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Don Diana, 20 anni in cui la memoria si è fatta esempio

Il 19 marzo 1994 alle 7.30 venne ucciso, nella chiesa di Casal di Principe, don Peppino Diana. Ma il suo ricordo è più vivo che mai, e il suo impegno è portato avanti da tanti in una terra che, come allora, vive le piaghe della criminalità e della povertà

di Nicola Nicoletti

Il 19 marzo di 20 anni fa doveva essere celebrata una messa che nessun prete disse nella chiesa di Casal di Principe. Alle 7.30 una mano omicida volle far tacere la voce di un uomo che nel giorno del suo onomastico, san Giuseppe, avrebbe richiamata alla coerenza e all’impegno in una terra dove la camorra c’è, e spesso si fa sentire. Nel paesone a pochi chilometri da Aversa, terra di mozzarelle, agricoltura, ma soprattutto di rifiuti, con un boom di articoli e indagini nell’ultimo periodo su cosa mangiare e sulla rovina degli agricoltori, qualcosa sembra essere cambiato. Venti anni non sono pochi e i ricordi non accennano a svanire. Nella cittadina e nella comunità che era di don Peppino Diana, tutto parla di lui.

Una ventata di dignità sembra arrivare assieme alla polvere delle strade che sa di copertoni bruciati, ma anche di gente per la prima volta in corteo in vita sua. Nell’Italia della manifestazioni, degli scioperi e delle proteste, questa espressione di coraggio non era arrivata mai. C’è voluta la voce di un altro prete, antieroe anche lui, don Maurizio Patriciello, e la presenza di associazioni che non di facciata ma con la loro faccia, dicono no al compromesso. «Tra le tante iniziative penso che riproporre l’esempio di don Diana, attraverso la fiction, ci restituisce, almeno sullo schermo, quella figura che ci ha accompagnato per anni». Valerio Taglione, rappresentante storico del comitato intitolato al prete, ha seguito le varie fasi della ripresa della produzione sulla vita di don Peppe, “Per amore del mio popolo”, come anche i familiari del sacerdote. C’è voglia di riscatto anche nel campo della celluloide qui, per un passato fatto di novelas che parlavano di potenti signore della camorra e dove l’acronimo NCO stava per un simbolo di morte (nuova camorra organizzata). Oggi invece vogliono sponsorizzare il Nuovo commercio organizzato. Pasta, sott’olio, passate, prodotti nei terreni sottratti alla camorra e diventati anche un marchio.

“Venti di Speranza, Venti di Cambiamento” è il titolo di una serie di gesti per dire che don Diana non è morto invano.  Da lì si ripartirà il 19 marzo, con la messa celebrata da mons. Angelo Spinillo, nella parrocchia di San Nicola alle 7.30, l'ora in cui fu ucciso. Si vuole testimoniare come questi venti anni abbiano portato frutto. «Un percorso già è stato compiuto, ma ben altro ci tocca da fare», spiega Spinillo, vescovo che arrivato da poco più di un paio d’anni ad Aversa, ha riportato attenzione alla storia di don Diana temendo che potesse pericolosamente cadere nell’oblio. «Le associazioni che si sono costituite rappresentano sicuramente un segnale incoraggiante, ma è alla società che adesso si deve arrivare per cambiare davvero uno stile di vita».

Sono nati tra vicoli e l’indifferenza di una terra molto difficile non pochi presidi di legalità, alcuni con un bilancio attivo da anni, pronti a partecipare all’iniziativa “Facciamo un pacco alla camorra”, un progetto in rete con 16 imprese, tra cui cooperative che hanno denunciato il racket. «Il pacco, nel gergo napoletano, corrisponde all’imbroglio, la fregatura che fai a qualcuno», chiarisce Mario Cappella. «Ecco, noi proviamo a farlo a chi ha violentato questo territorio con una confezione di prodotti delle terre confiscate ed i nostri alimenti: è un messaggio di legalità». E il fenomeno è appunto la presa di coscienza.

Da fare c’è tanto. Don Tonino Palmese, di Libera Campania, battagliero prete vicino alle vittime della criminalità organizzata, non nasconde la ferita aperta di Casal di Principe. La cultura del sospetto intrisa tra gli abitanti del centro campano accoppiata a una memoria che non vorrebbe enfatizzare la storia dell’omicidio del sacerdote, e mira invece a cancellarne il ricordo: «Una ragione antropologica vuole che questa gente non concepisca l’innocenza del prossimo». Anche per questo sono pronti tre testi con la biografia di don Peppe, pensati per bambini, adolescenti e adulti. La diocesi donerà a ogni scuola della Campania una copia.

Ma qui le emergenze non mancano. Sul tema più caldo, la morte della terra dopo le rivelazioni dei camorristi sui tanti rifiuti pericolosi sepolti, c’è disagio. Dopo il grande entusiasmo sembra arrivato il grande silenzio. Rimane l’esempio di questo cittadino amante del Vangelo e delle relazioni umane. Ma qualcosa, come diceva Taglione, si è anche mosso. Al processo ai killer di don Peppe, come parte civile si è costituta l’Agesci, poiché don Diana era Scout. Una testimonianza di coraggio sotto gli occhi di tutti.

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