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Salole: l’accanimento fiscale sulle fondazioni retrocede l’Italia

Parla lo Chief Executive dello European Foundation Centre: “le fondazioni non possono essere considerate una parte del budget nazionale, ma come un attore indipendente della società civile, che migliora la vita delle persone e della comunità. L'Italia sta facendo passi indietro rispetto ai Paesi europei”

di Riccardo Bonacina

Nei giorni scorsi lo European Foundation Centre (EFC), l’organizzazione che riunisce le principali fondazioni a livello globale e che conta oggi oltre duecento membri, aveva denunciato l’ aumento della pressione fiscale per gli investimenti delle fondazioni bancarie italiane, previste dal disegno di legge di stabilità 2015, definendola una proposta in contrasto con le tendenze generali sul regime fiscale delle fondazioni e della filantropia in Europa. Gerry Salole, Chief Executive di EFC, spiega perché.

Alla luce del recente annuncio del governo italiano sul regime di tassazione fiscale delle fondazioni, come si giudica da Bruxelles e dallo European Foundation Centre il trattamento fiscale riservato in Italia nell’ultimo decennio per le attività filantropiche delle Fondazioni? Davvero l’Italia è maglia nera nel trattamento fiscale della Filantropia?

L’annuncio del governo Italiano va decisamente contro quello che è lo spirito della filantropia. La nostra preoccupazione è che questo tipo di sviluppi porti a considerare le fondazioni come una parte del budget nazionale, scordandosi di ciò che sono realmente: un attore indipendente della società civile, che beneficia sia le persone che la comunità. Lo European Foundation Centre ha mappato 24 Paesi per capire quali fossero le tendenze fiscali prevalenti e nella maggior parte dei casi, le fondazioni non sono tassate. Le rendite sui patrimoni vengono tassate in cinque paesi, Belgio, Danimarca, Malta, Turchia e Italia, ma ad esempio in Danimarca vengono tassate le rendite sulla gestione patrimoniale mentre i dividendi delle società di cui le fondazioni detengono almeno il 10% delle azioni sono esenti e in Turchia sono ritenute alla fonte. L’Italia quindi sta andando decisamente controcorrente.

Ritiene possibile un’armonizzazione fiscale europea per le attività filantropiche? A che punto siamo a tal proposito? Che ruolo potrebbe svolgere uno statuto unico delle fondazioni europee in questo senso?

Armonizzare la tassazione sarebbe una cosa ottima ma in questo momento sarebbe troppo complicato, non ci sono ancora le condizione perché questo avvenga. Negli ultimi mesi è emerso molto chiaramente che, perché lo Statuto delle Fondazioni Europee venga approvato non è possibile introdurre una clausola fiscale. Lo Statuto non può svolgere una funzione di regolamentazione in questo senso, quello che invece potrà fare, è rendere le cose molto più semplici per le fondazioni che intendono operare in altri Paesi europei, abbattendo le limitazioni che esistono ora.

Che tipo di strumenti potrebbero essere utilizzati quindi a livello europeo per avere un impatto sulla situazione italiana?

Credo che si tratti soprattutto di una questione culturale. Le fondazioni devono provare il valore del proprio modello che non si basa su soluzioni a breve termine ma su processi animati da una visione sul lungo periodo. Il modello filantropico deve essere capito dai policy-maker e interpretato come uno strumento. Il rischio è proprio quello di utilizzare le fondazioni solo come grandi riserve di denaro, a cui attingere per sopperire a dei bisogni emergenziali e di breve periodo. La chiave è nella visione strategica, se si guarda al lungo periodo allora è chiaro come sia importante lasciare quelle risorse economiche nelle mani di istituzioni permanenti, che conoscono le realtà in cui operano e che non solo legate a cicli politici o elettorali. Ciò su cui bisogna puntare è l’azione sul lungo periodo.

Pur condividendo la scelta del Governo italiano di spostare la tassazione dal lavoro alle rendite finanziarie, ci si chiede se non esistano strade che riconoscano questa specificità delle Fondazioni per cui il rendimento finanziario, statutariamente, diventa erogazione. Esistono in Europa, a tal proposito, sistemi fiscali che possiamo indicare come esempio?

Fino a poco tempo fa, l’Italia poteva offrire uno dei migliori esempi di fondazioni come enti di diritti privato che perseguono finalità pubbliche, in cui il governo decideva di affidare le risorse ad un’ entità indipendente in grado di gestirle con professionalità ed efficacia. Adesso il governo sta inviando un messaggio totalmente diverso. Tralasciando quelli che sono i beneficiari finali delle attività filantropiche. In 19 dei 24 Paesi che EFC ha analizzato esiste un trattamento fiscale migliore per le fondazioni, la Gran Bretagna ha delle buone pratiche, così come i Paesi Bassi, è difficile capire quali siano i migliori, ma è utile guardare a tutti questi Paesi come esempi interessanti.

Lei sottolinea molto il fatto che le Fondazioni di origine bancarie sono un vero prodotto “Made in Italy”, enti di diritto privato?

Il principio è sempre lo stesso: chi dovrebbe giudicare l’operato delle fondazioni? Si rischia un approccio interventista che non può essere applicatoalla filantropiaAlla base della filantropia vi è innanzitutto l’indipendenza, lasciare lavorare le fondazioni significa fidarsi della visione a lungo termine e se ci si fida, non si può sottrarre delle risorse.

 

 


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