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Demenza digitale: in Corea del Sud è allarme dipendenza da gioco

Mentre tra i ragazzi crescono i casi di dipendenza dai media digitali, tra i genitori aumentano le addiction da videogioco. In Corea ricercatori e esponenti del partito democratico lanciano l'allarme: serve una nuova legge, per limitare l'avanzata di un virus chiamato "demenza digitale"

di Marco Dotti

 In Corea del Sud, il 12% della popolazione giovanile rivela sintomi di conclamata dipendenza dai media digitali: tablet, console per videogames, smartphone.

In un paese che conta 48.860.000 di abitanti, dove 20,5% della popolazione è sotto i quindici anni,  è un dato che fa riflettere, soprattutto se teniamo d’occhio un altro dato: il 97% delle abitazioni  private coreane è connesso in banda larga, a una velocità di 34 megabit al secondo,  sei volte quella degli italiani, che viaggiano mediamente a 5 megabit/secondo. Sono 2 milioni e mezzo i coreani che soffronodi gaming addiction, dipendenza compulsiva da giochi, quasi mai d'azzardo. Qui la tecnologia, però, non fa meno danni delle famigerate slot machine, anzi.

Scomponendo le fasce d'età, si scopre che 160.000 bambini, tra i 5 e i 9 anni, in Corea del Sud soffrono di disturbi da dipendenza da internet o da gioco. Ne soffrono a tal al punto da aver fatto alzare enormemente la soglia di attenzione nei confronti di un fenomeno altamente correlato a questa patologia sociale: la cosiddetta digital dementia o demenza digitale.

Una ricerca condotta nel 2011 da ricercatori coreani ha rivelato che bambini e ragazzi in età scolare perdono più di due ore al giorno, dopo la scuola, che da queste parti è molto rigida e prevede 10 ore sui banchi e un numero variabile tra le 2 e le 4 ore nelle strutture del doposcuola. Il tempo da dedicare al “gioco” è, di conseguenza, veramente poco. Resta la notte. Per questa ragione nel 2011 il parlamento coreano ha varato una legge chiamata “Shutdown” o “legge di Cenerentola” (chi volesse avventurarsi nella lettura in coreano può leggerla ► qui), che impedisce adolescenti al di sotto dei 16 anni di giocare giochi da mezzanotte alle 6 del mattino.

Anche a scuola,  però, i media digitali fanno la parte del leone e se i tablet hanno scalzato i quaderni, gli ebook si apprestano a fare altrettanto con i vecchi sussidiari di carta. Proprio partendo da tale contesto, il neurologo tedesco Manfred Spitzer, visto l'altissimo, quasi unanime tasso di alfabetizzazione informatica coreana, si è posto una domanda: possiamo davvero considerare positivo un innalzamento della soglia di istruzione e competenza digitale nelle scuole elementari, medie e materne come un fatto positivo che “alleni”, anche astraendo per un istante dalla questione didattica, a non cadere nella dipendenza?

I dati per ora confermano l’allarme lanciato da Spitzer e da molti ricercatori coreani. Ciò che non è smentibile è un altro dato di fatto: l’immersione costante, forse per taluni asfissiante in ambienti digitali provoca un mutamento della neuro plasticità del cervello. Non solo nei giovani, che spesso sono vittime di genitori che “scoppiano” dimenticandosi di sé, degli altri e del mondo  dinanzi a una console.

Nello scorso mese di aprile, un fatto di cronaca che ha allarmato il paese: un uomo si è “dimenticato” a casa suo figlio di due anni, perché risucchiato nel “flusso” di un videogioco. Tornato a casa dopo molti giorni, l’uomo ha scoperto che il bambino era morto di fame.

In Corea del Sud giochi strategici come Starcraft e League of Legends hanno scatenato una vera e propria febbre. I tornei fra professionisti di videogames vengono trasmetti in diretta tv e raggiungono picchi di ascolto simili a quelli di una finale di Champions League in Europa. Il gioco è solitamente condotto, dagli emuli, come il padre del bambino lasciato morire di inedia, in “PC Bang”, sorta di internet caffè. Il cosiddetto Professional Gaming o e-Sports – così viene chiamato – traina un indotto multimiliardario per un comparto che ha interessi non solo nel gioco, ma anche nella telefonia, nelle comunicazioni e nella promozione di supporti e software didattici. Una febbre sociale che sta diventando insostenibile per tutti.

Oggi, anche ai ricercatori coreani che hanno avanzato l'ipotesi di una nuova regolamentazione del settore – ipotesi presa in seria considerazione dalle autorità, che si apprestano, a quanto ci risulta, a varare una nuova legge -, l'utopia digitale coreana appare sempre più come una distopia, ossia la torsione infernale di un dispositivo ipertecnico che da un lato – con tablet, ebook e lavagne elettroniche  – sottopone i ragazzi a uno stress psico-sensoriale altissimo, dall'altro li induce a scaricare quello stress attraverso altri dispositivi elettronici, stavolta di gioco. Lo stesso, spostando il piano dallo scolastico al lavorativo, accade con i genitori.

Sul fatto che i media (e i giochi) digitali cambino la nostra vita, nessuno sembra nutrire dubbi.  Sul fatto che la cambino in meglio,  i dubbi cominciano a affiorare. E no non sono dubbi di poco conto, se l'eco ci viene addirittura da un paese, la Corea, dove il digital divide praticamente non esiste e la scuola 2.0 ha trovato il suo inquietante paradiso

 

@oilforbook

 

 

 


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