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Dall’ecosistema tech a quello social: let’s make it bigger

Alcuni aspetti dell’ecosistema della Silicon Valley appaiono deboli e fanno emergere diverse criticità che un ecosistema per le imprese sociali potrebbe affrontare in modo diverso.

di Francesca Battistoni e Giulia Sateriale

Cosa possono avere  in comune l’ecosistema tech e quello sociale?  Gli elementi che caratterizzano la Bay Area possono aiutarci a sviluppare un modello imprenditoriale fondato sul social business?
Se è vero che la dimensione sociale è la chiave per declinare la nuova economia, è vero anche che è necessario costruire un ecosistema che favorisca la nascita di start-up sociali e contribuisca alla ridefinizione del business delle imprese sociali esistenti.
Di certo, l’ecosistema tech ha in sè alcuni elementi che possono essere utili per comprendere quali sono le caratteristiche di un habitat che favorisce l’interazione tra gli attori ed è incline all’imprenditorialità.
Per esempio, il complesso sistema di attori che ruota intorno al distretto tech segue regole ben precise che implicano una forte dose di fiducia e collaborazione.
Gli incubatori e gli acceleratori sono fra i luoghi dove per eccellenza questi attori interagiscono e rappresentano, quindi, uno scenario interessante per analizzare alcune delle dinamiche di questo modello. 
Pensiamo a Nest SGV (nella foto), un incubatore che si definisce di “ecosistema” poiche’ ospita all’interno tutti gli attori che contribuiscono a produrre innovazione: start-up, charities, venture capitalists, corporations, enti pubblici, universita’ in modo da facilitare la collaborazione tra tutti e permettere di creare delle relazioni win-win.
 

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Un altro interessante modello più tipicamente orientato al tech puro è PlugandPlay. Al suo interno, imprenditori e start-up si formano per almeno tre mesi con l’obiettivo di metterli in contatto con le corporations e, allo stesso tempo, le big corporations possono attingere dal portfolio delle start-up presenti.
L’esperienza che maggiormente si avvicina ad un possibile orientamento sociale è Hackers and Founders, l’acceleratore all’interno dello spazio HackerDojo (nella foto) che offre un programma di accelerazione sartoriale per start-up tecnologiche che presentino una forte componente sociale (a livello di input).

 

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Il fondatore di questo programma è un infermiere nato e cresciuto in America centrale da una famiglia che lavorava per organizzazioni non-governative e, fortemente motivato a creare qualcosa che potesse portare benefici  alla propria comunità, piuttosto che favorire un ecosistema puramente tech, nel 2007 decide di fondare un programma per start-up. I fondatori delle nuove imprese hanno al loro interno una percentuale di persone che appartengono a categorie svantaggiate a livello sociale: il 60% delle start-up accelerate è infatti costituita da migranti, giovani donne o donne che cercano di rientrare sul mercato dopo la maternità.

Gli incubatori e acceleratori nella valley sono principalmente tech, permettono la sopravvivenza dell’ecosistema e pur differenziandosi nel tipo di servizi e di settore industriale specifico di riferimento (clean tech, internet of things, retail, healtcare, biotech ecc), nel complesso stanno diventando sempre più dei circoli chiusi offrendo meno valore aggiunto per le start up ospitate o presentando alte barriere all’ingresso. Si pensi, per esempio, che, Plugandplay, da cui sono uscite startup quali PayPal e Zoosk, solo per citarne alcune, riceve ogni anno circa 3000 progetti e ne seleziona circa 40 in totale.  Questi luoghi stanno mutuando alcuni aspetti dal modello americano delle università, l’importanza del brand che tende a creare un sistema elitario che rischia di implodere nel lungo periodo. II fondatore di Hackers and Founders descrive infatti gli startupper della Valley come “a bunch of young white kids just jumped out from Harvard”.

Inoltre, uno degli aspetti più controversi è rappresentato dalla finalità principale sulla quale si basa questo modello: non la creazione di valore nel lungo periodo, ma l’acquisizione. Sempre di più, infatti, si assiste all’emergere delle cosiddette feature companies, imprese che hanno come unico obiettivo quello di integrare con alcuni elementi aggiuntivi le piattaforme esistenti (es. facebook, twitter, google ecc) in modo tale da essere poi acquisite il prima possibile per milioni di dollari da questi stessi big player della bay area, attraverso il meccanismo della cosiddetta exit. Questo meccanismo crea una distorsione per la quale i fondatori sviluppano aziende che non hanno una visione di lungo periodo e che spesso non creano alcun valore aggiunto in termini di occupazione creata e di sviluppo di capitale sociale nel territorio. Ci sono indubbiamente eccezioni a questo tipo di modello, anche se questo punto di vista è confermato da alcuni operatori che iniziano a parlare di “bolla”. I big player si nutrono infatti di un ecosistema che è unicamente dipendente da loro. E’ proprio sulla durata e sull’impatto che si fonda una delle principali differenze che non consente all’ecosistema dell’impresa sociale di mutuare interamente l’ecosistema della Silicon Valley. La sostenibilità del sistema nel suo complesso, la visione di lungo periodo e la creazione di shared value, sono invece uno degli aspetti fondamentali che la dimensione sociale introduce.
Un imprenditore sociale ha un punto di vista completamente diverso: l’exit non costituisce la motivazione intrinseca dell’impresa che risiede, invece, nel cercare di dare risposta a istanze sociali, creando anche valore economico per la comunità di riferimento.
Qui la valutazione dell’impatto sociale diventa uno degli elementi fondamentali su cui si giocherà la partita del modello impresa sociale (e non a caso è uno o dei punti principali del recente decreto legge sull’impresa sociale).

Di fatto, il vantaggio di studiare a fondo la tech Valley è quello di capire se ci sono aspetti nella costruzione di un ecosistema tech  da cui possiamo imparare.  Finora possiamo dire che sono pochi quelli che possiamo traslare e di più quelli da cui consapevolmente prendere distanza. Quello di cui siamo certe pero è che, l’impresa sociale se vuole essere tale, deve cominciare a pensare in grande.
Lesson #1: Hack the system, make it bigger!


Social Seed in Silicon Valley
Social Seed favorisce l'accelerazione di imprese sociali. Lavoriamo con aziende, fondazioni, start up e imprese sociali già costituite per supportarle nei processi di innovazione e nella creazione di valore sociale. Social Seed e’ in viaggio in Silicon Valley grazie al programma TVLP  promosso da BAIA e Istituto Italiano di imprenditorialita’. In questa rubrica vi raccontiamo le esperienze e i luoghi che abbiamo l’opportunita’ di visitare con l’obiettivo di capire quali elementi del distretto tech per eccellenza possono essere utili per sviluppare un ecosistema dell’ imprenditorialita' sociale. @socialseed_


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