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Charles Péguy: le crisi della scuola sono crisi di civiltà

Ricorre oggi il centenario della scomparsa del grande poeta francese Péguy. Un intellettuale, un uomo libero la cui riflessione su scuola, libertà, lavoro appare più che mai attuale. "Dopo quella di padre", scriveva Péguy, "quella di insegnante è la migliore delle missioni". Rileggiamolo

di Charles Péguy

«Se la la giustizia e la libertà lo esigono, disobbedirò». Così parla la Giovanna d'Arco di Charles Péguy, poeta, intellettuale, artigiano di pensieri e parole mai banali, di cui oggi ricorre il centenario delle scomparsa. Una morte, la sua, che coincide con una delle prime battaglie della "grande guerra", la Battaglia della Marna.  L'opera e la vita di Péguy furono brevi – morì, infatti, a 41 anni -, ma di un'intensità rara. Rare e preziose sono le sue parole sulla scuola. Figlio di una povera impagliatrice di sedie, nato in un ambiente modesto a Orléans, a pochi metri da dove la famosa Pulzella fece il suo ingreddo nel mondo, Péguy sarà segnato da incontri fondamentali, nei primi anni della sua vita. Godrà dell'istruzione popolare, andrà a scuola in quelle che – disprezzandole – gli intellettuali del tempo chiamavano "caserme folli", per via della loro colore e della loro struttura. Ma lì incontrerà il suo primo maestro che, per lui, saprà ottenere una piccola, ma importante borsa di studio che gli permetterà di studiare il latino e arrivare alle soglie della Sorbona. Un "mondo grande", quello universitario, che abbandonerà, considerando «falsa la cultura libresca», per dedicarsi invece a un lavoro di cesello, con la scrittura e l'insegnamento. Pubblichiamo qui una delle sue pagine migliori, dedicata alla "rentrée", ossia al rientro scolastico dopo le vacanze. Sono pagine dove il «nostro caro Péguy», come lo chiamava don Primo Mazzolari, mostra il suo "esprit" migliore. (marco dotti)

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La crisi dell’insegnamento non è una crisi dell’insegnamento; non c’è crisi dell’insegnamento; non c’è mai stata la crisi dell’insegnamento; le crisi di insegnamento non sono crisi di insegnamento; sono crisi di vita; denunciano, rappresentano crisi di vita e sono crisi di vita esse stesse; sono crisi di vita parziali, eminenti, che annunciano e accusano crisi della vita generale; o, se si vuole, le crisi di vita generali, le crisi di vita sociali si aggravano, si radunano, culminano in crisi dell’insegnamento,  che sembrano particolari o parziali, ma che in realtà sono totali, perché rappresentano il tutto della vita sociale; è infatti all’insegnamento che le prove eterne attendono, per cosi dire, la cambievole umanità; il resto di una società può passare, truccato, mascherato; l’insegnamento non passa; quando una società non può insegnare, non è che manca accidentalmente di un apparato o d’una industria; quando una società non può insegnare, è che questa società non può insegnarsi; è che ha vergogna, è che ha paura lei stessa d’insegnarsi; per ogni umanità, insegnare, in fondo, è insegnarsi: una società che non insegna è una società che non si ama; che non si stima; e questo e precisamente il caso della società moderna.
 
I parassiti politici parlamentari di ogni lavoro umano, i politici della politica e dell’insegnamento hanno un bel celebrare la scienza e il mondo moderno e la società contemporanea in gozzoviglie cerimoniali (…) Come insegnare l’infanzia e la giovinezza quando tutto quel che non è più bambino e che non è più giovane mente?
 
Qualche anno fa, al tempo del mio apprendistato e delle esperienze inevitabili, avrei scritto, come tutti, che il mondo moderno si cerca; oggi, nel disordine delle coscienze, siamo malauguratamente in grado di scrivere che il mondo moderno si è trovato, e che si è trovato malvagio; le conseguenze delle menzogne politiche parlamentari ricadono per sempre sugli autori che sono colpevoli e responsabili di queste menzogne ricadono sempre sulla stessa umanità; come insegnare quando tutta la società è marcia di menzogna; in Francia anche il grande movimento democratico, così pieno di promesse, formulate, tradite dal suo Stato Maggiore politico parlamentare, venduto, rivolto in usurpazione demagogica; l’immenso movimento socialista, così pieno di promesse, quasi realizzate, tradito dal suo Stato Maggiore politico parlamentare, venduto al capitalista, ritorto in usurpazioni capitaliste (…).
 
Che la scienza, che l’arte, che la filosofia si sbarazzi dei politici, che il socialismo, che il mondo operaio si sbarazzi dei politici, che l’insegnamento si sbarazzi dei politici (…): a questo punto forse degli uomini che non mentiranno avranno qualche diritto di parlare della giovinezza; e non avendo più questa crisi di vita, forse a questo punto non ci sarà più crisi dell’insegnamento. [1904]

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