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Cooperazione & Relazioni internazionali

Il banco di prova di Cecile Kyenge

Dopo un primo periodo di adattamento al Parlamento europeo e i cambi ai vertici delle istituzioni UE, l’eurodeputata del PD inizia a dare corpo alle sue ambiziosi focalizzando nel 2015 (e probabilmente per tutta la legislatura) la sua agenda sulle migrazioni e l’Africa.

di Joshua Massarenti

Bruxelles – Sono passati nove mesi da quando Cecile Kyenge è approdata al Parlamento europeo. Per l’eurodeputata del PD, come per tutti i suoi colleghi neoeletti, il periodo di adattamento è un passaggio obbligatorio per prendere confidenza con una macchina così complessa come il Parlamento UE e tracciare un’agenda politica che consenta di lasciar il segno al termine di una legislatura. Chi conosce bene le istituzioni UE sostiene che di legislature ce ne vogliono due. L’ex ministro per l’integrazione sembra orientata a farlo prendendo di petto due temi che le stanno a cuore: le migrazioni e l’Africa. Due sfide immense legate tra loro dagli sbarchi a Lampedusa e dalle minacce che continuano a pesare sul continente africano, limitandone in qualche modo le immense potenzialità.

Le sue ambizioni coincidono con la nuova agenda della Commissione europea che, in questa legislatura, lascia indicare un impegno più forte sulle migrazioni (su questo ci sono pochi dubbi) e le relazioni tra l’Europa e l’Africa (meno scontato). Basterà? Cecile Kyenge è perfettamente cosciente che “tra le crisi in Siria e Ucraina, la necessità per l’Europa di uscire da un lungo periodo di recessione economica o il trattato Transatlantico”, le possibilità di ottenere una maggiore attenzione da parte dei politici e dell’opinione pubblica europei su un continente come quello africano non sono scontate. E quando i riflettori si accendono, lo sono per via delle tragedie del Mediterraneo oppure dei conflitti e della minaccia terroristica. Ma lei non si scompone. “I problemi vanno affrontati di petto dando il proprio contributo”. Come co-presidente dell’Assemblea parlamentare paritaria UE-ACP (il Segretariato dei paesi dell’Africa-Caraibi e Pacifico, fortemente impegnato sul fronte “migrazioni e sviluppo”), oppure nella veste di correlatrice (insieme all’eurodeputata maltese del PPE, Roberta Metsola), di nuovo rapporto di iniziativa su ‘La situazione nel Mediterraneo e la necessità di un approccio globale dell’Ue alle migrazioni’, richiesto a larga maggioranza dagli eurodeputati. O ancora attraverso una presenza fisica in paesi africani strategici come la Nigeria, in cui attualmente si trova per seguire elezioni presidenziali condizionate dagli attacchi del gruppo terrorista Boko Haram. In aprile toccherà alla Repubblica democratica del Congo (RDC), la cui rinascita, lenta ma reale, è continuamente minacciata dai conflitti armati che seviziano nel Kivu per lo sfruttamento delle risorse minerarie e dagli appetiti gargantueschi di una classe dirigente corrotta.

Partiamo dalla sfida più urgente e spinosa: le politiche migratorie dell’UE. Quali sono gli obiettivi del rapporto d’iniziativa a cui sta lavorando?

Questo è’ uno dei più importanti documenti stilati al Parlamento europeo per le politiche di immigrazione, perché pone le basi per portare avanti il dossier sulle politiche migratorie a livello UE e sviluppare un nuova strategia, più ambiziosa e coerente. Dobbiamo superare il perenne approccio emergenziale con cui è stato sempre affrontato il tema: il flusso di migranti che attraversano le frontiere Sud dell’Europa è un problema strutturale e transnazionale. E’ una questione europea, che deve essere affrontata condividendo le responsabilità tra tutti gli Stati Membri, ponendo al centro innanzitutto la tutela della vita umana.

Intanto la Commissione UE ha anticipato a maggio la presentazione della sua agenda europea per le migrazioni prevista per luglio. Quale può essere il valore aggiunto del rapporto presentandolo dopo quella data?

La Commissione sta lavorando su tempi stretti, il che è necessario, ma ci vuole anche un lavoro di lungo respiro che ci consenta di avere un approccio olistico della problematica. Ed è questo Il punto chiave di questo rapporto che lo differenzia dai precedenti. Lo scopo è infatti quello di affrontare tutti i diversi settori che gravitano intorno all’immigrazione, non soltanto l’asilo. Tra i temi che saranno affrontati – sono otto in tutto – al primo posto figurerà la cooperazione con i paesi terzi, attraverso nuovi programmi o il rafforzamento di programmi in corso, come la cosiddetta immigrazione circolare e l’assistenza ai migranti, sia nei paesi di accoglienza che in quelli di provenienza e transitori.  La salvaguardia e la tutela della persona, garantita tramite operazioni search and rescue e tramite altre misure atte a prevenire altri morti in mare e nel deserto da un lato, e dall’altro ad evitare che i migranti continuino a cadere nelle mani dei trafficanti, sono anch’essi temi di fondamentale importanza. Un altro punto da includere nel rapporto è la creazione di canali legali per l’immigrazione.

