Famiglia & Minori

40 suicidi fra gli “orfani bianchi”

Il welfare di cura è principalmente femminile; le mamme che curano i nostri figli e genitori però lasciano in patria i loro bambini, spesso senza cura. Si chiama "care drain" e nella sola Romania già 40 ragazzini si sono suicididati, vittime della "sindrome Italia". Una riflessione

di Redazione

Orfani bianchi, vittime del care drain, rimasti soli in patria con le mamme all’estero a prendersi cura dei figli (o dei nonni) di qualcuno altro. Tra loro, nella sola Romania, una quarantina si è suicidato, proprio a causa della lontananza dalla madre. I dati ufficiali parlano di 30 casi dal 2008 a oggi, ma secondo le associazioni sono molti di più. L'allarme è stato lanciato ieri dal deputato Pd Khalid Chaouki, durante un convegno organizzato in collaborazione con l'Associazione delle donne romene in Italia (Adri) e la ong Soleterre. Sono circa 750 mila bambini in Romania che hanno almeno un genitore che lavora all'estero e moltissimi di essi sono piccolissimi, fra i 2 e i 6 anni.

Riproponiamo qui una riflessione della riceratrice Flavia Piperno, che già nel 2008 su Communitas aveva portato a galla il problema. Il testo completo dell’articolo “Il welfare vittima del care drain” è su Communitas n. 22, marzo 2008.


Il problema del care drain
Sia in Romania che in Ucraina si assiste a un processo di crescente femminilizzazione delle migrazioni. I dati mostrano che si tratta di un fenomeno recente: in Romania secondo stime effettuate (Center for Urban and Rural studies) – uno dei più importanti centri di ricerca che opera attraverso vaste indagini quantitative svolte a livello locale – su un campione di 1.199 nuclei familiari dal CURS, la migrazione delle donne è raddoppiata in appena tre anni – tra il 2001 e il 2004 – passando dal 16,7% al 31% del totale. In Ucraina – dove secondo dati del Ministero della Famiglia la percentuale di migrazione femminile è simile a quella rumena – l’aumento del flusso migratorio in alcune importanti regioni di emigrazione (come Ternopoli) e l’emergere di nuovi paesi di destinazione (tra cui proprio l’Italia) sono fenomeni interamente dovuti alla partenza delle donne. Questo nuovo flusso migratorio ha naturalmente un nuovo impatto sui paesi di origine. Da una parte, poiché l’emigrazione delle donne è fortemente orientata al benessere della famiglia e soprattutto dei figli (piuttosto che all’investimento o al successo personale), produce ricadute indubbiamente positive sulla famiglia che resta nel paese di origine sia in termini di aumento della qualità della vita, che di opportunità socio-economiche. Una ragazza diciassettenne intervistata in Romania si mostra pienamente consapevole di questo processo: La mamma è partita principalmente per me: per alzarmi! per farmi alzare! per aiutarmi a fare una casa e un bel lavoro e poi vedremo!).

Una sottrazione di cura
D’altra parte, poiché le donne rappresentano nei paesi di origine le principali care giver all’interno della famiglia, la loro partenza necessariamente comporta una sottrazione di cura, di cui risentono soprattutto i membri della famiglia più deboli: principalmente figli minorenni e genitori anziani.
Al problema del drenaggio di competenze e cervelli (brain e skill drain) che come ampiamente rilevato in letteratura spesso si associa ai processi migratori, si unisce un nuovo tipo di drenaggio: quello della cura. Proprio per indicare questo nuovo fenomeno utilizziamo il termine care drain. Il problema del care drain, scarsamente dibattuto in occidente, non è invece nuovo nei paesi di origine: in Romania mass media e ONG, proprio in riferimento a minori con genitori all’estero, cominciano a parlare di “abbandono di fatto”, mentre in Ucraina è divenuto ormai di uso comune il termine “orfano sociale”.

