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Economia & Impresa sociale 

BCC: Banca d’Italia spinge per la riforma

Il capo della vigilanza della Banca centrale Carmelo Barbagallo ha ribadito che occorre intervenire sul mondo delle BCC così da eliminare «le inefficienze insite nell’attuale configurazione di rete»

di Marco Marcocci

La Banca d’Italia non ha dubbi: il sistema del Credito Cooperativo nazionale deve essere riformato “con rapidità”.

Il capo della vigilanza della Banca centrale Carmelo Barbagallo, nel suo intervento di ieri alla Federazione delle cooperative Raiffeisen a Bolzano ha ribadito che occorre intervenire sul mondo delle BCC così da eliminare «le inefficienze insite nell’attuale configurazione di rete, ponendo le premesse per ridurre i costi operativi, innalzare la professionalità di esponenti aziendali e addetti, accrescere la qualità e la gamma dell’offerta alla clientela, utilizzare al meglio la tecnologia, eliminare gli ostacoli alla raccolta di capitali sul mercato».

Secondo Barbagallo soltanto con un riassetto più incisivo del sistema il Credito Cooperativo potrà competere in un mercato più integrato e concorrenziale, contribuendo in maniera importante alla ripresa delle economie di riferimento. Si dovrà intervenite quindi per garantire l’ammodernamento della gestione, il rafforzamento strutturale della redditività e la capacità, ove necessario, di reperire risorse patrimoniali anche consistenti in tempi brevi.

Un’agevolazione per percorrere la tortuosa strada del cambiamento può essere offerta dalle varie esperienze europee ed in tal senso, spiega Barbagallo, «per il Credito Cooperativo si impone il confronto con i modelli organizzativi adottati dagli altri sistemi cooperativi europei, accomunati da un livello di integrazione notevolmente più elevato».

Ed è proprio sull’esperienza europea del Credito Cooperativo che si è focalizzata l’analisi del numero uno della vigilanza di Bankit. 

In Europa il Credito Cooperativo può essere ricondotto a due modelli che presentano «caratteristiche diverse ma in parte sovrapponibili».

Il primo, il più comune (diffuso in Francia, Spagna, Paesi Bassi, Finlandia) è quello del cosiddetto “gruppo”, declinato con istituti giuridici compatibili con le specificità della forma societaria cooperativa. Al vertice del gruppo si trova una società per azioni oppure una cooperativa, di norma partecipata in misura più o meno ampia dalle stesse cooperative appartenenti al gruppo, spesso quotata e quindi capace di accedere a un ampio mercato dei capitali. La capogruppo svolge anche le funzioni di istituto centrale della categoria compresa quindi la gestione della liquidità, il monitoraggio, il profilo di rischio e le altre funzioni proprie del ruolo. Così, fermo restando i limiti alle partecipazioni e al diritto di voto di un singolo socio in una cooperativa, il potere di direzione e coordinamento della capogruppo sulle banche controllate, che include il potere della prima di “supervisionare” le seconde, è il prodotto di accordi contrattuali (“patti di dominio”) e non di controllo azionario.

Il secondo modello, quello del sistema di tutela istituzionale, si ritrova tradizionalmente tra le Casse Reiffeisen in Germania e in Austria. Si base su una struttura più debole rispetto al primo modello in quanto gravita intorno ad un accordo contrattuale per garantire la liquidità e la solvibilità delle banche partecipanti e quindi potrebbe in caso di necessità rivelarsi uno strumento debole.

La riforma sicuramente ci sarà, il dibattito è nel pieno del suo vigore, le soluzioni non mancano. Tuttavia l’unica certezza ad oggi è che la storia ultracentenaria del Credito Cooperativo italiano deve essere tutelata.


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