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Grillo e il non profit? Ecco la differenza

L'ex presidente di Cittadinanzattiva autore del recente "La forza riformatrice della cittadinanza attiva" non vede assonanza fra il movimentismo del M5S e quello della società civile. Le debolezze dell'uno e dell'altro

di Redazione

È un libro che dà la scossa, l’ultima fatica del sociologo dell’università di Bari ed ex presidente di Cittadinanzattiva Giuseppe Cotturri. “La forza riformatrice della cittadinanza attiva” in fondo infatti è una robusta e documentata rivendicazione del valore e dei successi che la società civile italiana potrebbe vantare (e non vanta) negli ultimi anni e potrà vantare in futuro soprattutto nei confronti della politica perchè «per i cittadini consapevoli e i soggetti sociali attivi nei prossimi anni si aprirà uno spazio politico sempre più largo».

Professore a dirla tutta però oggi la cittadinanza attiva sempre fiaccata dalla crisi o – scendendo sul piano politico-esclusa dai tavoli che contano o delusa perfino da quel grillismo, che pure qualche speranza l’aveva suscitata. Lei invece parla di forza riformatrice…
Quel titolo serve per evidenziare che i cittadini attivi non sono solo delle brave persone che danno una mano a conservare le tutele sociali, ma ormai hanno anche acquisito un ruolo da protagonisti nel sistema istituzionale.

Cosa glielo fa dire?
Se ripercorriamo la storia degli ultimi 30 anni vediamo che questo mondo ha cambiato gli equilibri sociali, ha generato nuove istituzioni, ha prodotto rilevanti riconoscimenti legislativi a livello regionale, nazionale, ma anche costituzionale. Penso all’articolo 118 in cui dopo la riforma del 2001 si prevede «l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà». Insomma siamo entrati in un sistema nuovo retto su nuove fondamenta. Il libro ha voluto prendere coscienza di questo fenomeno e contestualmente ha voluto reagire alla timidezza dei soggetti del terzo settore, che faticano a rivendicare i loro evidenti successi. In questo periodo talvolta sembrano perfino spaventati dalla risonanza che ha preso il tema della protesta, sui giornali e sul palcoscenico politico, che stride di fronte alla compostezza e silenziosità del loro operare quotidiano e di lungo periodo.  

Grillo e il Terzo settore quindi dal suo punto di vista sono molto distanti?
Assolutamente sì. Sono due strade opposte. La protesta è sacrosanta, ma il Movimento 5 Stelle non sembra in grado di spendere i suoi numeri per correggere la direzione del governo, quindi in buona sostanza non incide: io condivido la battaglia sui costi della politica,  ma non ci si può fermare lì. La politica è altro. Il Terzo settore invece, che le cose le fa e spesso anche con forze autonome, la chance di cambiare davvero le cose la vede davanti a se’ come prospettiva concreta, anche perché lo ha già sperimentato nel passato. Se queste soggettività riescono a darsi una voce comune, allora ne acquisteranno in autorevolezza e riconoscibilità sociale, ma anche politica.  

Il tema della rappresentanza del Terzo settore però è ancora un nodo da sciogliere…
Ma noi cittadini attivi dopo anni 90 con la normativa sul non profit e l’entrata della sussidierietà orizzontale in Costituzione agli inizi del Duemila siamo usciti dalla guerra fredda delle ideologie, dallo schema cattolici da una parte, sinistra dall’altra. Occorre che se ne rendano conto una volta per tutte. Quello che vale sono i risultati. Sono i beni comuni. Sbaglia chi ritiene che la soluzione possa essere un modo alternativo di concepire la rappresentanza, il centro focale è quello che nel libro definisco il “paradigma dei risultati” e delle “convergenze oggettive”. Se alcuni soggetti lavorano per gli stessi obiettivi e lo fanno con profitto, a prescindere dalle famiglie di provenienza, allora sì che si guadagnano la strada per interloquire col governo in modo che indirizzi in un certo modo le risorse.

Ma perchè il governo dovrebbe stare ad ascoltarli?
Un programma di governo si fa nella scuola, nella lotta all’inquinamento, nell’acqua come bene pubblico, nella tutela ambientale. Su questi nodi i soggetti sociali già fanno quotidianamente politica, fanno sviluppo e hanno continuato a farlo mentre tutti ci dicevano di stringere la cinghia. Le faccio un’anticipazione. Nel prossimo rapporto Istat che sarà presentato l’11 luglio si registra che dal 2008 al 2011 in piena recessione si è verificato una grande boom dei piccoli gruppi di volontariato, 4-5 persone che si mettono assieme per risolvere uno specifico problema. Venendo alla sua domanda: i partiti per ritrovare un radicamento nella società che in fondo è la loro ragion d’essere non possono che cercare il dialogo con i soggetti sociali attivi, che poi sono quelli della cittadinanza attiva.  Un’alternativa non esiste: se continuano a perdersi in infinite verifiche e in guerre correntizie per loro non ci sarà più alcuna speranza.
 


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