide per il 29,5% sul reddito familiare, non stupisce che già oggi, in piena recessione, la maggioranza (56,4%) non riesca più a farvi fronte e sia corsa ai ripari: il 48,2% ha ridotto i consumi pur di mantenere il collaboratore, il 20,2% ha intaccato i propri risparmi, il 2,8% si è dovuto addirittura indebitare. L’irrinunciabilità del servizio sta peraltro portando alcune famiglie (il 15%, ma al Nord la percentuale arriva al 20%) a considerare l’ipotesi che un membro della stessa rinunci al lavoro per prendere il posto del collaboratore. «Con una domanda crescente di protezione sociale, è indispensabile incrociare il “welfare familiare”, che impiega rilevanti risorse private, con un intervento pubblico di organizzazione e razionalizzazione dei servizi alla persona basato su vantaggi fiscali alle famiglie per garantirne la sostenibilità sociale», conclude il Censis.

Il Piano del Governo
Al termine della giornata è stato presentato il Piano sui servizi alla persona, che ha come obiettivo la qualificazione del lavoro di cura e un finanziamento complessivo di 17 milioni di euro. Il viceministro Cecilia Guerra ha sottolineato l’importanza del fare incontrare domanda e offerta, tutelando entrambe le parti, con corsi di formazione di 80 ore. Prevista la creazione di 2.500 sportelli per l'incontro tra domanda e offerta. La lotta al lavoro nero sarà fatta attraverso il voucher: «Sono tante le colf e badanti che non hanno un contratto di lavoro regolare – ha detto Guerra – Strumenti come il voucher servono proprio a regolarizzare il mercato. La detrazione invece toglie responsabilità a chi invece deve dare risposte sul territorio».


 


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