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Emilia, un anno vissuto coraggiosamente

Sono i sindaci i veri protagonisti della ripresa e dell'inizio della ricostruzione. Messo da parte il modello centralistico, che ha fallito a L'Aquila, è stata sperimentata una gestione più tempestiva, decentrata e funzionale cui ha partecipato anche il Terzo Settore. Ecco la situazione un anno dopo

di Lorenzo Alvaro

È il cratere sismico più grande d’italia, ha coinvolto quasi 1 milione di persone (900mila) e tre regioni (emilia romagna, Veneto e Lombardia). Un anno fa due scosse, una il 20 maggio 2012 con epicentro a Finale emilia e l’altra il 29 maggio con epicentro fra Mirandola, Medolla e San Felice sul Panaro, hanno colpito 59 comuni nella pianura padano-emiliana. Una costellazione di piccoli centri, tante piccole cellule, di uno dei distretti industriali più attivi del paese.

L’Emilia, la regione più colpita, ha subito cercato di ripartire. A sorpresa però, dopo l’epoca della Protezione Civile militarizzata e di Bertolaso, capo dipartimento onnipotente, il modello che si profila nella ricostruzione è totalmente sussidiario. Il ruolo di protagonisti, in barba alla tradizione dei commissari che dall’alto determinano ogni scelta, è dei sindaci e del non profit. «la struttura commissariale vede il gran capo, Vasco Errani, ma vede immediatamente collegati ad esso i 54 sindaci dell’area del cratere», spiega Beppe Rovatti, dell’Anci Emilia Romagna.

«Hanno poteri diretti e attuativi sul territorio. si è scelto questo tipo di modello proprio perchè il territorio sia protagonista nell’emergenza e nella ricostruzione. L’esempio centralistico dell’Aquila non ha dato buone risposte e non abbiamo voluto che venisse replicato» sottolinea. Un tipo di organizzazione che realizza una gestione più tempestiva e funzionale «cui partecipa anche il Terzo settore, che avrà in gestione molte delle strutture ricostruite», aggiunge Rovatti. Modello che, spiega sempre Rovatti, ha dato buoni risultati: «Le piccole opere classificate come danni contenuti e poco rilevanti sono già in stato avanzato di lavorazione. In molti casi i lavori sono già terminati. Altro discorso per quello che riguarda i danni gravi. Lì siamo ancora in fase di progettazione». I progetti infatti vengono individuati e strutturati dai sindaci che poi li inviano alla struttura commissariale che li deve approvare e finanziare.

Non mancano naturalmente i problemi. In particolare le note dolenti sono due: la mancanza di fondi e la burocrazia, in particolare dello Stato centrale. Per quanto riguarda il denaro, a tenere a galla la situazione, sono infatti in larga parte i 30 milioni e 679mila euro frutto della solidarietà degli italiani. 14.371.000 euro provenienti dagli Sms solidali, 4.305.000 euro dal concerto di Campovolo e 12.002.000 euro donati sul conto corrente della Regione, nel quale sono confluiti 1.162.000 euro raccolti con il concerto di Bologna. «Si può dire che oggi a mantenere in vita l’Emilia siano il modello sussidiario di ricostruzione e la solidarietà degli italiani, con l’impegno del Terzo settore e le donazioni», chiosa Rovatti.

L’epicentro della ricostruzione
Con la sua torre dell’orologio spezzata a metà, Finale Emilia è stato il simbolo del terremoto. Finale è un luogo particolare. Da sempre zona di confine, di trasporti, di commerci e di viandanti. Una città che, come ogni luogo capace di accogliere, ha una personalità forte. Una cittadina che ha dato vita a quello che i suoi abitanti chiamano “finalesità”. L’orgoglio di far parte di una comunità e di un territorio. «Qui a nessuno è mai venuto in mente di andarsene», sottolinea il sindaco Fernando Ferioli. La “finalesità” è alla base del modello di intervento nella ricostruzione che infatti è mutuato dalla tradizione e dalla storia di questi luoghi. «Qui, già prima del terremoto, vantavamo circa 100 realtà sociali. È sempre stata una nostra ricchezza», sottolinea Massimiliano Righini, assessore alla Cultura e al Commercio, «il volontariato sociale e quello culturale, le associazioni sportive come le cooperative erano e sono il motore di un grande fermento in città. Iniziative culturali, di pubblico spettacolo, raccolte fondi hanno sempre scandito la vita sociale di Finale». Ecco perchè nel momento dell’emergenza, i sindaci chiamati sul ponte di comando non hanno voluto rinunciare ad avere il non profit nella propria ciurma.

