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Il voto per Renzi, analisi dell’Istituto Cattaneo

Fra le quattro regioni nelle quali lo scarto fra voto nei circoli e voto nelle primarie per Matteo Renzi è stato maggiore troviamo le regioni “rosse” dell’Umbria, Emilia-Romagna e Toscana. In queste regioni Renzi ha guadagnato quasi 30 punti percentuali

di Redazione

Il successo di Mattero Renzi nelle elezioni “primarie” di domenica 8 dicembre è stato da tutti riconosciuto come indiscusso. In questa analisi metteremo a confronto il voto per il segretario come è uscito dalle primarie e quello che era uscito circa tre settimane prima dai circoli, nei quali avevano votato solo gli iscritti al partito. La differenza fra i due voti è un indicatore della rappresentatività degli iscritti rispetto alla cerchia più larga degli elettori-simpatizzanti e ne analizzeremo le differenze territoriali.

Nel grafico che segue abbiamo riportato, regione per regione, la differenza fra la percentuale di voti presa da Renzi nella prima (iscritti) e nella seconda (elettori-simpatizzanti) elezione. Sappiamo che a livello nazionale Renzi ha preso fra gli iscritti il 45,3% dei voti, mentre fra gli elettori ha preso il 67,8%. Si tratta di una differenza di 22,5 punti percentuali. Ma questa media nazionale nasconde profonde differenze territoriali.

Il grafico ci mostra che – se accantoniamo il caso della Basilicata (dove Pittella nei circoli aveva preso il 40%, da cui un balzo in avanti sia di Renzi sia di Civati nelle primarie) e della Valle d’Aosta – fra le quattro regioni nelle quali lo scarto fra voto nei circoli e voto nelle primarie è stato maggiore troviamo le regioni “rosse” dell’Umbria, Emilia-Romagna e Toscana. In queste regioni Renzi ha guadagnato quasi 30 punti percentuali. Nelle regioni del Sud la differenza tra le percentuali ottenute da Renzi fra gli iscritti e fra gli elettori-simpatizzanti sono molto più contenute.

Il risultato è significativo. Le regioni “rosse” sono quelle in cui il partito è sempre stato particolarmente forte, ha goduto di un radicamento storico di tipo sociale e organizzativo unico nel paese. Pensiamo alla funzione svolta in queste regioni dal partito comunista negli anni ‘60 e ‘70 nei confronti dei ceti popolari, nei quartieri urbani di edilizia popolare, nelle città industriali; pensiamo agli immigrati che venivano dal sud e che trovavano nel partito – dalle tombole per i bambini al liscio domenicale – un potente fattore di integrazione sociale. A questo radicamento sociale si è unito il radicamento organizzativo, che ha portato ai successi elettorali degli anni 70.

Nel tempo tuttavia questo modello di apertura-integrazione si è trasformato in chiusura: le persone sono invecchiate, il partito non è stato capace di mostrare la stessa accoglienza e la stessa sintonia verso i nuovi ceti sociali. La struttura organizzativa si è come isolata dalla società e dai suoi mutamenti, diventando in qualche modo vittima del suo stesso successo (potremmo parlare di “paradosso del successo”),

Oggi lo scollamento fra iscritti ed elettori-simpatizzanti è massimo proprio in queste regioni, ed è significativamente espresso dallo scarto fra il voto nelle due arene elettorali, quella degli iscritti e quella degli elettori-simpatizzanti


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