Politica & Istituzioni

Passera: «Bene Renzi, ma deve osare di più»

L'animatore di Italia Unica interviene nel dibattito: «Sono convinto che bisogna osare di più. A questo punto si possono intraprendere strade nuove nel governo di molti beni di comunità, nelle ipotesi di ristrutturazioni aziendali, nella creazione di start-up innovative, nella riqualificazione di molte municipalizzate»

di Riccardo Bonacina

L'intervista a Corrado Passera è contenuta all'interno di un approfondito speciale che il numero del magazine in edicola dedica alla riforma del Terzo settore

 

«I tanti voti ottenuti dal Pd, anche alle amministrative, andranno onorati con riforme vere  – e su questo incalzeremo Renzi con determinazione – senza dimenticare che la crisi continua a mordere famiglie e imprese senza allentare la presa».  Inizia così il comunicato di commento ai risultati elettorali di Italia Unica, il movimento lanciato da Corrado Passera lo scorso febbraio e che si riconvocherà il prossimo 14 giugno. E lo farà anche sui temi del Terzo settore.

Tra gli impegni di Italia Unica, a fine febbraio scorso, avevi indicato un capitolo sulla Riforma del Terzo settore indicando questo concetto chiave “attraverso il Terzo settore si può destatalizzare senza necessariamente privatizzare, destatalizzare socializzando”. Al di là dei termini a me pare che l’ottica tra quanto hai indicato e i principi ispiratori delle Linee guida proposte dal Governo Renzi siano davvero simili, e se è così a me sembra una bella notizia. O sbaglio?
È certamente una bella notizia. E questo mi auguro avvenga in molti altri settori. Se questo tempo ci chiama alla trasformazione è evidente che vanno trasformati anche i contenuti che hanno occupato sino ad oggi l’agenda politica e se si individuano obiettivi comuni che non sono né di destra né di sinistra è cosa buona. Non si tratta solo di avere soggetti politici e attori diversi, ma agende del cambiamento diverse dal passato, che sappiano far leva su energie vive della nostra società. La gente non ne può più dei soliti discorsi e delle vuote retoriche. Vuole essere accompagnata in questo tempo che presenta grandi difficoltà, ma altresì ci offre grandi possibilità. Vuole essere riconosciuta per ciò che di buono fa, vuole contribuire al cambiamento. La questione dell’uscita dall’unica soffocante alternativa tra pubblico (statale) e privato (speculativo) ne è un esempio. Tra l’altro si tratta semplicemente di riportare alla luce e di valorizzare una tradizione feconda in Italia. C’è un grande spazio di sperimentazione e di nuove istituzioni economiche. Destatalizzare socializzando: naturalmente a patto di riuscire anche ad efficientare e rafforzare le organizzazioni del Terzo Settore per essere in grado di affrontare le nuove sfide.



Nel dettaglio. Anche sulla madre di tutte le Riforme riguardo al Terzo settore c’è un parallelismo. Tu scrivevi “Riconoscere piena dignità giuridica al Terzo settore. Perciò l’idea di ripartire dalla Riforma del Libro I Titolo secondo per dare un pavimento civilistico alla società di mezzo mi sembra condivisibile… Così come la stabilizzazione senza tetti del 5 per mille. Sono tanti i punti in comune
I cambiamenti da mettere in atto sono così profondi che richiedono in molti casi un comune orizzonte al di là della dialettica politica. Il sistema polarizzato poi può essere utile per garantire pluralità di metodi e di soluzione, a competere per il bene comune, insomma. Il Libro I va riformato per dare dignità piena alla dimensione non profit, come la crescita impetuosa del Terzo Settore italiano ormai impone. Nello specifico si tratta di riconoscere l’evidenza dei fatti. Esistono da tempo realtà associative, cooperative, imprenditoriali, che sono parte integrante, significativa della società, della nostra idea di convivenza civile e di crescita economica. Solo la stupidità, la miopia della politica autoreferenziale e le diverse rendite di posizione non hanno fatto emergere sufficientemente in questi anni questi mondi. A volte sono stati miseramente usati, a volte – si pensi alla stagione delle gare d’appalto al massimo ribasso per le coop sociali – letteralmente distorti. Mi piacerebbe che l'iniziativa pubblica sapesse premiar questi valori ogni volta che progetta un servizio o assegna un appalto, credo che si tratterà di un vantaggio per tutti e non di un favoritismo per qualcuno.
Quanto al 5 per mille, l'attuale meccanismo del tetto alla distribuzione è odioso, un vero e proprio scippo di fondi al sociale. Tanto viene donato dai cittadini, in sede di dichiarazione dei redditi, e tanto deve arrivare a ciascuno per quanto gli spetta.  

