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Dopo 9 anni Fontana lascia la Uildm

Si aprono domani a Lignano le Manifestazioni Nazionali Uildm. Nel corso della tre giorni verrà eletto anche il nuovo direttivo nazionale. Fontana non si ricandida, «per sollecitare un ricambio generazionale»

di Sara De Carli

Continuerà a dare il suo contributo, magari con una delega operativa o su un progetto specifico, perché – ammette – «non riuscirei a fare altro». Ma ricandidarsi no, anche se formalmente lo potrebbe fare, perché «dobbiamo creare spazi di assunzione di responsabilità da parte dei giovani, forzare un po’ la mano, altrimenti si rischia di essere non solo autoreferenziali ma di intralcio. Il mio è un messaggio alla mia organizzazione, che come molte altre vive la difficoltà di trovare nuovi dirigenti: dobbiamo rischiare il nuovo». Alberto Fontana di anni ne compie 42 quest’anno ed è alla fine del suo terzo mandato come presidente della Uildm. Dopo nove anni, tra il 23 e il 25 maggio, i 500 delegati dell’assemblea nazionale eleggeranno la nuova direzione nazionale Uildm, al cui interno verrà scelto il nuovo presidente.
È convinto di passare la mano?
Sì, e non certo perché sono stanco. Senza sentimentalismi, in questi nove anni ho ricevuto molto più di quel che ho dato. Ma il dire “resto perché non c’è nessuno che mi sostituisca” alla lunga diventa un alibi, vuol dire che tu non hai investito adeguatamente nella formazione di nuovi dirigenti.
Qual è il bilancio di questi nove anni?
Nessuna autocelebrazione, è l’intera Uildm che ha saputo realizzare importanti sfide. Pensi a Nemo, il centro specializzato in malattie neuromuscolari che abbiamo avviato a Milano nel 2008: ci siamo trasformati da un soggetto che sosteneva le persone con distrofia muscolare nei loro percorsi clinici a un soggetto che è parte attiva di questi percorsi. Non siamo più solo consulenti o sostenitori, ma ci siamo assunti la responsabilità di costruire e gestire servizi, insieme ad altri soggetti autorevoli e al pubblico. Quello di Nemo è un modello di sussidiarietà orizzontale, che infatti ha già trovato replicabilità a Messina con Nemo Sud.
Nella lettera di saluto ha scritto che la strada che state percorrendo, e su cui si dovrà restare, è quella del “fare rete” con altre organizzazioni. Perché lo ritiene decisivo?
Aiutare le persone con distrofia muscolare non significa esporre i problemi che viviamo. La scommessa è coinvolgere tutti i cittadini “in un’unica battaglia”, creare le condizioni per un approccio diverso, che superi i nostri percorsi di vita, convinti che i temi che stanno a cuore noi riguardano in realtà anche tutti gli altri cittadini e, di converso, che le battaglie sull’acqua e l’energia di Cittadinanzattiva – lo cito perché è il nostro ultimo partner nella campagna in corso sulle barriere architettoniche nelle scuole – facciano riscoprire ai miei il loro ruolo attivo di cittadini, che non c’entra con la disabilità. È stato così anche con Nemo, realizzato insieme ad Aisla e Famiglie Sma.
Sa già che il compito che passa al suo successore non è facile…
Non è facile fare rete perché tutti portiamo una bandiera e ci sembra che la nostra sia la più bella e non sia affiancabile a quella di altri. L’appartenenza è un valore, però a volte crea limiti. A me lo ha insegnato la ricerca scientifica: a volte le scoperte che non c’entrano nulla con la malattia che ti interessa si rivelano quelle più decisive per trovare una risposta, in maniera imprevedibile.
 


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