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Forum sociale, il lato nero della Tunisia

Prima giornata di dibattiti. Intervista a Saadia Mosbah, tunisina, presidente e fondatrice dell'associazione "M'nèmty", che lotta contro le discriminazioni a sfavore della popolazione di colore

di Giada Frana

da Tunisi

Al Forum Sociale Mondiale di Tunisi si è parlato anche di razzismo contro la popolazione nera in Tunisia, grazie ad un dibattito organizzato dal Collettivo tunisino della marcia dell'uguaglianza e contro il razzismo. All'evento era presente anche Saadia Mosbah, tunisina, presidente e fondatrice dell'associazione "M'nèmty", che lotta contro le discriminazioni contro la popolazione nera e contro ogni forma di discriminazione. Il razzismo contro i neri in Tunisia è infatti ancora un tema tabù e gli stessi tunisini spesso preferiscono ignorare la realtà. 

Quando e per quale motivo ha deciso di creare questa associazione?
La Rivoluzione tunisina ci ha permesso di fare cadere il muro del silenzio: prima non potevamo di certo farlo, si poteva parlare del problema solamente tra di noi o con i giornali stranieri. Ci siamo detti che era giunto il momento che questa popolazione, che rappresenta tra il 10 e 20% del Paese, fosse visibile agli occhi dei politici e così nel 2013 è nata la nostra associazione.

Cosa significa il nome della vostra associazione? 
 "M'nèmty" significa "il mio sogno", ma è un sognare ad occhi aperti.

Dopo la Rivoluzione, la situazione è cambiata per la popolazione nera in Tunisia?
La parola: solo la parola finora è cambiata. Abbiamo fatto forti pressioni all'Anc, all'Assemblea Nazionale Costituente, per una legge che incrimini la discriminazione razziale, ma la nostra richiesta non è stata presa minimamente in considerazione. Ci hanno risposto che se ne occuperanno dopo, quando il Paese sarà stabile, forse per la prossima Costituzione.

A livello legislativo dunque non esiste nessuna legge al momento? 
Non esiste nessuna legge che incrimini la discriminazione razziale. La parola "discriminazione razziale" non appare nella Costituzione. È nostro dovere non solo far apparire queste parole nella Costituzione, ma approvare una legge che ci protegga contro le stesse discriminazioni.

Quali sono i problemi che la popolazione nera si trova ad affrontare ogni giorno?
Si comincia dagli occhi, con lo sguardo: lo sguardo degli altri quando si posa su di noi è diverso: in generale per i tunisini noi veniamo dalla schiavitù, siamo qui per servire; se siamo vestiti bene diamo fastidio; se siamo in una macchina scocciamo, ma se siamo camerieri siamo i loro amici. Poi viene la parola, ci sono delle parole offensive con le quali si indicano i tunisini neri, a tal punto che queste parole sono diventate sinonimi del colore nero. Quando si dice "Ossif" che significa "schiavo", "negro", è diventato un colore, se si chiede a un bambino cosa significa questa parola risponderà "significa la signora o il signore nero".

Cosa proponete al governo e cosa fate per cercare di cambiare questa situazione?
Per prima cosa era necessario che se ne parlasse ed è molto difficile per entrambe le parti coinvolte, sia da parte della popolazione nera che da parte di quella bianca, poterne parlare. Negli ultimi due anni abbiamo fatto quasi del porta a porta, organizzando dei piccoli incontri qua e là. I tunisini non riescono ancora a parlare di questo tema, hanno una sorta di rifiuto. Noi abbiamo cominciato in questo modo: sensibilizzando le persone, dicendo loro che il problema esiste e che bisogna parlarne.

C'è quindi una sorta di negazione del razzismo da parte dei tunisini? 
Non solo i tunisini dicono che il razzismo non esiste, ma se proviamo a parlarne ci trattano come dei malati. Per loro abbiamo dei complessi, siamo paranoici poichè "tutto ciò non esiste". Non vedono la realtà quindi per loro non esiste.

L'anno scorso c'è stata una grande marcia in Tunisia per protestare contro il razzismo…
La prima marcia è stata organizzata il 1° maggio 2013 da M'nèmty: abbiamo deciso di uscire per strada e urlare il nostro no al razzismo in Tunisia. Ha stupito molto e molte persone, soprattutto i politici, si erano proposte di occuparsi della questione. Abbiamo marciato per porre il problema sotto gli occhi di tutti. Poi la marcia è stata ripresa lo scorso anno dal Collettivo contro il razzismo, sono partiti dal sud il 20 marzo e arrivati a Tunisi il 21 marzo, giornata contro le discriminazioni razziali. In seguito si è formata una carovana di circa 150 persone, appoggiata da diverse fondazioni, e ci siamo diretti verso il sud, verso Djerba. Volevamo incontrare il governatore, ma non si è presentato, nonostante le nostre numerose lettere e ci siamo diretti verso i cimiteri degli schiavi. Al sud non si seppelliscono i neri e i bianchi insieme. I nostri compatrioti non ci credevano quindi era importante che lo vedessero con i loro occhi.

Recentemente con la coppa d'Africa, lo scorso febbraio, a pagare l'eliminazione della Tunisia per mano della Guinea sono stati i neri. Ci sono state tantissime aggressioni in quei giorni. Nella quotidianità, oltre al razzismo verbale, queste aggressioni accadono spesso? 
Sono degli episodi che accadono tutti i giorni ai subsahariani: non è che sono stati aggrediti per una partita di calcio, sono aggrediti per qualsiasi motivo: quando una ragazza rifiuta un uomo, ragazze che vengono prese a botte se girano sole la sera, ragazze che vengono picchiate anche davanti al liceo. 

I media tunisini affrontano la problematica? 
Se ne parla solo quando c'è un evento, ma spesso i giornalisti non si presentano di persona. Chiamano al telefono chiedendo informazioni o di inviare loro una risposta via e-mail. Non se ne interessano davvero, perché in fondo non ci credono: dite loro che una ragazza è stata violentata e vedrete una totale mobilitazione, ma per i neri no, non sono convinti. Non vogliono vedere, non deve esistere questa problematica nel loro Paese. Invece di dire: esiste un problema, facciamo qualcosa per eliminarlo, si dice: il problema non esiste. 

Vuole lanciare un messaggio?
La nostra marcia, la nostra carovana continuerà e nessuno ci fermerà, anche se cercheranno di zittirci, i nostri figli continueranno questa lotta. 

 

 


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