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Cooperazione & Relazioni internazionali

Pakistan: la guerra al web non ferma la pornografia online

Il Pakistan è tra i Paesi in cui la libertà di espressione online è più limitata. L’oscuramento di Youtube e il monitoraggio strettissimo del governo però non hanno fermato la pornografia. Secondo Google è il primo paese per ricerca di materiale pornografico online

di Ottavia Spaggiari

E’ il terzo Paese per quantità di contenuti censurati da Facebook, su richiesta del governo ma, secondo Google, il primo per ricerca di materiale pornografico online. Il Pakistan sembra una contraddizione in termini, qui Youtube è oscurato, Twitter tenuto sotto strettissimo controllo e un gruppo di attivisti islamici digitali ha addirittura lanciato un social network parallelo a tema islamico. “Siamo il più grande social network musulmano della storia”, ha dichiarato Omer Zaheer Meer, il fondatore di Millat Facebook, al Guardian.  Meer aveva avuto l’idea dopo aver visto rifiutata, la richiesta di oscuramento totale di Facebook nel 2010, dopo una campagna virale estremamente controversa, che invitava gli utenti a postare fotografie di Maometto. La piattaforma in realtà è molto simile a quella originale, ma comprende anche alcune opzioni extra, come il collegamento video dalla Mecca e la garanzia di evitare qualsiasi materiale che, secondo i fondatori, possa urtare la sensibilità degli utenti. E, nell’intervista al Guardian, Meer, ha spiegato che, secondo lui, MyFacebook “non è solo per i musulmani, ma per chiunque creda che la libertà di espressione non significhi necessariamente provocare le persone e spingere all’odio”.

Di fatto però l’organizzazione Freedom House, ha classificato il Pakistan tra i paesi in cui il web è maggiormente censurato e gli attivisti locali per la libertà di espressione hanno giocato con la stampa estera sul rinominare il Paese, Banistan (Ban in inglese significa infatti censurare). Numerosissime le richieste di bloccare i tweet e, secondo alcuni attivisti, esisterebbe un comitato interministeriale che controlla i siti web e i profili sui social media: “Nessuno sa da chi sia composto questo comitato, quanti siano e se capiscano il significato di libertà di espressione”. Ha spiegato al Guardian, il direttore dell’organizzazione per i diritti digitali, Bytes for all, Shazad Ahmad, “Le censure sono sempre arbitrarie e spesso rivolte a contenuti politici.”

La campagna più dura è stata quella per l’oscuramento di Youtube, inaccessibile dal 2012. I servizi di proxy utilizzati per aggirare il blocco, sono diventati un bersaglio per il governo, anche se in molti non si arrendono alla censura. Basti pensare che anche uno degli avvocati impegnati nella battaglia per censurare il sito web di condivisione video, è tra coloro che sono stati sorpresi ad utilizzare proxy per accedere a youtube. Nonostante le censure e il monitoraggio strettissimo del governo però, secondo l’ultimo rapporto di Google, pubblicato alla fine di gennaio, il Pakistan sarebbe il primo Paese per ricerca di materiale pornografico online, seguito da Egitto, Iran, Marocco, Arabia Saudita e Turchia.


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