Ma questo rapporto di iniziativa strategico sfocerà in una risoluzione?

Questo è l’auspicio.  Noi porteremo avanti un lavoro partendo dalla risoluzione sulle migrazioni accolta a larga maggioranza dai parlamentari europei nel dicembre scorso. L’obiettivo è quello di fare approvare il rapporto in sessione plenaria, e sottoporlo all’attenzione della Commissione e del Consiglio.

Da cosa dipenderà il successo di questa iniziativa?

Dal lavoro politico delle persone implicate nel rapporto, a partire dalle due correlatrici e dagli eurodeputati incaricati di seguire i vari temi selezionati.  Il successo dipenderà anche dal lavoro di mediazione tra le diverse forze politiche del Parlamento europeo. La partita non sarà facile perché dovremo fare i conti con il PPE, e sappiamo che le loro posizioni sul tema sono piuttosto conservatrici.

Infatti l’altra correlatrice del rapporto è membro del PPE…

Tutto qui? Guardi che dovrò fare i conti anche con i deputati S&D dei paesi nordici, i cui interessi non sono gli stessi dei loro colleghi del bacino Mediterraneo. Ripeto, la partita non sarà facile, ma anche gli Stati membri e i partiti politici contrari ad una gestione condivisa dei fenomeni migratori stanno cambiando parere. Alcuni politici del PPE sono coscienti che le soluzioni adottate finora non portano da nessuna parte, ma non vogliono esporsi per timore di perdere il loro elettorato. L’Europa è una svolta. Dobbiamo trovare il coraggio di spingerci sempre di più verso una strategia a lungo temine e non settoriale. Il successo di questa iniziativa potrebbe contribuire a far uscire l’UE dalla situazione di stallo in cui si è ritrovata rispetto a questa problematica. A titolo personale, posso contare sull’appoggio di molti deputati del mio gruppo (S&D, ndr) e del PD, ma anche di Roma. Spero nella collaborazione di tutti, società civile, Stati membri, amministrazioni locali, per portare a casa un risultato.

L’altro tema che le sta a cuore, peraltro legato alle migrazioni, è l’Africa. Oggi la Nigeria, domani la Repubblica Democratica del Congo, poi probabilmente il Burundi. Perché focalizzare la sua attenzione su questi paesi?

Sono paesi in cui l’Africa si gioca un pezzo del suo futuro. Nel caso della Nigeria, ci potrebbero essere delle conseguenze dirette per l’Unione Europea. La missione di osservazione elettorale a cui partecipo per seguire le Presidenziali nigeriane è importante. Assieme al Sudafrica, la Nigeria è il paese più potente del continente africano. Nel 2014 i nigeriani sono addirittura riusciti a superare i sudafricani in termini di PIL. Ma la ricchezza immensa di questo paese non viene condivisa con la maggior parte della popolazione locale, creando quindi delle disparità anche a livello geografico. Il Nord dove i terroristi di Boko Haram stanno seviziando la popolazione, è rimasto povero, mentre il Sud è più ricco. Le Presidenziali, già posticipate, avvengono in un contesto estremamente difficile. Lo dimostra l’ennesimo rapimento effettuato dal gruppo terroristico pochi giorni fa a Damasak, nel nordest del paese. Questa città era stata liberata un mese fa dalle truppe del Niger e del Ciad, ma Boko Haram è riuscita a tornarci sequestrando più di 400 donne e bambini. Le milizie di questo movimento islamista vanno combattute senza tregua. La sua presenza e capacità di espansione costituisce una minaccia per l’intera regione. La Comunità internazionale, e l’UE per prima, devono sostenere l’Unione Africana e le organizzazioni regionali come l’ECOWAS per contrastare il fenomeno. Boko Haram è diventato ancora più pericoloso in seguito alla sua alleanza con l’Isis. Oggi il terrorismo islamico sta provando a diffondersi e a radicarsi lungo un asse che va dalla Libia fino al Corno d’Africa, passando per il Sahel e l’Africa centrale, dove gli islamisti si sarebbero infiltrati nella Repubblica centrafricana e nell’Est della Repubblica democratica del Congo.

A proposito della RDC, il gruppo S&D è attualmente impegnato in un’iniziativa per contrastare lo sfruttamento illegale delle risorse minerarie. Con quali obiettivi nello specifico?

