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Hänninen: la mia Milano dimenticata

Intervista al fotografo che ha fatto degli edifici abbandonati della città un white book itinerante. La mostra cittàinattesa è un “work in progress” che muta e si arricchisce in simbiosi con il tessuto urbano

di Lorenzo Alvaro

Dottore di ricerca in ingegneria aerospaziale che collabora con il Poltecnico di Milano e fotografo. Si tratta di Giovanni Hänninen, per metà siciliano e per metà finlandese, un curriculum ricco di collaborazioni e lavori tutti incentrati sull'architettura e il paesaggio urbano. Cittàinattesa è una sua mostra fotografica sugli edifici dimenticati di Milano. Mostra che ha esordito alla mostra collettiva “Giorni Felici – 20 artisti x 20 artisiti” presso Casa Testori e, fino a sabato prossimo, è allestita alla Galleria Bel Vedere fotografia. Un lavoro particolare, perchè mai chiuso definitivamente. «È un white book, un lavoro sempre in divenire», sottolinea il fotografo, le cui immagini sono accompagnate dai testi di Alberto Amoretti. Un progetto che, per usare proprio le parole di Amoretti, «ricostruisce una città virtuale con pezzi di Milano dimenticati. Prende forma una realtà urbana assemblata con luoghi anacronistici, che sembravano aver esaurito la loro missione, ma anche con edifici che sarebbero ancora in grado di vivere e servire la cittadinanza».

Vita.it a intervistato Hänninen per parlare di questa Milano e del tema architettonico e urbanistico, quanto mai attuale anche in vista di un Expo che sta risultando quanto mai controverso.

Lei ha definito Milano, nel suo lavoro fotografico, cittàinattesa. Perché?
Il modo in cui è scritto rivela due interpretazioni. In primo luogo la città che non ti aspetti. Le persone che vedono la mostra rimangono stupite. Trovano luoghi della propria infanzia. Le immagini lavorano su un immaginario personale inatteso. Non ci si aspetta che esistano ancora questi luoghi e, in alcuni casi, non sembra neanche di guardare Milano. C'è poi la città in sospeso. In attesa tra un passato forte conosciuto, perchè ognuno di questi luoghi racconta una storia, e un futuro indefinito, perchè non si sa cosa sarà e cosa potrà succedere. Tutte queste piccole storie per altro ne raccontano una più grande, della città, legata ai processi di globalizzazione tipici dell'occidente, diversa da quella che leggiamo nei libri ma molto attinente al periodo storico che stiamo vivendo.

In che senso?
Milano non è una città post industriale. Non è la Ruhr o Detroit. È una città in cui i valori immobiliari sono estremamente elevati. Abbiamo le nuovi costruzioni, tra Porta Nuova e City Life, che viaggiano su medie di 9 o 10mila euro il metro quadro e in cui i 100 metri quadri sono il lotto più piccolo. Accanto però abbiamo luoghi completamente dimenticati, su cui non ci sono progetti di lungo periodo o idee di riqualificazione. Una mappa di luoghi abbandonati che vivono accanto agli edifici disegnati da qualche archistar o alle strutture per uffici che poi rimangono abbandonati a loro volta per decine di anni
 

Scuola media Tito Livio, via Einstein – Costruita in risposta al boom demografico degli anni '70, venne chiusa per mancanza di alunni

Lei parla di storia. Come si arriva ad abbandonare la propria storia?
A me il termine abbandono non piace. È vero che in un certo senso è appropriato. Questi luoghi mantengono comunque una loro vita e una loro storia, ma spesso diventano qualcosa di diverso che è fuori dal nostro controllo.

Che termine sarebbe meglio usare?
Sono luoghi in attesa, dimenticati. Bisogna pensare che ci sono luoghi, come il quartiere della sede del Ministero delle Finanze di Rogoredo, che urbanisticamente non hanno nome. Se non si da un nome alle cose in qualche modo queste cessano di esistere. Scivolano nella dimenticanza. Perché succede di dimenticare? Perché siamo distratti rispetto a quello che abbiamo sotto al naso…
 

Sede del Ministero delle Finanze, Rogoredo – Costruito all'inizio degli anni '80, offre 10mila mq di uffici divisi su sette piani

Ma c'è anche molta discussione su questi temi. Perché parla di distrazione?
Perchè purtroppo, e si vede proprio nei momenti di confronto, c'è una fortissima tensione da parte di chi questi luoghi vorrebbe viverli perchè mancano delle regole e delle forme condivise, anche con le istituzione, per riuscire a dar ragione del fatto che magari economicamente sono spazi non competitivi ma che possono essere qualcosa di diverso di un business.

Infatti spesso il mancato recupero è giustificato con la mancanza di fondi…
Certo. Costa molto meno fare un edificio ex novo che mettere a norma un vecchio edificio. Però d'altra parte sono luoghi che vengono abitati, come il Macello, in cui sono entrati  da giovani che si sono resi protagonisti anche di un recupero dello stabile. Senza soldi pubblici si possono fare un sacco di cose. I privati hanno voglia, tempo, denaro ed esigenze. E sono una ricchezza da sfruttare. Io ad esempio sono pieno di materiali e scatoloni d'archivio che non so dove mettere. Ci fosse una possibilità di prendere in gestione uno spazio, in cambio di un recupero, sarei felicissimo.
 
