Cooperazione & Relazioni internazionali

«Ad Erbil l’unica arma contro le bombe è la speranza»

Scrive Giacomo Fiordi, responsabile progetti in Iraq per Fondazione AVSI, che si trovava a poche vie di distanza dal consolato Usa attaccato con una bomba. «Abbiamo visto una grande fumata nera in cielo. Ma non abbiamo certezze su cosa sia successo»

di Giacomo Fiordi

Il nostro autista ha ricevuto la notizia della bomba mentre tornavamo verso il nostro hotel, che si trova a circa 1 km dal luogo dell’attentato, perché stavamo rientrando da una visita fatta alle suore domenicane in un quartiere alla periferia di Erbil dove Fondazione AVSI finanzierà un asilo per circa 120 bambini.

Saputa la notizia il nostro amico alla guida ha sgattaiolato per alcune viuzze per tornare al nostro hotel dalla parte opposta rispetto alla zona calda, ovvero la zona all’ingresso del quartiere cristiano di Ankawa dove si trova il consolato americano.

Abbiamo visto una grande fumata nera in cielo e una volta scesi dall’auto per rientrare in hotel abbiamo sentito qualche leggero scoppiettio simile al rumore di colpi di arma da fuoco.

Rientrato in camera mi sono semplicemente messo a cercare informazioni contattando un funzionario dell’Agenzia delle Nazioni Unite per le Emergenze Umanitarie e il responsabile della Cooperazione Italiana i quali non avevano notizie più precise delle mie e mi hanno consigliato di non uscire per strada.

La vita nel quartiere è andata avanti tranquillamente, macchine e persone per strada quasi come se nulla fosse e questo a prova del fatto che le persone qui sono abituate a questo clima di violenza.

Ho ricevuto nella due ore successive alcune notizie dal nostro autista, il quale mi ha comunicato che ci sono 3 morti e 5 feriti e che pare sia stato un kamikaze che si è fatto saltare dentro una pasticceria e caffetteria turca a pochi metri dal consolato, ma le notizie che arrivano sono contrastanti e prima di qualche ora non credo sarà possibile avere conferme se ciò che è successo è realmente questo.

Io l’ho contattato semplicemente per sapere se sua moglie e la sua bambina stessero bene e insieme a loro anche i suoi amici e per fortuna non si trovavano nella zona dello scoppio.

Ho ricevuto anche la telefonata della nostra amica suora che voleva accertarsi che stessimo bene.

Le persone in questo quartiere vivono in pace e tranquillità e posso dire che sono stupito dalla speranza di bene che vedo nei loro occhi nonostante ciò che hanno vissuto scappando dai terroristi e le interminabili storie di dolore e violenza che negli anni passati hanno dovuto affrontare.


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