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Pezzotta: Basta lacrime, svegliamoci

Quasi 20mila morti dal 1988. Il presidente del Cir: "L'orrore di oggi a Lampedusa è il simbolo dell'ipocrisia, governo italiano e Ue possono cambiare le cose ma non lo fanno. Da problema geopolitico è oggi un dovere morale"

di Daniele Biella

Almeno 19.142 sono le persone dal 1988 al 2013 morte nelle acque del Mediterraneo, a ridosso della ‘fortezza Europa’. Queste le cifre (fonte Osservatorio Fortress Europe) di un dramma che non nasce oggi, ma che viene ancora più amplificato dalla tragedia di queste ore a pochi metri dalle coste di Lampedusa. “E molte altre moriranno, se continuiamo a stare a guardare, a lasciare prevalere l’indifferenza, ad anteporre l’idea del ‘prima pensiamo ai nostri problemi’ a quella del dovere di salvare vite umane in fuga: ci siamo dimenticati che poco più di mezzo secolo fa eravamo noi a implorare asilo? In futuro potrebbe succedere ancora”. È un fiume di rabbia e consapevolezza  (“l’impotenza personale, dopo tanti sforzi fatti per cambiare le cose, mi lacera”) Savino Pezzotta, già segretario nazionale della Cisl e parlamentare della scorsa legislatura, oggi presidente nazionale del Cir, Consiglio italiano per i rifugiati, che da decenni lavora in Italia e nei paesi di partenza dei profughi per garantire, per quanto possibile, i loro diritti secondo le leggi in vigore.

La prima domanda è quella che si stanno facendo in molti in queste ore: come è possibile che nessuno, in particolare il costosissimo sistema europeo di sorveglianza dei ‘confini’, Frontex, abbia intercettato l’imbarcazione potendo così evitare la tragedia?
Già, come è possibile? Non è, non deve essere possibile: oggi gli Stati dispongono di armi di precisione capaci di uccidere un singolo uomo a notevole distanza, di droni (aerei senza pilota invisibili ai radar, ndr), corrono a comprare i caccia F-35, ma non riescono a vedere quante persone partono dalle coste africane e da dove? L’Europa fortificata è sinonimo di ipocrisia, di indifferenza, anche perché gli operatori del settore, il Cir come molti altri enti, da anni stanno dando possibili e realistiche soluzioni alternative, ma non vengono ascoltati. L’emergenza che sembra scoppiata oggi con questa immane tragedia, in realtà, è già in atto da mesi: per questo oggi dico che non servono più parole di sconforto, come non servono ulteriori lacrime. Sono già scese in passato, e non sono servite a nulla.

Come non provare sgomento di fronte a più di trecento morti (contando anche le persone date per disperse) affiorati dal mare?
Non voglio essere frainteso: il dolore è legittimo, il grido di disperazione di Giusy Nicolini, sindaco dell’isola, è da comprendere e condividere. Ma se ora chi governa, a livello nazionale e di Unione europea, non cambia rotta e s’impegna senza cinismo per risolvere le cose, sarà sempre peggio: con la guerra in Siria in corso, il dramma eritreo che genera centinaia di perseguitati politici in fuga, i problemi della popolazione egiziana, gli invii dalla Libia che continuano, è impossibile immaginare, e lo dico per chi vorrebbe chiudere le frontiere come molti esponenti leghisti, che non arrivi più nessuno. Questi flussi vanno gestiti, in modo diverso da ora: se fino a non molto tempo fa era una questione geopolitica, oggi è un dovere morale, sia per i cristiani che per tutti gli altri, perché è già accaduto anche a noi di scappare dalla guerra e nulla vieta che possa accadere di nuovo.

 

 

 

 

 

 

 

Quali soluzioni?
Una su tutte: essere presenti nei paesi d’origine dei rifugiati, o comunque seguirli a distanza, per gestire il loro arrivo nella Ue in modo regolare, senza che debbano essere sottoposti allo strazio e al racket della traversata in barca e all'attesa estenuante prima della partenza, spesso in condizioni disumane soprattutto per le donne. Non è un'impresa impossibile, basta volerlo e soprattutto, ribadisco, rompere il muro d'indifferenza: come si fa a non sentirsi turbati di fronte a quello che accade? Mi viene spesso rinfacciato, come lo è stato anche nella mia precedente attività politica, che è meglio pensare prima ai 'nostri' problemi, all'uscita dalla crisi economica per esempio. Problema urgente, sia chiaro: ma chi antepone tali argomentazioni per non fare nulla sul tema dell'accoglienza spesso lo fa per pura demagogia, si fossilizza sulle proprie posizioni alla ricerca di consenso ma senza capire che il problema non si esaurirà da solo. E non è certo tramite il 'non facciamoli entrare' che si arriverà a una soluzione.

 


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