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Cooperazione & Relazioni internazionali

Bacchetta: «un terzo mandato non è previsto»

Per lei «il calo delle adozioni è un trend mondiale» e «una nuova legge non serve». In autunno, dopo sei anni, scade il mandato di Daniela Bacchetta, vicepresidente della Cai. Ecco il suo bilancio.

di Sara De Carli

Dopo il cambio al vertice politico, con la nomina da parte del Governo Letta del presidente della Commissione adozioni internazionali, il prossimo autunno la Cai vedrà un avvicendamento anche sul fronte operativo, con la scadenza – dopo sei anni – del mandato di Daniela Bacchetta. Brianzola di origine, ha iniziato la sua carriera come giudice minorile fino ad essere nominata alla Cai dal ministro Rosi Bindi nel 2007: la vicepresidente Bacchetta fa oggi il punto della situazione. In edicola su VITA un approfondimento di 8 pagine sul tema.


Qual è il suo bilancio?
Sono stati anni molto intensi, abbiamo lavorato tanto, sono soddisfatta dell’attività svolta insieme. Certo questo è un periodo storico delicato per le adozioni internazionali, per tutti i Paesi, è una materia che merita molta attenzione.

In queste settimana si è ipotizzata anche una modifica al regolamento per consentirle un terzo mandato: accetterebbe?
È una domanda a cui non posso rispondere. Mi attengo alla normativa attuale, che prevede due mandati di tre anni. Ci saranno sicuramente nomine sagge, molti organi dello Stato hanno scadenze ravvicinate, non credo che questo debba essere un fattore di particolare preoccupazione.

Serve una maggior presenza politica della CAI, soprattutto nei rapporti con i Paesi esteri?
La maggior parte delle autorità centrali, anche negli altri Paesi, sono autorità tecniche. Poi le assicuro che le relazioni politiche e diplomatiche vengono condotte in maniera costante, ma senza la necessità di accendervi i riflettori. Negli Stati Uniti e in Francia le autorità centrali sono poste nell’ambito del Ministero degli Esteri, ma non mi sembra abbiano risultati migliori dei nostri.

Il 2012 ha visto un forte calo delle adozioni: il primo semestre 2013 come è andato?
C’è un ulteriore calo dei numeri delle adozioni internazionali, diffuso, con l’Italia con cali quasi certamente più contenuti rispetto agli altri Paesi. Non sono però ancora in grado ancora di quantificarlo.
Quali sono a suo giudizio le tre più urgenti criticità del sistema delle adozioni internazionali oggi?
Il sistema attuale, mondialmente considerato, sta talmente cambiando che faccio fatica a rimproverare al sistema italiano delle criticità che lo rallentano. Ci sono paesi d’accoglienza che hanno sistemi operativi molto diversi dal nostro, ma tutti registrano un calo delle adozioni internazionali: se questo è un problema, è un problema mondiale.

C’è una questione culturale, che porta ad allontanare le famiglie dall’adozione internazionale?
Io sono convinta che sia una sorta di autoregolamentazione frutto di una più diffusa consapevolezza. Certo registriamo anche un elemento di difficoltà economica, che fa guardare ai costi dell’adozione internazionale con maggior sconforto.

Il ministro Cancellieri di recente ha parlato di un iter che procura sofferenza alle coppie. Condivide?
Le storie sono tante, sicuramente ci sono anche storie di sofferenza, ma anche tante che non lo sono.

In questi ultimi mesi molti Paesi hanno chiuso e limitato le adozioni, mentre d’altra parte sono emerse ancora alcune irregolarità. Qual è la situazione?  
Bisogna stare attenti a non fare un nesso causa effetto tra limitazioni delle adozioni internazionali e irregolarità, non c’è questo. Ci sono paesi che chiudono in prospettiva positiva, altri che si trovano di fronte a criticità che non sono irregolarità. Dobbiamo imparare a guardare le adozioni internazionali non solo dal punto di vista italiano.

Haiti invece sta per aprire: con che numeri e cosa manca?
Haiti sta riaprendo, ma siamo ancora in attesa della nuova legge che disciplinerà le adozioni nazionali e internazionali. I numeri li valuteremo.

Come è possibile rendere più efficace il ruolo di vigilanza e controllo della Cai all’estero, soprattutto nei Paesi che non hanno firmato la Convenzione dell’Aja?    
Stiamo sempre più rafforzando la collaborazione con le ambasciate d’Italia e c’è anche una rete informativa tra autorità centrali molto forte. Io sono dell’idea che la cautela paga sempre: a questo si aggiunge la corresponsabilità di tutti i soggetti che operano nelle adozioni internazionali rispetto all’eticità e alla correttezza delle adozioni fatte. La Commissione conta molto sulla collaborazione con gli enti. Certo sarebbe bello poter avere mezzi maggiori, un organico più corposo…
A suo parere, quale deve essere per il futuro il modello di ente autorizzato? È possibile immaginare un ruolo degli EEAA all’interno della Cai?
Il modello di ente autorizzato è previsto dalla normativa. Pensare gli enti come componenti della Commissione invece non lo riterrei adeguato, visto il compito di vigilanza della Cai. Commissione ed enti sono due soggetti di un sistema che per funzionare deve essere armonico, e con trasmissioni costanti: più c’è condivisone di metodo e informazioni, meglio si funziona. Oggi con gli enti c’è buona comprensione, collaborazione e dialogo costante, benché ci siano momenti storici in cui questo è più possibile di altri.
Si parla tanto di riforma del sistema: serve nuova legge?
Tutto è migliorabile, anche se ci sono cambiamenti che non credo portano a miglioramenti consistenti. Ad esempio il decreto idoneità rilasciato da un tribunale: se venisse eliminato il trinunale non credo ci sarebbe una significativa riduzione dei tempi.
Il fronte “costi” per le famiglie è sempre preoccupante. Ci state lavorando?
Stiamo lavorando su alcune proposte degli enti, abbiamo messo a punto sistemi per fare una comparazione dei costi e verificare se si può trovare una misura a cui gli enti possano attenersi. Stiamo lavorando sia in Italia sia all’estero perché anche gli altri Paesi d’accoglienza sentono questo argomento, è in corso un lavoro di esperti nell’ambio del Permanent Bureau dell'Aja.


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