Anche il Servizio civile universale era contenuto nei tuoi punti programmatici, con una parentesi però (chiare regole per evitare abusi). Cioè?  
La questione del servizio civile va inquadrata in un’ottica di rapporto tra le generazioni, di come immaginiamo di accompagnare l’entrata dei giovani nella società. In fondo rientra in una riflessione educativa di più ampio respiro che per questioni ideologiche si è sempre rinviata in questo Paese. Fare bene questo frammento significa fare una cosa buona in sé, ma agitare anche un simbolo, dare il "la" ad una nuova stagione di impegno educativo con e per le persone. E qui sarà determinante la questione dell’alleanza del mondo degli adulti. Per rendere disponibile questa esperienza di relazione e dono, di incontro con l'altro, per i giovani. E’ per questo che responsabilmente bisogna sforzarsi di costruire un dispositivo che veda non solo lo Stato responsabile in toto, ma una compartecipazione di responsabilità tra soggetti diversi. Qui il terzo settore può finalmente giocare un grande ruolo formalmente riconosciuto e diffuso. Ma cercherei di coinvolgere anche le famiglie e le imprese. Un vero patto, insomma, che riguarda il nostro futuro.

Impresa sociale, un altro asse delle linee guida per la Riforma, quello di essere un po’ troppo prudenti rimanendo nella logica dei settori di intervento Onlus per definire cosa è impresa sociale e non per il fine, gli obiettivi e gli impatti che l’impresa sociale genera. Cosa ne pensi?
L’impresa sociale, nella forma di impresa sociale, è stata una delle scoperte più interessanti, sia umanamente sia professionalmente, che ho fatto già ormai da molti anni (risaliamo agli inizi degli anni 2000). Una scoperta che è poi diventata un cammino, una riflessione comune, una strada condivisa. Che ha prodotto azioni ed opere concrete. Vittorie e sconfitte. Che non ho fatto solo come responsabile di una grande istituzione finanziaria, ma che ha coinvolto l’istituzione stessa, sino a generare al suo interno Banca Prossima. Insomma, che ha cambiato un po’ anche l’istituzione che dirigevo.
Sono convinto che bisogna osare di più. A questo punto, anche grazie al percorso fatto con buon senso e coraggio si possono intraprendere strade nuove nel governo di molti beni di comunità, nelle ipotesi di ristrutturazioni aziendali, nella creazione di start-up innovative, nella riqualificazione di molte municipalizzate. Certamente non si tratta di restringere i campi di operatività, si tratta invece di tenere ferme le finalità di interesse generale. Sapendo che qualsiasi sistema sano ha bisogno di pluralità di forme se vuole produrre crescita.
Sarà necessario anche controllare ma senza burocratizzare. L'Authority di questo settore avrà un ruolo fondamentale.  Ma le persone vanno incoraggiate a intraprendere vie nuove, ad osare.
E poi questa non è solo una questione italiana, è una grande questione europea, c’è in ballo l'identità del continente, il suo modello di convivenza e di crescita, il ruolo che giocherà nel mondo. In questo senso la questione dell’impresa sociale non è una esclusività del terzo settore, ma una questione che interpella tutti gli attori sociali ed economici. Certo, il terzo settore ne ha custodito il seme, deve avere il coraggio di farlo crescere in molti terreni. Così potrà dare molto frutto. Non mi aspetto un percorso semplice, senza errori. Ma sono convinto che sia uno strumento determinante per il futuro in molti campi.

Cosa, sinceramente, non ti convince del disegno del Governo, quali fragilità?
In primo luogo la scelta nell'uso degli strumenti legislativi. Passare per il disegno di legge delega in politica, purtroppo, spesso si traduce in un percorso parlamentare troppo lungo.
Non mi convince, poi, il fatto che l'esecutivo abbia presentato linee guida senza riferimenti alle coperture economiche: servono anche quelle. Serve innovazione anche da questo punto di vista. Ruolo importantissimo per finanziare lo sviluppo del Terzo Settore potrà essere svolto la finanza di impatto (social impact bond): stiamo parlando potenzialmente di miliardi.
Ho già accennato poi a due "timidezze" delle Linee Guida in termini di patrimonializzazione delle imprese sociali e in termini di settori di operatività. E se avessimo il coraggio di liberalizzare l'accesso a qualunque ambito di attività? Perché l'ambiente e l'istruzione sì e i beni comuni e la finanza no?
Ma l'area del maggior coraggio riguarda il primo punto del quale abbiamo parlato: destatalizzare, grazie al Terzo settore, vuole dire depoliticizzare. Togliere potere ai partiti, che oggi occupano pervasivamente il settore dei servizi pubblici. Questo richiede un coraggio e una libertà, che io non vedo negli apparati – storicamente molto statalisti – che prevalgono in quasi tutti i partiti. Italia Unica questo coraggio lo vuole mettere in campo. E vorremmo scommettere perfino di più sul cuore degli italiani: immaginiamo nuove forme di welfare di comunità, di azienda, di vicinato, di condominio, pensiamo alla possibilità di detrarre anche donazioni fatte da cittadini ad altre singole persone in stato di comprovata povertà.  Pensare alla socialità anche come a un riconnettersi a partire dagli individui e dalla loro autonomia, e non solo dalle organizzazioni plurali che pure sono essenziali. Italia Unica si impegnerà molto perché il Terzo Settore abbia gli strumenti istituzionali, normativi e finanziari per svolgere un ruolo molto maggiore dell'attuale di promozione umana e sociale.


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