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Cooperazione & Relazioni internazionali

Ramonda (Apg23): «Serve un corpo civile di pace»

La Comunità Papa Giovanni XXIII è presente in Israele/Palestina da 12 anni con Operazione Colomba. Giovanni Ramonda chiede al governo italiano di impegnarsi per «promuovere l’intervento di un corpo civile di pace internazionale nonviolento nei Territori Palestinesi»

di Redazione

Di fronte all’escalation di violenza nei Territori Occupati Palestinesi e in Israele che ha come conseguenza delle morti inaccettabili e che dimostra la sconfitta della politica appiattita su posizioni militari, Giovanni Ramonda, responsabile generale della Comunità Papa Giovanni XXIII non può tacere e ricorda con forza che «la pace è possibile».

«Come Comunità siamo presenti in Israele/Palestina da 12 anni, con Operazione Colomba, il corpo civile di pace che sostiene e dà voce alla resistenza nonviolenta dei Palestinesi e a percorsi di dialogo e riconciliazione tra Israeliani e Palestinesi» ricorda Ramonda. E proprio grazie a questa esperienza il responsabile della Comunità Papa Giovanni XXIII afferma che «in nessuna situazione si può ragionare con la categoria della vendetta. Quella della violenza e delle armi è una strada già battuta, inutile e deleteria: mai attraverso queste sarà possibile costruire la pace».


Per Palestina e Israele serve un copro civile di pace. E per questo Ramonda chiede al Governo italiano «in forza del suo attuale ruolo internazionale, di impegnarsi seriamente per promuovere l’intervento di un corpo civile di pace internazionale nonviolento nei Territori Palestinesi». Del resto osserva: «Oggi in Palestina e Israele i semi della pace ci sono, ma non ci sono invece le condizioni per nutrirli. È qui che va operato il cambiamento, attingendo a quelle esperienze di nonviolenza attiva che già hanno dimostrato la loro efficacia in vari conflitti».

«La situazione qui è preoccupante», racconta uno dei volontari di Operazione Colomba che vivono in Cisgiordania. «Nonostante qui non siano successi fatti gravi negli ultimi 3 giorni, la popolazione locale è molto in apprensione e spaventata. Si aspetta che militari e coloni israeliani possano dare inizio a una fase di violenza massiccia nell'area. Molti pastori che ogni giorno scortiamo in maniera non armata nelle attività quotidiane stanno in casa e non si avvicinano alle zone di lavoro adiacenti alle colonie e agli avamposti israeliani per paura di attacchi che possano attentare alla loro incolumità»
I volontari operano a fianco del Comitato di resistenza popolare nonviolenta delle colline a sud di Hebron. Un membro del Comitato popolare delle South Hebron Hills spiega: «Non è facile ma i Palestinesi dell'area hanno la forza e la volontà per continuare a vivere qui. Ogni sera ci incontriamo nei diversi villaggi, informiamo la gente di quello che sta accadendo e insieme parliamo di cosa possiamo fare».
 


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