I bambini di internet
La nostra e altre ricerche mostrano come solo in una minoranza di casi il drenaggio di cura si trasforma in vuoto di cura, e dunque in abbandono, contrariamente a quanto spesso sostengono media e ONG locali, poché i membri della famiglia transnazionale mettono in atto una serie di strategie compensative che limitano l’impatto del care drain.  Le madri, in primo luogo, continuano a svolgere un ruolo di accudimento nei confronti della famiglia di origine e una funzione di cura emotiva e guida da lontano. Viaggi frequenti, contatti telefonici quasi quotidiani e un flusso di rimesse fortemente orientato proprio alla cura (destinato cioè ad affidatari che si prendono cura di figli e genitori anziani, allo studio e alle ripetizioni dei figli, alle spese sanitarie e ai risparmi per la pensione, etc.) sono i principali strumenti di una continuità relazionale che si esplica al di là dei confini. Alcuni ragazzi, intervistati nella terra d’origine, parlano di un’intimità che addirittura si rinnova nella distanza: «Il nostro rapporto è migliorato da quando lei e là. Io mi ricordo poco di mia mamma da quando ero piccola, il babbo era la figura forte, non gli disubbidivamo mai. (A mia mamma) non le raccontavo molto prima che lei partisse, ma quando è partita ci siamo molto avvicinate. Continuo a parlare con la mia mamma quando ho un problema, lei sa tutto di me. Quando stavo con un ragazzo, il babbo non sapeva niente. Lei invece è tornata in ferie e ha capito subito. Ha capito dal mio comportamento. E’ molto ricettiva a tutto, capisce subito. Tutti si confessano con lei, quando ci parlano al telefono».
In loco, la cura si riorganizza attraverso l’espansione del ruolo della famiglia allargata, (principalmente grazie al coinvolgimento di nonne materne, zie e sorelle) oppure, fatto nuovo in questi paesi, attraverso l’acquisizione di prestazioni di cura sul mercato privato.

La solitudine dei figli
Se è vero, dunque, che grazie alle strategie compensative adottate dalla famiglia transnazionale il drenaggio non si trasforma in vuoto di cura, è anche vero tuttavia che una carenza di cura di fondo (ovvero ciò che potremmo definire care shortage) generalmente permane. I minori, pur ricevendo rimesse e telefonate quotidiane dai genitori, restano di fatto senza alcun parente nella terra di origine (nel nostro campione abbiamo riscontrato tale situazione almeno in una decina di casi su 53); ma anche quando la rete familiare si attiva, essa appare comunque “sotto sforzo” e non sempre è in grado di fornire soluzioni adeguate. Parenti e tutori possono avere difficoltà ad esercitare una cura e una sorveglianza efficace; il gap generazionale tra nonni e nipoti può risultare eccessivo, mettendo in difficoltà tanto i primi che i secondi (soprattutto nei casi in cui per essere posti sotto la tutela dei nonni i minori devono spostarsi dalla città alla campagna, la differenza di mentalità può rivelarsi insormontabile). A volte inoltre le soluzioni trovate si rivelano “precarie” (parenti o tutori non possono cioè tenere a lungo il minore con sé) e molti ragazzi si vedono dunque costretti a cambiare sistemazione e alloggio ripetutamente. Si assiste in queste circostanze a una sorta di migrazione interna originata dalla migrazione internazionale e dal bisogno di cura. Quasi sempre, quando chiediamo ai ragazzi chi li sostiene e li guida nei momenti di difficoltà, essi non sono in grado di individuare alcun referente adulto, a parte le madri che sono all’estero.

La storia di Robert
La storia di Robert mette in luce molti degli aspetti ora descritti: «Tu sei rimasto con i nonni? No, sono rimasto con un vicino di appartamento…loro mi facevano da mangiare e le pulizie, ma dormivo da solo…a 12 anni…e ora se voglio dormire con qualcuno non ci riesco….davvero! Se io non mi sento da solo nel letto non mi va bene…. Come era vivere da solo a 12 anni? C’erano cose buone e cose male: facevo quello che volevo, mangiavo quello che volevo…ma anche cose non buone. Se volevo parlare con qualcuno non sapevo con chi, se volevo che mi aiutasse qualcuno con i compiti non ce l’avevo….Chi pagava le bollette? Il mio vicino, perché i miei mandavano i soldi e pagavano sia le bollette che la mia sussistenza…. Io mangiavo a casa loro…e se volevano andare al mare o in campagna venivano e mi lasciavano da mangiare in frigo…Non ti portavano in vacanza con loro? E no, perché è un’altra cosa…i genitori non possono essere sostituiti mai. Mai. Perché non sei rimasto coi nonni? I miei nonni vivono in campagna, qui in Romania si vive molto meglio in città. Da noi in campagna si lavora, la mentalità è diversa, loro erano duri, non capivano i miei problemi, i miei sentimenti, loro solo: “lavorare, lavorare e basta” E la tua esperienza in Italia come è stata? Io in tutto in Italia sono stato un anno pieno. Non sono stato a scuola…ho perso un anno…. Quando stavo in Italia il giorno giocavo con mio fratello, mentre i miei lavoravano rimanevamo da soli… ho voluto tornare in Romania perchè qui sono nato».

