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Capovilla: «La carità non basta più. Bisogna lottare come vuole Francesco»

Nandino Capovilla, parroco a Marghera, già coordinatore nazionale di Pax Christi, di cui è referente per le azioni in Medio Oriente e responsabile per la Campagna “Ponti e non muri”. «Inclusione, partecipazione e giustizia sono le parole chiave di un buon intervento sociale»

di Pietro Barabino

Abbiamo incontrato don Nandino Capovilla a Genova, a margine della presentazione organizzata da San Marcellino del suo libro “Esclusi. Nelle periferie esistenziali con Papa Francesco”scritto con Betta Tusset. Oltre alla video intervista riportata in copertina, ne è scaturita un lunga chiacchierata su politica, solidarietà e giustizia, educazione, scautismo e nonviolenza, testimonianza cristiana.

Chi sono gli esclusi, gli scarti dai quali bisogna ripartire?
Gli esclusi fanno parte della nostra vita ma spesso non li vediamo: sono i noncittadini, gli scartati che vivono ai margini. Se li avviciniamo scopriamo che sono persone come noi, e nella relazione con loro tutto può cambiare. Nelle nostre città abbiamo alzato degli steccati, immaginato delle zone diversificate nelle loro funzioni sociali. Come cristiani non possiamo delegare ai servizi sociali il lavoro per unificare la città. Le periferie non sono solo luoghi fisici, possono essere luoghi ‘esistenziali’ in cui chiunque può trovarsi. Le persone che vivono in periferia non cercano un’intervento assistenziale, ma la restituzione di dignità e diritti negati. La politica deve dare strumenti e finanziamenti perché ci sia una rete che possa davvero partecipare alla costruzione comune delle città.

Quali sono le parole chiave di un buon intervento sociale?
Inclusione, partecipazione e giustizia. Giustizia prima di tutto. Non bastano la carità, l’assistenza e la solidarietà. Bisogna lottare contro le ingiustizie ovunque vengano perpetuate per ristabilire situazioni di giustizia. Si tratta anche di scelte personali, come nel caso della campagna “Banche armate” e “Parrocchie disarmate”. Sappiamo dove sono i nostri soldi? Ci siamo accertati che la nostra banca non appoggi transazioni finanziarie per la produzione di armamenti? Se non facciamo questi passi per incidere sui sistemi ingiusti, sarà poi buonismo incoerente andare incontro ai poveri. È in atto una guerra contro i poveri e bisogna recuperare gli strumenti della nonviolenza attiva per reagire positivamente.

Oggi si fa tanta confusione sui termini, cosa intendi per nonviolenza?
È la scelta di stare dalla parte del piccolo e del debole in ogni situazione, imparando a informarsi e trovando le modalità di affrontare i conflitti con strumenti che non prevedano il prevalere del più forte. Nelle relazioni interpersonali, si tratta di preferire il dialogo allo scontro, valorizzare le minoranze e avere una visione del mondo che parta dall’ascolto di chi soffre. Non si tratta di negare i conflitti, ma di escludere l’imposizione di soluzioni dall’alto.

L’educazione alla pace con questi strumenti è stata una delle intuizioni del movimento scout…
Esatto l’Agesci in particolare è arrivata a condividerlo e sancirlo nel suo Patto Associativo. In un contesto di povertà di proposte educative globali e liberanti, lo scautismo mi sembra avere molte carte da giocare, e vedo che i gruppi in tutta Italia riescono a coinvolgere proprio quella fascia giovanile che preoccupa sempre di più gli educatori. D’altro canto il rischio di proposte educative così strutturate è il ripiegamento su se stesse, la tentazione di fossilizzarsi su un metodo che dev’essere aggiornato di continuo. Bisogna buttarsi nelle relazioni, esplorare nuovi contesti e lasciarsi provocare, com’è stato fatto per la scrittura della Carta del Coraggio. Bisogna prevedere una varietà di realizzazioni della stessa proposta educativa. Dentro questo cammino penso sia giusto ci siano le esperienze più diverse, ma quelle a cui guardare dovrebbero essere quelle nei contesti più difficili, dov’è più importante essere presenti. Certo, la personalizzazione degli strumenti educativi non può essere incoerente con i fini e gli obiettivi educativi.

Questo tuo invito all’apertura e alla mediazione può legittimare chi, dal canto suo, propone il protocollo con un corpo armato come un tratto di strada da fare insieme senza dividere in bianco e nero e costruire steccati?
Assolutamente no, perché in quel caso non si tratta di modificare degli strumenti per arrivare a un fine condiviso, ma si agisce su scelte fondamentali e valoriali dello scautismo!

Nel 2011 la Marina Militare ha partecipato attivamente al bombardamento della Libia, nel 2012 la Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato l’Italia per i respingimenti in mareche la Marina effettuava per conto del Governo Berlusconi tra il 2008 e il 2010. Oggi però diranno (a ragione) che gli stessi militari stanno salvando centinaia di migranti, di recente Piazzapulita ha mostrato immagini forti al riguardo
Non c’entra quando è stato fatto l’accordo, è questione di obiettivi. L’Agesci prevede e ha coltivato, come emerge chiaramente al punto “scelta politica” del Patto Associativo l’obiettivo di educare alla pace e di arrivare alla pace attraverso metodi pacifici. Una forza armata non può avere questo obiettivo, prevede l’uso della forza come e quest’uso della forza intesa come forza militare ha come strumento l’uso delle armi. Certo è solo una delle attività che porta avanti, ma non si può far finta che non esista questo aspetto ‘perché ci conviene’ o peggio per avere dei tornaconto personali, sarebbe l’accettazione di un modo di pensare utilitaristico.