«Sia io che Righini oggi abbiamo incarichi pubblici ma veniamo dall’associazionismo», racconta il sindaco, «per cinque anni infatti mi sono occupato di Artemisia, una onlus che ho fondato che si occupava di nuove tecnologie e organizzazione di eventi. Una sensibilità che è alla base del mio impegno in Comune». Ferioli ha le idee chiare, sia su quello che ha funzionato bene sia su quello che invece non va. «La strada emiliana nell’affrontare l’emergenza è la migliore Questo però non vuol dire che non ci siano problemi o difficoltà. Il motivo è banale: vi siete mai chiesti perché in Italia nessuna emergenza è trattata allo stesso modo? Perché in questo Paese nonostante tutto non esistono linee guida univoche per la ricostruzione. Ognuno si deve inventare un proprio modus, che generalmente viene strutturato a suon di ordinanze commissariali. Il Commissario è costretto ad inventarsi una strada. Non ci sono leggi che permettano di avere piani precisi. A questo si è aggiunta, devo essere sincero, la distanza del governo centrale di Monti. Abbiamo sempre pagato le tasse, Imu compreso, come non fosse mai successo nulla».

In un quadro così drammatico, cui si aggiunge la crisi economica, i risultati hanno dell’incredibile: su 7mila famiglie solo un centinaio se ne sono andate, su 80 esercizi commerciali del centro ne sono stati delocalizzati solo 10 e sono già tornati quasi tutti nelle proprie strutture originarie senza contare che in un mese e mezzo il centro storico era già aperto e vivibile. «È merito della capacità decisionale data alle amministrazioni comunali. Qui a Finale ho potuto decidere, correndo grossi rischi, di non stabilire una zona rossa centrale, come è stato fatto all’Aquila, ma chiudere esclusivamente ciò che era pericoloso e pericolante», sottolinea Ferioli. Tanti i progetti in essere. C’è il recupero di edifici e monumenti storici, quello delle sedi istituzionali e degli edifici inagibili del centro storico. Ma il progetto più corposo riguarda il polo scolastico. «Ci siamo trovati senza istituti. Abbiamo tre scuole materne, tre elementari, una scuola media inferiore e quattro scuole superiori. Tutte da rimettere in piedi», chiarisce Ferioli. «Queste strutture, in particolare le ex scuole medie, una volta recuperate saranno in larga parte destinate al Terzo settore. Vedranno la luce una Casa del Volontariato e una struttura con sale polivalenti a gestione sociale». Anche qui il denaro proviene dalle raccolte fondi. «Il progetto è in stand by perchè i soldi per la scuola sono frutto di una raccolta lanciata ad hoc dal Comune che ha fruttato 4 milioni di euro.

Il problema è che quei soldi rientrano nel Patto di Stabilità, contrariamente agli sms solidali, e quindi, se non ci saranno interventi del governo, non ci è possibile spenderli. Ma con Errani stiamo già lavorando ad un escamotage che ci permetta di fare in modo che quel denaro abbia la targa della Regione e quindi si svincoli dal Patto», chiarisce Ferioli.

I comuni del cratere
L’alleanza tra istruzione e sociale è una costante dei comuni terremotati. È il caso di San Possidonio, in provincia di Modena, dove è nato un nuovo Centro ricreativo polifunzionale. Donato dalla Fondazione Aiutare i bambini al Comune, la struttura prefabbricata è integrata nel Polo didattico costruito ex novo dopo il sisma, che ospita i bambini dal nido alle scuole medie. «La nostra struttura verrà utilizzata principalmente come palestra dalle scuole, ma accoglierà in parte anche le attività didattiche del nido, che ha spazi più piccoli, e varie attività extrascolastiche, dal doposcuola alle proposte ludiche e ricreative gestite dalle associazioni», spiega Alberto Barenghi, responsabile progetti Italia della Fondazione. In seconda battuta, la struttura farà anche da “sala della comunità” per il non profit.

A Poggio Renatico, Ferrara, sorgerà un nuovo Centro Civico voluto dall’amministrazione. «Una struttura che costerà 400mila euro e che è destinata ad ospitare le sedi delle associazioni che nel sisma hanno perso la propria casa», spiega il sindaco Paolo Pavani. «Ancora non è partito il cantiere per la mancanza di fondi. Ma sappiamo che devono arrivare e il progetto è già stato sottoposto al vaglio del Commissario». Cavezzo, in provincia di Modena, invece ha deciso di recuperare la Bocciofila del paese e il Palazzetto dello sport. «Due luoghi centrali nella socialità del paese», spiega il sindaco Stefano Draghetti, «entrambi saranno poi gestiti dal non profit. Bisogna essere sinceri. La gestione del privato sociale spesso è migliore, più attenta e oculata, rispetto a quello che può offrire la pubblica amministrazione».

Barbara Bernardelli sindaco di Reggiolo ha deciso di ricostruire la Scuola della Musica “Giovanni Rinaldi”. «Si tratta di una realtà cui siamo molto legati. La struttura è comunale ma è gestita da sempre dal Circolo Rinaldi. Oltre alla semplice attività didattica e i corsi la Scuola ospita un centro di musicoterapia e propone eventi annuali come il “Clarisax day”, “l’Ottoni day” e la “Giornata della musica”. Possiamo considerarlo a tutti gli effetti il cuore della nostra città».

In copertina la facciata del Teatro Sociale di Finale Emilia, uno dei simboli del terremoto
Il servizio è sul numero di Vita in edicola


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