La solitudine delle mamme
Spesso le madri migranti faticano a gestire la separazione e la relazione a distanza. Alcune donne evidenziano, in particolare, la difficoltà a mantenere il controllo sui figli, altre – in soprattutto se con figli piccoli – faticano addirittura a sentirsi riconosciute come madri; altre ancora dichiarano che a causa della distanza la relazione con i figli cambia in modo radicale – a volte permanente – e questo, tra l’altro, contribuisce a rendere particolarmente traumatici gli incontri in occasione di visite o del ricongiungimento e a ristabilire una relazione di riconoscimento reciproco. Tanţa, che lavora in Italia e in Romania ha un bambino di 11 anni, afferma: «Non passa un giorno senza che pensi cosa starà mangiando? […]Credo che questa distanza cambia la relazione per sempre, io sto pensando che quando lo porto qui non voglio separarmi un’altra volta da lui. Per loro è tutta un’altra cosa. Loro dopo questo periodo un po’ si allontanano, non hanno più la stessa confidenza come prima, diventi un po’ più straniera. Ti manca proprio questo periodo dello sviluppo, quando loro hanno più bisogno di te, tu non ci sei. Questo non si recupera mai. Loro prendono completamente altre abitudini e ti ritrovi di fronte a loro che proprio non li riconosci. Tu sai che a lui piaceva questa cosa e ti ritrovi di fronte a lui che ti dice “che schifezza”!».
La difficile gestione della relazione a distanza e di un rapporto che necessariamente nella lontananza si trasforma, aumenta il malessere sociale delle lavoratrici immigrate, ne limita la capacità di offrire cura e sostegno da lontano, rende più instabili le relazioni familiari e più difficile l’inserimento dei ragazzi che intendono ricongiungersi.

Crisi a scuola e devianza
Nel paese di origine la carenza di cura (intesa come accudimento e comunicazione), e dunque l’appartenenza a un contesto familiare meno protetto, acuisce momenti di difficoltà propri di ogni storia, accresce problematiche latenti in soggetti più fragili, esaspera problematiche intrinseche a determinati contesti sociali in cui, ad esempio, sono più diffusi comportamenti di bullismo o devianza minorile. Significativa a questo proposito la denuncia dell’Ispettorato Regionale di Polizia di Iaşi, che sulla base di documenti interni relativi all’anno 2005, nota come nella regione quasi la metà dei reati, truffe e scassi di macchine in specie, siano stati compiuti da minorenni tra i 14 e i 16 anni e come tra questi minori siano in ascesa quelli con genitori all’estero.
Anche diverse strutture scolastiche, dove l’impatto di quello che abbiamo definito “care drain” è particolarmente forte, si trovano di fatto sotto pressione. In Romania i problemi maggiormente citati da professori e psicologi della scuola sono assenteismo, abbandono scolastico e demotivazione allo studio, indotta anche dalla forte propensione a migrare da parte dei minori (si starebbe diffondendo tra i giovani l’opinione secondo cui chi trova opportunità di guadagno all’estero ha più successo di chi studia); a ciò si aggiunge la difficoltà a reinserire gli studenti a scuola dopo periodi passati all’estero e il venir meno dei colloqui con i genitori, che rende più debole l’azione del corpo docente. Una professoressa intervistata a Salaj, in Romania, afferma: «La situazione cambia velocemente, da una settimana all’altra. Dei bambini che restano alcuni hanno problemi, altri no. Alcuni sono contenti: hanno dolci e vestiti e i genitori quando tornano gli portano i cellulari. Alcuni però smettono di studiare, cominciano ad utilizzare molto internet… sono i “bambini di internet».
Diversi professori intervistati in Romania e Ucraina inoltre notano come problemi comportamentali, quali ad esempio conflittualità o indisciplina, rendono ulteriormente complessa la gestione delle classi, ma alcuni parlano anche semplicemente della difficoltà a sostenere studenti che hanno un vissuto emotivo difficile e tendono a chiudersi in se stessi. Anche per questo molti professori parlano del bisogno di maggiore formazione per loro stessi, e della necessità di un maggiore coinvolgimento degli psicologi della scuola.  A questo proposito ci colpisce la dichiarazione di una professoressa intervistata a Focşani, la quale dichiara: «Tutto questo cambia loro, i bambini, ma cambia anche noi, perchè arriviamo ad essere in contatto con problemi sempre più difficili da risolvere, da un anno all’altro le situazioni si complicano sempre di più».
 


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