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Ridare fiducia agli esclusi. La chiave del welfare che verrà

Partita la nona edizione del Festival Biblico a Vicenza. Un appuntamento in cui le tematiche sociali hanno sempre più spazio. Come accadrà domani con Luigino Bruni e Fabio Folgheraiter. In anteprima uno starlcio della relazione di quest’ultimo

di Fabio Folgheraiter

Di fronte all'inaudita Grande crisi che ci attanaglia, tutte le nostre speranze sono rivolte al fondo. Lo abbiamo già toccato? Lo toccheremo a breve? Se così fosse, buon per noi. Il problema si pone seriamente se questo fondo non fosse ancora in vista, se il nostro cadere fosse ancora lungo. Per quanto ancora le fabbriche piccole e grandi, o i negozi, continueranno a chiudere con i ritmi attuali? La cassa integrazione riuscirà a contenere tutti i senza lavoro che dovranno entrarci da qui in poi? Quelle benemerite «molle» che sono gli ammortizzatori sociali resteranno sufficientemente elastiche sotto l'imminente immane peso? Se il temuto collasso della nostra economia reale avvenisse, allora è chiaro che bisognerebbe tirar fuori un nuovo piano Marshall per il welfare. Dovremmo ripensare l'assistenza mettendola a fondamento del nostro vivere civile. Dovremmo abbandonare innanzitutto i luoghi comuni.

L'«assistenza» è sempre stata vista come una questione che riguarda gli altri, quei personaggi sfortunati e marginali che per qualche motivo, e a volte anche per loro «colpa», pesano sulle spalle di tutti, dandoci nel contempo l'occasione di sentirci superiori attraverso le elemosine o le opere di bene. Non è così. No, perché a breve quegli sfortunati personaggi possiamo essere tutti noi, io o tu o nostro cugino o quel vicino di casa tanto gentile. I poveri venturi potremmo essere, senz'altro, ciascuno di noi.

Le politiche per il welfare diverranno allora priorità assoluta: non saranno più marginali e distratte manovre fatte con una certa sufficienza, come a dire che tanto quelle risorse sono briciole, che le vere politiche sono quelle economiche per lo sviluppo. Ormai, lo sviluppo, la vecchia politica non sa più come concepirlo. Non avendolo voluto concepire negli anni passati quando ne aveva l'occasione e le possibilità, ora è più dura. Si va a casaccio, sperando che le idee e le energie se ne escano chissà come dalle viscere della mitica società civile, per vie misteriose, come un coniglio dal cappello del prestigiatore. Abbiamo già tentato la carta di sgridare i giovani affinché la smettano di essere bamboccioni, dimenticando che in realtà siamo stati noi adulti a buttare sul groppone di quei nostri giovani perlopiù disoccupati i nostri debiti e le nostre precedenti rapacità. In queste condizioni, le politiche della solidarietà collettiva andrebbero messe al primo posto, non più quelle terribili che liberalizzano ogni sorta di profitto. In periodi duri, la giustizia sociale è primaria, essenziale più della stessa crescita… Senza pesantissime politiche di redistribuzione la nostra società ritornerà al Far West, dopodiché: addio crescita, definitivamente.I liberisti ci hanno spiegato che la redistribuzione della ricchezza nazionale è un vecchio arnese arrugginito delle socialdemocrazie, che in effetti spesso ha prodotto abusi e paradossi. Ma oggi diciamo che per fortuna questo arnese c'è. Anche per il bene degli stessi liberisti, dovremmo rispolverarlo urgentemente. Dall'assistenza come palla al piede dell'economia, dai soldi delle tasse sottratti agli investimenti produttivi all'assistenza come motore di un minimo di economia di sussistenza, dai soldi dati a chi non ne ha perché si compri da mangiare e le scarpe per camminare. È sicuro che se si vuole uscire dalla crisi molte spese andranno tagliate, ma non quelle per il welfare. Semmai andranno drammaticamente aumentate, cercando di prenderle dove ci sono, in accordo ai principi di equità e giustizia sociale.Posto tutto ciò come premessa, la relazione affronterà il tema delle opportunità che la Grande crisi può aprire nella delicata partita del welfare. Sebbene vitali in questo momento, i soldi non sono l'essenziale. La libertà delle persone e delle formazioni sociali di impegnarsi e perseguire seriamente il proprio bene, e da qui il bene comune, è il fattore sul quale conviene meditare più a fondo. Al di là delle tante frasi fatte sulla sussidiarietà, è la libertà autentica di tutti i soggetti di buona volontà a partire dai più fragili e umili (piuttosto che la libertà «liberistica» dei più efficienti) che potrà far ritrovare alle comunità locali sempre più gravate dalle povertà un nuovo «senso del vivere assieme», da cui potrebbero discendere tranquillità e persino «felicità» inaspettate.

Qui il sito del Festival biblico


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