Questo paese è da tanti anni sottoposto agli appetiti di multinazionali interessate a sfruttare le risorse minerarie congolesi, indispensabili per la produzione di computer, cellulari o frigoriferi. Sono prodotti che gli italiani e gli europei consumano ogni giorno senza sapere che il loro sfruttamento avviene spesso in modo totalmente illegale da parte di gruppi armati e forze di sicurezza che generano morte e povertà. E’ giunta l’ora di regolarizzare un settore di attività che necessita di norme in grado di rendere trasparente l’intera filiera. Questa trasparenza passa per la tracciabilità e la certificazione d’origine dei minerali per ridurre il finanziamento dei gruppi armati e delle forze di sicurezza con i proventi dello sfruttamento dei minerali nelle zone di conflitto e ad alto rischio. I consumatori devono poter conoscere l’origine delle componenti assemblate nei prodotti che consumano. Dal canto loro, le multinazionali dovrebbero presentare un certificato d’origine dei minerali impiegati per tutti i prodotti esportati verso l’Unione Europea.

Per questo, la nostra delegazione, che sarà guidata dal Presidente del gruppo S&D, Gianni Pittella, si recherà a Kinshasa e nel Kivu per confrontarsi con le autorità congolesi e capire meglio l’impatto di questo fenomeno sulle popolazioni e i lavoratori locali. La visita a Bukavu, nel Sud Kivu, sarà anche un’occasione per visitare l’ospedale del Dottore Mukwege, a cui pochi mesi fa il Parlamento europeo ha assegnato il Premio Sakharov 2014. Sappiamo che Denis Mukwege è sottoposto a fortissime pressioni da parte delle autorità congolesi, la nostra delegazione andrà quindi a Bukavu per dimostrargli l'appoggio del nostro gruppo politico e del Parlamento.

Purtroppo anche in questo caso ci sarà da battagliare con il PPE…

Il nostro gruppo vuole imporre alle multinazionali l’obbligo di rendere pubblica l’origine dei minerali che utilizzano nei loro prodotti, mentre il PPE vuole che questa resti una scelta volontaria. Anche lì, sarà una battaglia difficile, ma necessaria.

Oltre al Kivu, c’è un’altra sfida importante che attende il paese: le elezioni presidenziali. Il presidente uscente Joseph Kabila non si è ancora espresso sull’intenzione di correre per un terzo mandato. Farlo lo costringerebbe a cambiare la Costituzione. Con quali conseguenze?

In Congo, come in qualsiasi altro paese nel mondo, vige una Costituzione e va rispettata. In RDC il presidente deve limitarsi a due mandati, e così dovrà essere per Kabila. Non ci possono essere piani B o C. La società civile si sta fortemente mobilitando contro l’eventualità di un terzo mandato. Il Presidente dovrebbe ascoltare il suo popolo e prendere la decisione più saggia, per il bene del paese. Purtroppo è in corso un’ondata di repressione che non lascia ben sperare.

Il Burundi non è certo messo meglio…

Anche lì, il Presidente uscente Pierre Nkurunziza non si è ancora pronunciato. E’ in corso uno scontro molto forte nel partito presidenziale il cui esito rimane incerto. Le tensioni si sono inasprite dopo l’arresto del giornalista burundese, Bob Rugurika. Mi sono fortemente impegnata per la sua scarcerazione avvenuta poche settimane fa, e continuerò a sostenerlo. Il coraggio che ha dimostrato nel suo tentativo di far luce sulla morte di suor Olga, Lucia e Bernadetta non può lasciarci indifferenti. E questo omicidio non può rimanere impunito. Gli occhi della comunità internazionale sono oggi puntati sul governo del Burundi. L'Italia ora deve fare la sua parte e mantenere alta la pressione perché sia fatta luce su questo brutale assassinio. Ma non solo. L’UE dovrà seguire con molta attenzione il processo elettorale burundese. Garantire elezioni libere e trasparenti è una condizione sine qua non per la stabilità di questo paese, essenziale per la regione dei Grandi Laghi africani.

L’interesse del gruppo S&D nei confronti dell’Africa si è ulteriormente manifestato con la creazione di un comitato di pilotaggio incaricato di seguire le questioni africane. Quali sono le ragioni di questo interesse?

L’Africa è un continente in piena trasformazione dove sussistono molti problemi, ma con potenzialità immense. Sono in tanti a scommettere sul suo futuro, ed è quindi giusto che il gruppo S&D, incluso il PD, porga una maggiore attenzione alla regione. Il comitato che sarò chiamata a pilotare deve ancora costituirsi. Stiamo ragionando sulle tematiche a cui dare priorità in questa legislatura. A fine anno, il nostro gruppo organizzerà al Parlamento europeo una settimana dedicata all’Africa, ma il programma è ancora da definire. Sarà un appuntamento importante per accendere i riflettori su un continente africano molto spesso ignorato.


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