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Welfare & Lavoro

Lavoratrici e maternità, secondo l’Ilo ancora troppe discriminazioni

L'ultimo rapporto dell'Ilo su "Maternità e paternità nel lavoro: legislazioni e prassi nel mondo" parla di progressi, ma anche delle persistenti lacune. Secondo l'Ilo 830 milioni di donne non hanno ancora protezioni adeguate.

di Antonietta Nembri

La maternità resta un elemento di forte discriminazione nel mondo. Almeno a guardare l’ultimo Rapporto dell’Ilo (Organizzazione internazionale del lavoro) secondo il quale sono almeno 830 milioni le lavoratrici che ancorano non hanno un’adeguata protezione in termini di congedo e sicurezza del reddito al momento del parto. Il rapporto, sottolinea come nonostante i progressi registrati in materia di prestazioni di maternità e una tendenza che va a incoraggiare il congedo di paternità (previsto in 78 Paesi su 167, ma retribuito solo in 70), la maggior parte delle donne nel mondo continua ad essere esclusa da qualsiasi tipo di protezione nel lavoro

L’80% di queste donne si trova in Africa e in Asia, dove alcuni gruppi di lavoratori sono completamente esclusi da qualsiasi dorma di protezione sia normativa sia pratica. Come per esempio i lavoratori in proprio, i migranti, i domestici e i lavoratori occasionali o temporanei, il settore agricolo e quanti appartengono a minoranze indigene e tribali. Stiamo parlando di aree geografiche in cui predomina il lavoro informale e i tassi di mortalità materna e infantile sono ancora elevati.
«Per raggiungere la parità di genere è necessario proteggere la maternità. E se non esiste parità all’interno della propria casa, sarà una battaglia ardua conquistarla nel lavoro» ha dichiarato Shauna Olney, direttore dell’Ufficio Ilo per la parità di genere, uguaglianza e diversità.

Nel suo rapporto “Maternity and Paternity at Work: Law and practice across the world” (Maternità e paternità nel lavoro: legislazioni e prassi nel mondo – in allegato in inglese) l’Ilo afferma che su 185 paesi e territori, 66 hanno assunto impegni in base ad almeno una delle tre convenzioni in materia di protezione della maternità (adottate nel 1919, 1952 e 2000).
Il 53% dei Paesi (98) risponde agli standard stabiliti dall’Ilo che prevedono un congedo maternità di almeno 14 settimane, inoltre, migliora la percentuale dei paesi che prevedono prestazioni in denaro per 14 settimane pari ad almeno i due terzi del reddito che giunge al 45% (74 paesi) con un aumento del 3% rispetto all’ultimo studio Ilo del 2010.

Per quanto riguarda la salute e la sicurezza sono 111 i Paesi su 160 che prevedono norme specifiche sui lavori considerati pericolosi e insalubri per le donne in gravidanza o che allattano e 78 prevedono il divieto assoluto di svolgere questo tipo di lavori.
La crisi ha prodotto due effetti contradditori sulle misure di sostegno alla maternità. In alcuni paesi ha prodotto un inaspettato sostegno alle famiglie. Secondo il rapporto la crisi, iniziata nel 2008, ha portato drastici tagli della spesa pubblica ma anche un cambiamento positivo nelle politiche in materia di conciliazione e lavoro-famiglia. In numerosi Paesi quali Germania, Australia, Francia, Norvegia, Polonia e Slovacchia è stato rafforzato il sostegno alle famiglie durante la crisi migliorando l’accesso ai servizi per la prima infanzia.
Nel corso del 2011, sottolinea il rapporto, la Cina ha esteso il congedo di maternità da 90 a 98 giorni, mentre il Cile ha  prolungato la durata del congedo maternità dopo la nascita da 18 a 30 settimane. Secondo Laura Addati, coautrice del rapporto e specialista Ilo della protezione della maternità e della conciliazione lavoro-famiglia «tutto ciò ha avuto l’effetto di una misura anticiclica prevenendo un deterioramento delle condizioni di vita di queste donne e delle loro famiglie».

Il Rapporto ricorda come discriminazioni della maternità persistano in tutto il mondo e la crisi ha esacerbato queste situazioni. L’Italia, insieme a Croazia e Portogallo, è citata per la pratica, illegale, delle “dimissioni in bianco”, le lettere di dimissioni non datate che le lavoratrici sono costrette a firmare al momento dell’assunzione, inoltre nel rapporto si sottolinea che nel nostro Paese due milioni di donne hanno perso il lavoro dopo la maternità e sono ben 800mila secondo il rapporto Ilo quelle che sono state costrette alle dimissioni perché incinte. Ma ci sono anche Paesi come il Kenya in cui le donne si impegnano a non rimanere incinte per avere un lavoro, mentre in Honduras alcune domestiche sono sottoposte a test di maternità per ottenere o mantenere il lavoro.
 


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