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Economia & Impresa sociale 

Nuova impresa sociale: niente vantaggi fiscali per chi distribuirà utili

Il principio confermato dall’Agcom: «Occorre evitare di conferire vantaggi competitivi ingiustificati anche alla luce dei vincoli comunitari».

di Redazione

Il sottosegretario Luigi Bobba lo aveva anticipato nella discussione della Riforma del Terzo Settore in corso in Commissione Affari Sociali alla Camera. Si parlava dell’articolo 2 e in particolare della possibilità di dividere – con limiti – gli utili tra gli azionisti e i benefici fiscali delle nuove imprese sociali (di cui si occupa invece l’articolo 4). Il deputato Matteo Mantero dei 5 Stelle sosteneva la sua contrarietà «alla distribuzione degli utili da parte delle imprese sociali che altrimenti potrebbero concorrere in maniera sleale rispetto ad altri soggetti, usufruendo di vantaggi fiscali». Questa la replica di Bobba: «Le imprese sociali che distribuiranno utili dovranno rinunciare ai vantaggi fiscali».

A sottolineare il principio dell’incompatibilità fra la distribuzione degli utili con i vantaggi fiscali e la non lucratività dei soggetti presi in esame è arrivata anche la risposta del presidente dell’Autorità garante della concorrenza (Agcom) a una richiesta di chiarimento avanzata dal presidente della XII Commissione permanente di Montecitorio (la Affari Sociali, appunto). Scrive Giovanni Pitruzzella nel Bollettino del 7 marzo scorso: «Occorre osservare che, nella prospettiva di tutela della concorrenza, le misure previste per il perseguimento di tali finalità di crescita economica devono risultare necessarie e proporzionate rispetto all’obiettivo che intendono realizzare. In particolare, l’analisi di proporzionalità dovrà riguardare il regime di agevolazioni prefigurato nel disegno di legge per le imprese sociali che, unitamente alla circostanza che a queste ultime (diversamente da quanto previsto dall’attuale disciplina) sarà consentito svolgere attività commerciali e distribuire gli utili, si presta a tradursi in un vantaggio competitivo per le imprese sociali che opereranno in concorrenza con imprese tradizionali. Tali considerazioni trovano riscontro peraltro nelle criticità evidenziate rispetto al disegno di legge in esame dalla Corte dei Conti nell’audizione dinanzi Codesta Commissione: “sembrerebbe non rientrare nel Terzo settore, per il quale è confermato il divieto di lucro soggettivo, l’impresa sociale, in quanto i criteri direttivi per l’esercizio della specifica delega appaiono allontanare il modello dalle caratteristiche dell’impresa non profit” e che “l’attribuzione di vantaggi fiscali ai soggetti non profit che operano anche sul mercato va valutata alla luce dei vincoli comunitari in materia di libertà di concorrenza e di divieto di aiuti di Stato”».

Da qui la conclusione: «Alla luce di tutto quanto precede, affinché il ridisegno della disciplina dell’impresa sociale – per come individuato dalla legge di delega nelle sue linee portanti e per come sarà declinato in dettaglio dai decreti delegati – possa realizzarsi in conformità ai principi che governano il diritto antitrust occorre che il regime delle agevolazioni previste venga adeguatamente modulato e coordinato con le disposizioni volte ad aprire l’impresa sociale al mercato dei capitali e ad una maggiore remunerazione del capitale investito. Siffatto intervento si rende necessario al fine da evitare di conferire vantaggi competitivi ingiustificati in capo a tali categorie di imprese, che possano esporre la disciplina così tracciata a censure di natura concorrenziale, anche in relazione a possibili violazioni della normativa in tema di aiuti di Stato».


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