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Pistelli: «L’Islam? Una galassia che conosciamo troppo poco»

Intervista a Lapo Pistelli dopo le stragi di Charlie Hebdo e la manifestazione di Parigi: «Rinunciare a Schengen sarebbe un autogol». E sull'islamismo radicale: «Dobbiamo assicurare le sicurezza, ma senza rinunciare al nostro dna. E poi occorre che mettersi a studiare un mondo di cui sappiamo davvero poco»

di Redazione

Lapo Pistelli, viceministro degli esteri è senz’altro uno dei politici italiani che negli ultimi anni ha più frequentato le frontiere fra l’Europa e l’Islam. Questa la sua analisi di come cambierà e dovrebbe cambiare la nostra politica estera dopo gli attentati di Parigi.

Pistelli, la strage di Charlie Hebdo che influenza avrà sulla gestione della nostra politica estera?
Non è semplice rispondere a questa domanda. Io credo che l’ottica debba essere quella europeo. In questo senso la risposta plastica l’abbiamo avuta nella marcia dei 2 milioni di Parigi di domenica scorsa, quando abbiamo visto tutti i leader del continente marciare compatti. Centrare questo obiettivo però non è per nulla scontato.

In che senso?
Talvolta è più facile sapere certe cose dai servizi segreti arabi che da un’ altra intelligence europea. Ci sono gelosie di fondo che vanno superate e questo non è facile.

Intanto a Parigi e a Madrid c’è chi pensa di limitare Schengen?
Tutti gli indicatori di eurobarometro dicono che la libera circolazione delle persone e il programma Erasmus sono le due principali icone europee. Non dobbiamo commettere l’errore di negare la nostra natura e le nostre libertà nel tentativo – giusto – di rafforzare le misure di sicurezza. Tanto più che i terroristi sono nati e cresciuti in Francia ed erano a tutti gli effetti cittadini francesi. Poi certo alcune misure vanno prese e in questo senso il diritto alla privacy non deve costituire un ostacolo.

Come risponde a chi sostiene che senza l’Islam non ci sarebbe nemmeno il terrorismo islamico?
L’islam non è un corpo unico. Non è un’ortodossia, è un’ortoprassi. Non c’è una dottrina, non c’è una Chiesa. Non esiste una certificazione che stabilisca chi può e chi non può fare l’imam. Fra il fedele e Dio non c’è mediazione. Questo significa che anche all’interno dell’ala più radicale ci siano comportamenti e attitudine, molto differenti fra loro, talvolta in competizione e talvolta in contraddizione. Pensi, e molti altri esempi si potrebbero fare, all’Isis, ad Al Quaeda e a Boko Haram. Lo Stato Islamico conia moneta e riscuote tasse. Punta al consolidamento del califfato in una specificare area del globo in un logica statutaria. L’obiettivo di Al Quaeda è invece la lotta contro quelli che loro ritengono gli Stati islamici corrotti dai petrol-dollari e dall’Occidente, facendo attentati, ma senza avere la pretesa di occupare territori. Boko Haram in Nigeria si muove in una logica di attacchi indiscriminati in una logica anti-cristiana.

Quale dovrebbe essere allora l’atteggiamento dell’Occidente di fronte a questa galassia?
Tenga conto che oltre alla mancanza di una Chiesa e all’atomizzazione dell’islamismo radicale, la cultura musulmana non ha vissuto la Guerra dei Trent’anni che per noi ha significato la legittimizzazione della laicità del potere. Nell’islam la divisione fra fede e potere politico non è netta. E questo pone altri problemi. Come si deve comportare l’Occidente? Da una parte non possiamo non pensare ad aumentare la nostra capacità di difesa di fronte a gesti di terrorismo, e lo dobbiamo fare senza inquinare il nostro dns, dall’altro però dobbiamo metterci a studiare l’Islam, se vogliamo provare a comprendere cosa sta succedendo intorno a noi, nelle banlieue come in Siria. Per esempio non tutte le scuole coraniche sono uguali: fra quella Wahabita che si rifà in modo radicale all'islamismo delle origini e quella riformista del Cairo c'è un abisso. Occorre prenderne atto e comportarsi di conseguenza. 

Nel dibattito sulle moschee, lei da che parte sta?
Credo che pregare in un garage o per strada non sia dignitoso. Fare le moschee significa creare dei loghi di culto, riconoscibili e dare dignità all’islam come fede religiosa. Cosa che nel medio periodo ci consentirà di chiedere con maggiore forza altrettanta attenzione al cristianesimo nei paesi a maggioranza musulmana, nel quadro del principio di reciprocità. 


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