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Charlot, il mito fa cent’anni

Il 7 febbraio 1914 per la prima volta appariva sugli schermi una maschera che ha fatto epoca, lasciando un segno indelebile nella storia del cinema e del costume

di Francesco Mattana

Cento anni fa esatti il vagabondo appariva sulle sale, e la storia del cinema non sarebbe stata più la stessa. Mancava qualcosa alla settima arte, prima che irrompesse sugli schermi il tramp più famoso di tutti i tempi: mancava il cuore. L’irruzione di questo personaggio nel panorama cinematografico ha portato con sé una ventata di poesia, di umanitarismo che mai scivolava nella retorica. Solo un genio poteva farcela e Charlie Chaplin, a detta di tutti, lo è stato. Qualcuno –con un filo di malizia, un pizzico di invidia- lo considerava anche un genio del marketing, per via del lungo intervallo di tempo tra un film e l’altro, al fine di creare l’evento.

Col senno di poi, queste osservazioni maligne sono state spazzate via dal tempo. Ciò che rimane, ora, è la bellezza ineguagliabile di capolavori come La febbre dell’oro (in questi giorni presente in 70 sale nella versione restaurata), Tempi moderni e Luci della ribalta. E stiamo parlando dei film della maturità, venuti su così bene perché frutto di una lunga esperienza, di una profonda riflessione sulle umane vicende della vita.

Ma quand’è che Chaplin è diventato bravo? Subito, è questa la cosa che colpisce. I primissimi tempi non si dirigeva da sé, ma la personalità era così prorompente che prestissimo avrebbe sentito il bisogno, l’urgenza di non avere interferenza alcuna nel suo lavoro. Insomma, stiamo parlando di un signore che, poco prima dello sbarco in America dalla natia Londra, guardava dritto davanti a sé e diceva: “Conquisterò questa terra”. Questo aneddoto lo raccontava Stan Laurel, suo compagno durante la traversata, e c’è da credergli. Ma attenzione: non siamo assolutamente di fronte a un caso di delirio di onnipotenza. Tutt’altro. Semplicemente aveva intuito, prima di chiunque altro, di avere delle carte notevoli da giocare, e presto se ne sarebbero accorti in tanti. Questo si chiama realismo, non eccesso di autostima.

Oltretutto la “conquista” dell’America da parte di Charlie Chaplin ha portato esclusivamente benefici. “Un giorno senza sorriso è un giorno sprecato”, usava dire. Consapevole –più di altri, perché aveva una sensibilità spiccata- che il mondo in cui viviamo è una valle di lacrime, si era posto come obiettivo primo di lenire i dolori della gente comune, regalando una bella risata con la sua maschera così originale, così indovinata.

Queste idee gli ronzavano per la mente già all’inizio della sua carriera. Poi le ha affinate col tempo, ma la consapevolezza del ruolo sociale dell’attore –che può parlare di argomenti seri filtrandoli col linguaggio dell’ironia- l’aveva afferrata fin dall’inizio. E quando uno ha la capacità di parlare col cuore non invecchia mai, i temi di cui parla rimangono sempre attuali. Il primo film in assoluto che lo vede protagonista, proiettato nelle sale il 2 febbraio 1914, in Italia lo abbiamo intitolato Charlot giornalista. Ma pure il titolo originale, Making a living, rendeva l’idea: Chaplin interpreta un aspirante cronista a caccia di scoop. E lo faceva “per guadagnarsi da vivere”, appunto. C’è qualcosa di più moderno, cento anni dopo?

Per non parlare poi del secondo cortometraggio, in cui per la prima volta si presenta col classico abbigliamento da Charlot: bombetta, baffetto trapezoidale, pantaloni e scarpe buffe, bastone da passeggio. Kid auto races at Venice è il film del centenario, che festeggiamo oggi: uscì nelle sale infatti il 7 febbraio 1914. Ma perché questa comica della durata di sette minuti, rivisto oggi, è di un’attualità incredibile? Perché parla dell’esibizionismo nella società dell’immagine. Un uomo (an ‘odd character’, recita la didascalia) si aggira tra gli spettatori di una gara automobilistica a Venice, quartiere di Los Angeles (gara che si disputava per davvero in quei giorni). Non è interessato, questo stravagante signore, alle corse: gli interessa, piuttosto, la cinepresa che sta riprendendo l’evento sportivo: si agita, si dimena pur di farsi notare dall’aggeggio meccanico. È un antenato, insomma, della sfilata di facce anonime che oggigiorno affollano i casting, per un risicato quarto d’ora di celebrità. Anche stavolta il titolo italiano del corto è azzeccato: Charlot si distingue. La voglia di distinguersi della gente comune non mancava allora, non manca oggi.

Non cambiamo mai, noi uomini: sono i “corsi e ricorsi della Storia”, come sottolineava il filosofo Vico. Chaplin di professione non faceva il filosofo, ma non a caso era ammirato da tantissimi pensatori: probabilmente si erano accorti che, per certi versi, il cineasta londinese aveva lo sguardo più lungo del loro.


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