Solidarietà & Volontariato

Oscar: sotto i riflettori diritti alle donne, pari compensi e volontariato

Dall’hashtag #askhermore per chiedere ai giornalisti di trattare le attrici al pari delle controparti maschili, al discorso di Patricia Arquette per ringraziare i volontari della ONG da lei fondata e chiedere la parità di genere, gli Oscar “più bianchi e maschili di sempre” sono stati, in realtà, i più politici degli ultimi anni

di Ottavia Spaggiari

Non ha usato mezze parole, Patricia Arquette, vincitrice dell’Oscar come miglior attrice non protagonista per il film Boyhood, che ha deciso di usare il minuto e mezzo di discorso, per rivolgersi alle donne, chiedendo la parità di retribuzione e di diritti:  “Grazie a tutte le donne che hanno partorito, a tutte le cittadine e le contribuenti di questa nazione: abbiamo combattuto per i diritti di tutti gli altri, adesso è ora di ottenere la parità di retribuzione una volta per tutte, e la parità di diritti per tutte le donne negli Stati Uniti”. Un tema quello del gap salariale, sentito a Hollywood, come nel resto del mondo, secondo l'Ocse, una donna guadagna in media il 30% in meno, rispetto ad un uomo. Patricia Arquette, però non si è fermata alla parità di genere, nel suo minuto e mezzo, sotto i riflettori, l'attrice ha anche portato il lavoro dei volontari e degli esperti, impegnati nella ONG da lei fondata, GiveLove.org, per rispondere alla crisi dei servizi igienici, dopo il terremoto di Haiti.

Un discorso, quello di Patricia Arquette, politico come non se ne vedevano da un po’ sul palco del Kodak Theatre.

Per capire che questi Oscar fossero controversi, o per lo meno, un po’ più controversi del solito, tenendo conto che si parla pur sempre di Hollywood, lustrini e tappeti rossi, bastava dare un’occhiata ai commenti usciti sui social immediatamente dopo l’annuncio delle nomination. Su Twitter, era diventato subito trending topic, l’hashtag #OscarSoWhite, che denunciava la mancanza di diversità di etnia e genere tra i nomi in lizza per le blasonatissime statuette. Ad essere nominati per tra le categorie principali, solo professionisti caucasici e nessuna donna, se non per le categorie “miglior attrice protagonista” e “miglior attrice non protagonista”, ad aver causato particolare scalpore, l’esclusione dalle nomination per miglior regia, di Ava DuVernay, regista afroamericana dietro al bellissimo Selma, film sulla marcia da Selma a Montgomery che aveva segnato il movimento per i diritti civili degli Afro-americani, negli Stati Uniti.

E le polemiche non sono cessate neppure sul tappeto rosso, prima di sfilare davanti ai fotografi e giornalisti, Reese Whiterspoon, candidata come miglior attrice protagonista, aveva lanciato su Twitter #askhermore, un hashtag ripreso migliaia di volte, per chiedere ai giornalisti di non utilizzare un doppio metro durante le interviste agli attori e alle attrici, rivolgendo alle seconde solamente domande relative ai propri abiti “si tratta di far capire che siamo di più dei vestiti che indossiamo”. Un hashtag, quello di #askhermore, sostenuto, ripetuto e trasformato in quella che potrebbe diventare una vera e propria campagna, da attivisti e organizzazioni che si occupano di pari opportunità, come il Geena Davis Institute, l’organizzazione fondata dall’attrice Geena Davis che promuove la presenza femminile non solo tra i professionisti dell’industria cinematografica, ma anche tra i personaggi delle storie di Hollywood, come leva fondamentale per raggiungere la parità di genere nelle generazioni future, perché popolare il cinema e la televisione di personaggi femminili forti, significa offrire esempi alle bambine di cosa si può diventare, non per nulla, il claim dell’organizzazione è “If she can see it, she can be it”, “Se lo può vedere, lo può diventare”.


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