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Che fine ha fatto la bimba afghana icona del National Geographic

È il nuovo simbolo dell’ostilità del Pakistan verso i rifugiati, Sharbat Gula, la ex bambina afghana, immortalata dal fotografo Steve McCurry, in quella che è diventata la copertina di cover del National Geographic. Di nuovo rifugiata in Pakistan, Sharbat Gula, ha falsificato i documenti per poter rimanere nel Paese

di Ottavia Spaggiari

Quando l’obiettivo di Steve McCurry catturò il suo sguardo per il National Geographic, Sharbat Gula aveva solo 12 anni. Era una studentessa in una scuola del campo per rifugiati di Nasir Bagh, in Pakistan, fuggita durante il periodo dell’occupazione sovietica del suo Paese, l’Afghanistan. Era la fine del 1984 e il suo ritratto, pubblicato sulla copertina del National Geographic del giugno successivo e definito da molti la Monna Lisa afghana, è diventato il manifesto iconico del magazine, riconosciuto in tutto il mondo. Trentun anni dopo, la foto di Gula ritorna sulle pagine dei giornali, questa volta l’immagine è leggermente sfuocata e illuminata dalle luci al neon di una fototessera. Si tratta della foto di un documento falso, la carta di identità elettronica Pakistana, ottenuta, probabilmente a pagamento. Senza questo documento, i rifugiati afghani in Pakistan hanno una libertà di movimento estremamente ridotta, non possono acquistare proprietà, aprire un conto in banca e avere il diritto di rimanere in un Paese sempre più insofferente ai rifugiati. Come migliaia di altri rifugiati afghani, Gula è stata scoperta, ed è oggi indagata per corruzione e falsificazione dei documenti. Una storia, quella di Gula, diventata l’emblema di un popolo, in perenne fuga da guerre, violazioni, disordini e povertà.

La prima ondata di persone dall’Afghanistan in Pakistan era arrivata nel 1979, dopo l’invasione sovietica del Paese, il numero dei rifugiati aveva continuato a crescere dopo il ritiro delle truppe russe, e l’inasprirsi dei conflitti interni nel 1989, dopo la caduta del regime talebano, nel 2001 milioni di afghani sono tornati nel Paese ma oltre 2,5 milioni sono rimasti in Pakistan, diventando la seconda più grande popolazione di rifugiati dopo i palestinesi, secondo l’ONU. Negli ultimi 12 anni sono stati trovati 23 mila documenti falsi. Le tensioni nei confronti dei rifugiati si sono acuite dopo l’attacco talebano dello scorso dicembre alla scuola militare di Peshawar, in cui sono morti 130 studenti. Negli ultimi mesi, il governo aveva cercato di rimuovere le baracche negli slum di Islamabad, dove vive una forte concentrazione di afghani e circa duemila rifugiati sono stati deportati, mentre 30 mila persone sono ritornate in Afghanistan negli ultimi due mesi. Human Rights Watch ha chiesto al Pakistan di abbandonare le strategie di coercizione per costringere i rifugiati al rientro. Secondo Gulzar Khan, politico e precedentemente commissario per i rifiugiati afghani, il Pakistan non può aspettarsi di poter rimpatriare tutte quelle persone dal giorno alla notte: “il governo afghano è in una situazione molto vulnerabile, sia dal punto di vista economico che politico. Se due milioni di cittadini venissero rimpatriati, l’Afghanistan si troverebbe davanti a una crisi enorme”.

La parabola di Sharbat Gula sembra il simbolo di quella di un intero popolo. Arrivata nel campo di rifugiati di Nasir Bagh nel 1984, dopo la morte dei genitori, della nonna, del fratello e di tre sorelle durante un bombardamento nel periodo dell’occupazione sovietica, sposata a nemmeno sedici anni, era poi tornata nel suo villaggio in Afghanistan nella metà degli anni novanta, quando al potere erano ormai arrivati i talebani. Ritrovata dal National Geographic nel 2002, dopo una lunga ricerca, Gula non aveva mai visto la fotografia che l’aveva resa celebre in tutto il mondo. Il viso coperto dal burqa, aveva dichiarato che non si era mai sentita al sicuro, ma che “la vita durante il regime talebano era migliore. Almeno c’era la pace e un po’ d’ordine”. Era sposata e viveva con tre figlie, la quarta era morta da piccola.

Secondo le autorità pakistane, Gula aveva richiesto la carta d’identità falsa, nell’aprile 2014, a Peshawar, dichiarando di essere nata in Pakistan e di chiamarsi Sharbat Bibi.

Foto: 'Bambina afghana, 1984' del fotografo Steve McCurry, esposta durante l'esposizione di  Christie's, National Geographic Collection: The Art of Exploration' 

Stan Honda – Getty Images 


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