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Economia & Impresa sociale 

I manager della csr entrano nella pianificazione strategica

La crisi ha amplificato la necessità per le aziende di puntare sulla responsabilità sociale d'impresa come leva di innovazione e competitività

di Sibilla Di Palma

Aggiungi un posto a tavola. O meglio, nel consiglio d’amministrazione. È l’evoluzione del Csr manager ai tempi della crisi, che ha amplificato la necessità per le aziende di puntare sulla responsabilità sociale d’impresa come leva di innovazione e competitività. Una figura sempre meno “ornamentale” e collegata alla comunicazione, ma più orientata alla pianificazione strategica.

«La crisi ha fatto emergere la necessità di puntare su un’economia collaborativa. Nella convinzione che una maggior cooperazione, dalla creazione di reti al welfare aziendale realizzato con le cooperative sociali, porti anche a una maggior competitività », sottolinea Rossella Sobrero, presidente di Koinètica, società che fa parte del gruppo promotore del “Salone della Csr e dell'innovazione sociale” in programma a Milano il 7 e 8 ottobre prossimi. Tanto che, secondo una ricerca promossa dal Csr Manager Network che ha per oggetto le società quotate dell’indice Ftse-Mib, la corporate social responsibility è sempre più presente nei cda aziendali. Il 90% delle imprese quotate ha infatti integrato i temi della responsabilità sociale d’impresa nel proprio codice etico, il 51% dei cda esamina e approva politiche sul tema mentre il 42% abbina l’impegno alla reale inclusione di tematiche socio ambientali nel piano industriale.

Un risultato che non sorprende se si pensa che, secondo uno studio della Harvard Business School, la performance economica delle aziende che puntano sulla corporate social responsibility è nettamente migliore di quella delle imprese che non ne fanno uso; e che le imprese devono confrontarsi sempre più spesso con i cosiddetti “nativi della Csr”, ossia consumatori – attori tra i quali cresce l’attenzione per la sostenibilità e che sono disposti a pagare di più per prodotti di aziende che hanno adottato programmi di responsabilità sociale. «Gli investitori si sono fatti più selettivi nelle loro scelte e molte grandi imprese si sono rese conto che attivarsi sul fronte della corporate social responsibility può mettere in moto interessanti meccanismi sul fronte del business”, sottolinea Fulvio Rossi, presidente del Csr Manager Network. La buona reputazione derivante dalle attività di Csr permette, infatti, di ottenere diversi vantaggi.

Dalla prevenzione del rischio d’impresa alla possibilità di distinguersi dagli altri competitor intercettando le esigenze di tutti gli stakeholder, dai clienti/consumatori al sistema sociale in cui è inserita l’azienda. Uno scenario che ha reso sempre più strategica la figura del Csr manager, presente non a caso nel 77% delle aziende del Ftse Mib (oltre il 67% ha inoltre un’unità organizzativa dedicata). Che oggi riveste un ruolo chiave nel «generare un flusso diretto di informazioni strategiche verso il cda», osserva Rossi.

Meno comunicazione, dunque, e più strategia. Una scalata ai vertici evidente anche dalla recente scelta della società Terna di assegnare al presidente del Consiglio di Amministrazione Catia Bastioli il ruolo di promozione e advisory della Csr. Se in passato, poi, il manager della responsabilità sociale d’impresa era un professionista, in genere con una formazione di stampo economico, approdato alla funzione dopo aver ricoperto altri ruoli all’interno della stessa società, «adesso, grazie al moltiplicarsi di master e corsi di studio specialistici, si sta sviluppando una classe di professionisti che entra in azienda occupandosi sin dall’inizio di responsabilità sociale d’impresa», specifica Rossi.

È il caso di Marisa Parmigiani, 43 anni, Csr manager di Unipol. «Sono approdata in questo settore dopo un master in decisionmaking theory – racconta -. In seguito al quale la Coop, che negli anni Novanta era già molto avanti sul tema della responsabilità d’impresa, mi ha chiamata per un progetto legato al loro codice etico e questo mi ha dato l’opportunità di crescere all’interno del settore sin dall’inizio della mia carriera. A 35 anni sono diventata dirigente e dopo diverse esperienze in alcune società di consulenza sono arrivata in Unipol dove rispondo direttamente al presidente ».

Proviene dal mondo del marketing, invece, Daniela Murelli, 43 anni, direttore della Csr di San Pellegrino – Nestlè Waters Italy. «Nel 2009 la mia azienda, che si occupa di imbottigliare acqua minerale, ha voluto darsi degli obiettivi misurabili e una strategia chiara in termini di sostenibilità. La scelta è ricaduta su di me che all’epoca ero direttore marketing innovation di Nestlè Waters Europe. Oggi rispondo direttamente all’ad e faccio parte di una struttura dedicata”.

Una professione sotto i riflettori nelle grandi aziende, ma ancora poco diffusa nelle Pmi dove spesso sono presenti attività legate alla Csr, ma non in maniera strutturata e senza l’ausilio di manager specializzati nel settore. «Segno che, nonostante i passi in avanti degli ultimi anni, il legame tra responsabilità sociale d’impresa e creazione di valore fatica a emergere», conclude Rossi.

da Affari&Finanza de La Repubblica di Sibilla Di Palma


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