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Wenders e quel sole sopra Ground Zero

Il grande regista entrò con la macchina fotografica tra le macerie. Ora svela un segreto di quell’esperienza: «all'improvviso vidi una luce diversa splendere attraverso la polvere e il fumo. Era il sole che per la prima volta illuminava direttamente lo spazio rado di Ground Zero. Era un messaggio del luogo, un messaggio di pace»

di Giuseppe Frangi

Dal cielo sopra Berlino al sole sopra le Twin Towers. Nel 2001 Wim Wenders ebbe il drammatico privilegio di poter entrare nello spaventoso cratere delle Torri Gemelle con la macchina fotografica. Gli fu possibile perché grande amico di Joel Meyerowitz, il solo fotografo che il sindaco di New York aveva autorizzato ad entrare tra quella montagna di macerie, in veste di testimone ufficiale. «Joel fu molto generoso e un giorno mi portò con sé. Fece una fotocopia del suo permesso in cui mi inserì come suo “assistente”», ha raccontato Wim Wenders.

«Andammo a Ground Zero il mattino presto e ci restammo diverse ore. Joel conosceva ogni vigile del fuoco per nome. Ce n’erano molti che lavoravano lì, spalando macerie e soprattutto cercando resti umani». Wenders aveva portato la macchina fotografica panoramica, per essere in grado di cogliere l’ampiezza del luogo, e la natura stessa delle foto che scattava lo costringeva a rivolgere lo sguardo soprattutto verso il basso.

Oggi quelle foto dal formato solenne, o tutte orizzontali o svettanti verticali sono state riunite per la mostra America, organizzata dal Fai a Villa Panza a Varese (aperta fino al 29 marzo). La curatrice della mostra, Anna Bernardini, ha avuto l’intuizione di riunirle in un luogo “protetto”, molto intimo. L’effetto è emozionante ed estremamente coinvolgente, quasi ci si trovasse in un luogo sacro. E non è un caso. Infatti quelle grandi fotografie di Wenders nascondono un episodio rivelatore che lui stesso ha voluto raccontare nell’intervista pubblicata nel catalogo della mostra.

«Era un enorme cimitero», ricorda il regista. «Al centro, il terreno fumava ancora. C’era un odore terribile, pungente. Tutti lavoravano in silenzio, con il viso coperto da una maschera. C’era una sensazione di grande dolore e di serenità. Ogni tanto si sentiva un segnale, una sirena che annunciava il ritrovamento di qualcosa da parte di una delle tante squadre. La gente si toglieva il cappello e c’era un momento di silenzio assoluto, poi tutti si rimettevano al lavoro in quell’inferno».

Wenders racconta degli enormi camion che spruzzavano acqua per evitare che la polvere si alzasse e volasse ovunque. In quel silenzio pieno di così profondo rispetto, lui e Joel Meyerowitz continuavano a scattare.

Quando, all’improvviso furono colpiti da una luce mai vista. «Vidi una luce diversa splendere attraverso la polvere e il fumo», racconta Wenders. «Sollevai lo sguardo e mi resi conto che il riflesso del sole aveva immerso per qualche istante Ground Zero in una luce accecante. Era ancora mattina, e fino a quel momento i grattacieli intorno avevano impedito ai raggi del sole di illuminare diirettamente lo spazio rado di Ground Zero. Ma adesso gli edifici circostanti contribuivano a deviare la luce». Anche gli operai che erano abituati a lavorare in quel luogo, la notarono. «Vidi Joel guardare su, incredulo, borbottando di non aver mai visto nulla di simile in tutti i suoi giorni “di servizio”. Non durò a lungo, e il sole scomparve di nuovo. Ma in quei momenti, nelle poche foto scattate con quella luce, mi sembrò di essere il testimone di un messaggio che il luogo stesso ci consegnava. Era un messaggio di pace».

Continua poi Wenders: «Quel luogo aveva visto un orrore indicibile. Ma ora, per un attimo, mostrava un lampo di bellezza surreale che voleva dire: “Il tempo guarirà le ferite! Questo luogo guarirà! Questo paese guarirà! Ma tutto ciò non deve essere la causa di altri morti! Non lasciamo che questo diventi motivo di ulteriori orrori…”. Questo è ciò che ho capito mentre scattavo le mie foto in quegli attimi beati. E sì, spero di aver immortalato quel messaggio». Quelle immagini però sono rimaste “sole” con il messaggio che evocavano. L’America infatti decise una strategia ben diversa, dettata dai propagandisti della “guerra di civilità”. «La politica allora decise di iniziare una “guerra contro il terrorismo”», commenta Wenders. «Una combinazione assurda di parole, tanto per cominciare. Quella politica non ha fatto altro che ingrandire il danno compiuto».


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