I Presidenti Agesci, rispondendo alla lettera aperta sottoscritta da centinaia di capi, ammettono che l’accordo presenta dei passaggi “poco condivisibili” ma che si giustificherebbero nel contesto di una collaborazione che avverrebbe solo in ambiti civili e non armati…
Non c’entra cosa prevede l’accordo, quello che si fa insieme potrebbe anche essere bellissimo, ma se si intende educare alla pace, non si può fare un Protocollo con un’istituzione che prevede di avere a che fare con un nemico, che vede nelle armi un valido strumento per dirimere i conflitti. Le ragioni delle guerre possono anche essere discusse di volta in volta, qualcuno potrà anche ritenerne alcune inevitabili e giuste, ma non è certo compito dell’Agesci collaborare su iniziative comuni con chi ragiona in questi termini. Può capitare occasionalmente di svolgere delle attività insieme, pensiamo a situazioni di emergenza, ma non è necessario un accordo calato dall’alto! Con Pax Christi abbiamo fatto una campagna che si intitola significativamente “La scuola ripudia la guerra”. Nelle scuole italiane, soprattutto al sud, le Forze Armate entrano e promuovono la scelta militare. Non si può proibire, ma se l’esercito entra nella scuole per fare propaganda, sarebbe doveroso permettere di fare lo stesso a chi propone il servizio civile, dal momento che è una forma di Difesa alternativa a quella militare riconosciuta dallo Stato. Non possiamo dimenticare che ogni forza armata ha come obiettivo la guerra, comunque ipocritamente la si chiami (Cfr. su questo tema il libro di Fabio Mini “Perché siamo così ipocriti sulla guerra”. Il Ministero delle Difesa è arrivato a proporre campi estivi in stile para-scout: "Vivi le Forze Armate”. Finché esistono gli eserciti non possiamo escludere che tutto ciò  possa esistere, però è assurdo che un’associazione che pretende di educare alla pace “in spirito di nonviolenza evangelica” vada a braccetto con chi organizza iniziative di questo genere.

Baden Powell è passato alla storia per la sua conversione dalla vita militare all’impegno nell’educazione per la pace, ma molti sottolineano che nella sua prima vita è stato militare. Ci sono tanti scout militari, per loro è un modo di servire il Paese. Cosa diresti ai singoli che scelgono questa strada?
Io ne farei una questione di coscienza, come già avviene su altri temi delicati. Bisogna sempre distinguere il peccato dal peccatore e nessuno può giudicare le scelte dei singoli, ognuno dev’essere chiamato a giudicare da sé la propria coerenza con il Patto Associativo. Certo, basta che queste eccezioni non diventino la regola o si auto assolvano: “Visto che sono militare e faccio gli scout allora è una scelta compatibile”. Può esserlo per alcuni casi, per alcuni incarichi particolari, ma in generale non è certo una scelta nonviolenta quella di entrare a far parte di un Corpo Militare!

Cambiando argomento, come parroco di un quartiere multiculturale, come concili l’apertura e l’accoglienza alle persone di altre religioni o non credenti con la proposta cristiana?
Mi sembra una questione di stretta attualità. Recentemente Papa Francesco ci ha dato un segnale interessante nella sua udienza con Comunione e Liberazione. La mia lettura è che abbia voluto dare un segnale deciso a questi movimenti ecclesiali molto rigidi e fortemente connotati, che vale anche per gli altri movimenti. Il carisma e la forza della propria proposta non possono diventare delle gabbie, non si può fare del cattolicesimo un’ideologia. Su questo devo dire che l’Agesci ha mandato un messaggio di forte autonomia e apertura da San Rossore, come d’altra parte è nel suo Dna di associazione di laici che fa una proposta evangelica di frontiera. Nella Chiesa di Papa Francesco quest’apertura è richiesta a tutti. Sarebbe stato ben diverso avessimo avuto oggi il Papa che auspicava la Cei stando al comunicato stampa mandato per errore dopo l’elezione di Bergoglio. Con Scola, probabilmente avremmo avuto una Chiesa in mano a questi movimenti fortemente identitari. Invece oggi il Papa dice ai cattolici: “Continuate a lottare con i movimenti di resistenza popolari”, c’è molto spazio per una Chiesa impegnata nel dialogo con chi lotta.

Per queste posizioni Papa Francesco si è già guadagnato dall’Economist l’immarcescibile etichetta di comunista
Siamo noi che continuiamo a ragionare in termini di destra-sinistra, per fortuna questo Papa sta liberando la Chiesa di tutta questa “ideologia cattolica” che per anni ha diviso. Credo debba essere garantita tutta la libertà e tutta la varietà delle esperienze ecclesiali. Oggi non esiste il problema del collateralismo tra Chiesa e politica ed è un bene per tutti, ma è chiaro che c’è una sintonia con iniziative come la Giornata della memoria e dell’impegno di Libera che non si può nascondere ed è anche sintonia politica. Come si può identificare con una sola parte l’attenzione alle politiche sociali e del lavoro? La priorità di ogni cristiano è partire dalle difficoltà: la mancanza di lavoro, la precarietà, l’attenzione alle fasce più deboli. Bisogna sostenere politiche che mettano fuori gioco la corruzione, c’è troppa connivenza e i politici come ha denunciato don Ciotti ancora a Bologna, non riescono a darsi neppure un sistema legislativo che renda la lotta alla corruzione una priorità. Non è più tempo di parlare di scelte “di chiesa” ma di sequela evangelica, di vita cristiana. Certo, la strada è ancora lunga. E passa anche dal dialogo e dal lavoro sul territorio, senza cercare sempre l’accordo istituzionale che rischia di inibire o disinnescare la critica quando necessaria.

@pietrobar

 

 

 

 

 


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