Certo, i cittadini in alcuni casi cercano di riappropriarsi di queste strutture. Spesso con occupazioni abusive. In questi giorni infatti assistiamo a diversi sgomberi. È un segnale che la città vuole riconquistare quel passato…
Sono tutti luoghi vissuti. Mai abbandonati. Sono vissuti semplicemente da qualcun altro. Che sia solamente un albero che cresce dove non potrebbe o che sia una comunità di "indesiderati".

Che si può fare per invertire la tendenza?
In Italia non ci sono delle norme che ti permettano di utilizzare uno spazio e renderlo accessibile ad un gruppo di persone che voglia prendersene la responsabilità. Sarebbe il caso di cominciare a pensarle
 

Studentato maschile Leibniz, via Rombon – Residenza voluta dalla Fondazione Cariplo, ospitava quasi 300 posti letto

È il tema dell'auto recupero, caro ai ragazzi dei centri sociali. Sei un pericoloso estremista!
In Germania ad Amburgo la municipalità decide che un lotto può essere dato ad un gruppo di persone che si organizza fa una società, chiama un architetto e comincia i lavori. La cosa assurda è che sembra si parli di fantascienza, invece abbiamo esempi virtuosi in Europa che "legalizzano" la riqualificazione di questo tipo di spazi anche rispetto ad azioni di privati cittadini.

Giovanni Testori, che non era affatto contrario alle novità architettoniche, diceva, circa i grattacieli, che «devono mandarsi messaggi morali con il contesto in cui sono collocati». Missione compiuta o missione fallita a Milano?
Io sono andato a visitare la piazza di Unicredit, a me non dispiace affatto. Ma questo modello architettonico luccicante mi sembra già un po' vecchio. Milano è una città che ha avuto esempi di architettura eccezionali. Quando in Europa si ricostruiva dopo la guerra, tutti guardavano a noi come modello. Forse anche un po' per questo la città è stata messa sotto una teca e ha aspettato in questi anni che succedesse qualcosa. Non è successo niente e probabilmente adesso ha fame di cambiamento. Ripeto: può non essere un grande esempio architettonico, anche rispetto al discorso che fa Testori. Ma la piazza è molto bella e questo ha un grande significato.
 
Quale?
È una piazza che è sempre piena di gente, anche se non ci sono servizi. E questo racconta un fatto importante: Milano vuole vivere Milano. Milano vuole posti pubblici e piazze. C'è fame e sete di spazi. Uno spazio piatto, come le adiacenze della piazza, dove non passano le macchine viene subito popolata da genitori che portano a pattinare i propri figli
 

Chiesetta di S. Gregorio, piazza Roserio – Si narra che sia stata fatta costruire da una nobildonna milanese dopo aver ricevuto una grazia. Ad oggi è in vendita

Anche i messaggi però, per tornare a Testori, sono importanti. Che il nuovo Duomo, la nuova cattedrale della citta, sia la sede di una banca è preoccupante…
Sì, i messaggi sono molto importanti. Ma separiamo quello che è la progettazione dal resto. Pensiamo ai contenuti. Il problema non è l'estetica ma il progetto urbanistico che c'è dietro. Vogliamo parlare della Città della della Moda? Si è fatto un gran parlare di cultura, moda e design. A Milano si usano sempre queste parole chiavi. La torre di Porta Nuova non doveva essere all'inizio necessariamente una banca. Nella piazza ci dovevano andare le grandi firme della moda, e sottolineo grandi. Ad oggi abbiamo una scatola vuota. Un contenitore straordinario che non ha un motore al suo interno. Si può costruire, paradossalmente, anche una cosa che fa schifo. L'importante è che funzioni

Quindi non si salva nulla nella nostra povera Milano?
Il Comune sta facendo progetti belli. Ci sono alcuni bandi per il riutilizzo di alcuni spazi e sta prendendo piede il concetto del "riuso temporaneo". Ed è un fatto importante. Ma bisogna pensare anche sul lungo periodo. Dovremmo fermarci e pensare a nutrire e far crescere la nostra città, dopo che per anni si è solamente cementificato

Nell'immagine di copertina Il Macello di G. HänninenBorsa delle Carni e Macelo pubblico, viale Molise. La Palazzina Liberty del 1929 è parte del complesso che da qui si sviluppa verso via Mecenate e che comprende anche l'ortomercato. Dal 2005 non arrivano più bovini e l'area diventa un deposito Amsa per "rifiuti speciali”. Nel 2008, il Comune vuole trasformarlo in una Cittadella del Gusto per l'Expo, ma tutto sfuma per mancanza di fondi. Dal giungo 2012 il collettivo Macao l'ha eletta a sua sede.


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