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Cooperazione & Relazioni internazionali

A 20 anni dall’inferno Ruanda

Venti anni fa si è consumato in Ruanda il più atroce genocidio che la storia dell’Africa ricordi ed è stata scritta una delle pagine più tristi della storia del Continente nero

di Marco Marcocci

La sera del 6 aprile 1994, alle 20:20 (ora locale), il trimotore Falcon Dassault 50 di proprietà del governo ruandese, con a bordo il presidente del Ruanda Juvenal Habyarimana e quello del Burundi Cyprien Ntaryamira, viene abbattuto da due missili terra area mentre si accingeva ad atterrare all’aeroporto di Kigali. Tutti coloro che erano a bordo del piccolo velivolo, in totale dodici persone, rimangono uccisi.

Il presidente Habyarimana, un Hutu moderato salito al potere nel 1973 grazie ad un colpo di stato quando era ministro della difesa, ed il presidente Ntaryamira, anch’egli Hutu moderato, erano di ritorno da Arusha (Tanzania) dove avevano partecipato ad un’importante riunione per mettere fine ai conflitti ed alle tensioni che da decenni intercorrevano con i Tutsi, l’altra etnia presente nel Paese. Questi ultimi trovavano espressione nel Fronte patriottico ruandese (Rpf).

Immediatamente vennero accusati dell’attentato gli estremisti Hutu, contrari alla pace con i Tutsi, e gli attivisti dell’Rpf. Nel giro di poche ore, a Kigali, la tensione tra Hutu moderati, Hutu estremisti e Tutsi esplose e si dette avvio ad un’ondata di violenza inaudita. Le atrocità videro come protagonisti i miliziani della “Interahamwe”, il famigerato corpo paramilitare creato dallo stesso presidente Habyarimana, che, guidati dal colonnello Theoneste Bagasora, massacravano a colpi di machete, prelevandoli casa per casa gli oppositori.

Nel giorni successivi l’ondata di violenza si espanse in tutto il Paese e non risparmiò nemmeno un gruppo di soldati belgi membri del contingente di pace Onu che vennero torturati a morte.
La caccia ai Tutsi ed ai disertori Hutu continuò per circa cento giorni e le vittime, secondo autorevoli fonti, furono circa un milione, la maggior parte delle quali fatte a pezzi a colpi di machete. Circa due milioni e mezzo furono i profughi diretti in Tanzania e in Zaire. In pochi mesi la popolazione del Ruanda, che ad inizio aprile 1994 contava sette milioni di abitanti, venne dimezzata.

Ancora oggi, a vent’anni di distanza, molti sono gli interrogativi su quanto accaduto nel piccolo Paese dell’Africa centrale, soprattutto sul perché le Nazioni Unite non intervennero con decisione per fermare il genocidio. Anche se nel 2008 il Tribunale dell’Aja condannò all’ergastolo estremisti Hutu riconoscendoli responsabili dell’attentato presidenziale, molti osservatori ritengono che ancora resta molto da chiarire.

Per non dimenticare quello che accadde il prossimo mese di maggio sarà inaugurata una mostra fotografica dal titolo “Ruanda 20 anni dopo: Ritratti del cambiamento” (info: claudiadalberto@yaho.it)


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