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Bring Back Our Girls: dove sono le ragazze rapite?

Sei mesi dopo il rapimento delle duecento studentesse nigeriane e la campagna di sensibilizzazione globale che ha impegnato anche Michelle Obama, le famiglie continuano ancora a cercare le ragazze

di Ottavia Spaggiari

Non è bastata la mobilitazione online, né l’appello di Michelle Obama, delle “nostre ragazze”, ancora non c’è traccia. Sono passati sei mesi da quando, il 14 aprile scorso, il gruppo armato Boko Haram aveva rapito da una scuola di Chibok, in Nigeria, oltre duecento ragazze, tutte studentesse tra i 16 e i 18 anni. Per tenere viva l’attenzione sulla scomparsa delle ragazze, gli attivisti della campagna Bring Back Our Girls, stanno organizzando una marcia pacifica, fino alla residenza del Presidente nigeriano Goodluck Jonathan, ad Abuja, ultima iniziativa di una settimana di eventi per invitare la comunità internazionale e il governo locale a rinnovare l’impegno per riportare a casa le ragazze rapite. Alcuni segnali di speranza nelle ultime settimane. Il mese scorso, nel nord-est della Nigeria è stata ritrovata incinta e in stato confusionale, una ragazza rapita nove mesi fa dallo stesso gruppo armato, e al momento si trova ricoverata in un ospedale di Abuja, allo stesso tempo, domenica scorsa sono state liberate, nel Nord del Camerun altre 27 ragazze, rapite da Boko Haram, tra maggio e luglio, durante un’operazione militare del governo nigeriano. Secondo the Independent gli ostaggi liberati hanno riportato di aver subito durissime violenze quotidiane. Il fatto di essere state ritrovate vive, ha riacceso la speranza tra le famiglie di Chibok. “Ad un certo punto abbiamo quasi pensato di celebrare un funerale per le ragazze scomparse”, ha dichiarato all’agenzia AFP, Enoch Mark, una donna di Chibok che il 14 aprile scorso ha perso nel rapimento una figlia e una nipote. “Poi il mese scorso è stata ritrovata quella ragazza, rapita nove mesi fa. Noi continuiamo a sperare.”

Alcune settimane dopo il rapimento si era diffusa la notizia che le ragazze stessero per essere vendute per pochi dollari. La campagna virale #bringbackourgirls era servita a portare l’attenzione internazionale sulla Nigeria e aveva contribuito ad esercitare una pressione sul governo del Paese, che dopo le prime settimane di silenzio si era impegnato ad agire. Lo scorso maggio era stata lanciata la Safe School Initiative, una campagna finanziata con un fondo di 10 milioni di dollari da una rete di leader economici locali, in partnership con le Nazioni Unite e la Global Business Coalition for Education. L’iniziativa volta a rendere l’ambiente scolastico più sicura, sta coinvolgendo 500 scuole nel nord della Nigeria.

Ancora oggi delle ragazze non si hanno notizie ed è con una lettera al quotidiano britannico The Independent che alcuni esponenti politici nazionali, tra cui l’ex ministro degli esteri Malcolm Rifkind e Paddy Ashbrown ex leader liberaldemocratico, rompono il silenzio degli ultimi mesi, in cui l’attenzione del mondo occidentale si è catalizzata sulle azioni portate avanti in Iraq e Siria dall’ISIS, affermando la necessità di un intervento militare britannico coordinato, a supporto delle forze militari nigeriane, per combattere Boko Haram. Tra i firmatari della lettera anche il generale David Richards, ex capo del personale delle forze armate: “I governi occidentali possono fare molto per dare supporto alle forze armate locali. I mezzi militari però non saranno sufficienti. Le operazioni dovranno essere parte di una strategia internazionale più ampia.”

A rispondere cautamente alla lettera, per ora, solo la parlamentare laburista Chi Onwurah, di padre nigeriano e che in Nigeria ha lavorato due anni. “E’ fondamentale in questo momento mantenere l’attenzione sul rapimento”. Ha affermato Onwurah, ricordando anche il significato concreto e simbolico di rapire delle giovani studentesse. “Il premio Nobel a Malala Yousafzai, ha sottolineato, ancora una volta il ruolo fondamentale che l’educazione delle ragazze svolge per la costruzione della pace.”


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