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Paolo Branca:«La legge anti moschea è una mossa suicida»

Il noto esperto di Islam spiega perchè la decisione presa al Pirellone danneggia anche gli altri culti e svela la complicità indiretta di chi predica bene solo sui comunicati stampa.

di Martino Pilliteri

«Una politica suicida. Quella del no, del no senza se e senza ma, istituita da una certa destra, senza valutare conseguenze né effetti collaterali».
Paolo Branca, professore di Lingua e Letteratura araba all’Università Cattolica di Milano, esperto di Islam e responsabile della diocesi di Milano per il dialogo interreligioso, boccia impietosamente la legge anti moschea votata martedi 27 gennaio dalla regione Lombardia.

«Siamo governati da una classe politica allergica al lavoro nei confronti dell’interesse collettivo. La legge anti moschea, danneggia tutti. Gli altri culti, che ora devono affrontare vincoli burocratici  e amministrativi che agiranno come deterrenti, e i musulmani stessi. Mi riferisco ai quei musulmani  che non appartengono a gruppi organizzati/policitizzati che meritano di professare la loro fede in luoghi di culto dignitosi e non nelle cantine. La politica deve promuovere e valorizzare le buone pratiche. Questo richiede lavoro, impegno, lungimiranza, e anche il coraggio di deludere la pancia del proprio elettorato. Invece, cosa hanno fatto? Impedire la costruzione di moschee decorose e trasparenti di fatto mantiene  vive più di 100 centri islamici che operano nelle cantine della Lombardia.
E’ una presa per il culto, espressione di un governo locale impreparato e pavido».

Ci spieghi meglio la battuta "E’ una presa per il culto"
«Sono anni che vengo interpellato e consultato dalla politica nazionale, regionale e comunale per ragionare  sulle sfide e sulle opportunità del pluralismo religioso in chiave di normalizzazione dei rapporti tra l’islam e le istituzioni, anche quelle non politiche».


Ebbene?
«Io non lavoro per nessun partito e per le mie consulenze non sono neppure retribuito. Ho fatto dei ragionamenti con la politica ( sia a destra che a sinistra) cercando di comunicare certi concetti in modo bipartisan facendo leva sull’interesse di tutti; ho cercato di far valorizzare le migliori pratiche o quelle che potenzialmente ritenevo tali; ho proposto master, trovato borse di studio da investire sulla formazione di nuovi leader religiosi. Ebbene, non sono sempre stato ascoltato e noto che le mie frasi sono state parole al vento. La politica aveva già deciso. Io, altri colleghi che ho convolto e giovani musulmani di seconda generazione che su certi temi sono all’avanguardia, siamo stati solo la parte di facciata delle prassi istituzionali. Non è stata una decisione unilaterale, qualcuno potrà dire. Abbiamo ascoltato tutti prima di decidere.
Ma anche chi a parole era in sintonia con i miei consigli e valutazioni, si è limitato al minimo sindacale e ai comunicati stampa su quanto sia bello e importante il dialogo interreligioso».


A chi si riferisce professore?
«Diciamo che in Piazza Duomo sono bravi a predicare bene, ma il dialogo della base, tra gente comune è ancora un miraggio».


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